giovedì 18 maggio 2017

Messico - Se mi uccidono. #simematan

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di Maria G. Di Rienzo*

Il 4 maggio scorso, il corpo senza vita della ventiduenne Lesby Berlin Osorio è ritrovato nei giardini del campus dell’Università nazionale autonoma del Messico. 
Le indagini non hanno portato risultati a tutt’oggi, ma gli investigatori – e di conseguenza i media – hanno offerto alla morbosità del pubblico una cascata di dettagli (e non si sa neppure quanto rispondenti a realtà) sulla sua vita personale. 

“Aveva consumato alcol e droghe con il suo ragazzo”, “Il ragazzo ha deciso di andarsene ma lei l’ha seguito e ha dato inizio a un litigio” (secondo quanto lui dice, perciò dev’essere vero, giusto?), “Non studiava”, “Conviveva”, ecc. ecc. 

Il suggerimento neppure sotteso è questo: la giovane donna se l’è andata a cercare, ha provocato la violenza che l’ha uccisa. 
Niente di nuovo, è vero, ci siamo abituate. 
Ma non siamo obbligate ad accettarlo, sapete.



Le donne messicane, per esempio, hanno deciso che ne hanno abbastanza di questa manfrina ed è così che è apparso su Twitter l’hashtag #SiMeMatan (Se mi uccidono) a corredare migliaia di messaggi del genere, che anticipano le colpe di cui le donne saranno accusate una volta uccise.


– Se mi uccidono: convivo da nove anni, ho avuto tre figli da due uomini diversi.     Bevo un bel po’ di birra e sono sempre stata io a dirigere la mia vita.
– Se mi uccidono, diranno che ho avuto un aborto, che le mie figlie sono nate con il parto cesareo, che le lasciavo all’asilo tutto il giorno e che badavo solo a me stessa.
– Se mi uccidono, diranno che me la sono andata a cercare, cosa ci facevo là, guardate i suoi tatuaggi, le sue cicatrici, le piaceva fare una vita da gangster, non è nessuno – è solo una donna.
– Se mi uccidono sarà perché sono una femminista, perché uso i leggings, perché mi piace camminare da sola la sera tardi e perché ho amici maschi. Cosa potevo aspettarmi di buono.
– Se mi uccidono, mi diffameranno e faranno di me una criminale. Accadrà per qualcosa che ho fatto, o per qualcosa che non ho fatto: non ha nessuna importanza.

Eccetera, eccetera. Potete immaginare. Che la rabbia e la rivolta delle donne siano visibili è però altamente positivo e ha risvegliato la solidarietà di quegli uomini che, parimenti, non ne possono più:
– Se mi uccidono mentre sono alticcio e solo in un vicolo scuro non sarò biasimato per il mio omicidio, perché non sono una donna.
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* Giornalista, formatrice e regista teatrale femminista, autrice del blog lunanuvola.

tratto da Comune.info

domenica 14 maggio 2017

Turchia - Così Erdogan punisce i giornalisti che denunciano la verità

Così Erdogan punisce i giornalisti che denunciano la verità in Turchia

KAZIM KIZIL È UN ATTIVISTA IN CARCERE DAL 17 APRILE 2017. E' STATO ARRESTATO MENTRE FILMAVA LE PROTESTE POST REFERENDUM. UNA SUA AMICA RACCONTA TUTTA LA STORIA.
 di Sara Tomasetta
Kazim Kizil è un attivista e giornalista indipendente turco. Si guadagna da vivere facendo il farmacista, ma da anni documenta e denuncia quanto accade in Turchia, dando visibilità alla popolazione e supportando i diritti fondamentali delle persone. Kazim ha documentato gli scioperi dei lavoratori, le azioni femministe e quelle del movimento Lgbtq, la rivolta di Gezi Park nel 2013, l'esplosione nella miniera di Soma del 2014 e le altre vicende che hanno segnato la storia recente della Turchia e del Kurdistan.
Kazim è stato arrestato dalla polizia turca a Smirne, mentre riprendeva le proteste popolari del 17 aprile 2017 sorte in seguito all’esito del referendum che ha sancito la vittoria del presidente Recep Tayyip Erdogan. Il sì alla riforma ha trasformato la Turchia da repubblica parlamentare a repubblica presidenziale.
L’attivista è stato accusato di aver violato le leggi insultando il presidente, incitando l’odio popolare tramite un tweet : “Il nostro popolo, con questo risultato, si dirige verso le strade :))”
Halkımız bu seçim sonuçlarıyla bize sokağı işaret etmiştir... :)) 
“Il 21 aprile il tribunale di Smirne ha confermato l'arresto con l’accusa di oltraggio al presidente Erdogan senza fornire nessuna prova”, ha raccontato a TPI una stretta amica di Kazim che per ragioni di sicurezza ha chiesto di rimanere nell’anonimato e che verrà indicata con D.
D. è a sua volta un’attivista, è andata via dalla Turchia per ragioni di sicurezza e sostiene che rivelare la sua identità adesso non sarebbe una scelta saggia. La ragazza spiega che se dovesse far ritorno in Turchia molto probabilmente l’aspetterebbe il carcere.
“Chiunque è all’opposizione è in pericolo in Turchia. Lo scorso anno abbiamo battuto il record di giornalisti detenuti. Io non sono conosciuta come Kazim e sono un obiettivo ancora più facile”, riponde D. alla mia richiesta di usare il suo vero nome. 
Perché Kazim è in prigione?
La vera ragione del suo arresto è stata confessata dal procuratore e dal giudice. Le autorità temono che persone come Kazim possano incitare alla rivolta come avvenuto a Gezi.
Kazim si definisce un giornalista indipendente e a causa di quel tweet ora è in carcere. Lui è solo uno delle migliaia di persone rinchiuse per presunti insulti al presidente Erdogan sui social media.
Pensi fosse già sotto osservazione?

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!