martedì 9 ottobre 2012

Grecia - Proteste contro la visita della Merkel


Centinaia di piccoli e grandi cortei continuano ad arrivare al cuore di Atene, una città militarizzata per ricevere Angela Merkel, il giorno dopo la riunione dell’Eurogruppo e dieci giorni prima del Consiglio Europeo, dove il problema greco insieme con il resto dei problemi dei paesi del Sud Europa, Spagna e Italia comprese, rischiano di far saltare l’euro e l’architettura della Europa neoliberale.
Merkel è stata ricevuta dal primo ministro greco Samaras con tutti gli onori dovuti. Non è mancato nemmeno il tappeto rosso. Samaras ha ricevuto la Merkel nel palazzo del governo, che si trova a poche centinaia di metri dal parlamento e da piazza Syntagma. Samaras aspetta da Merkel il suo sostegno ai nuovi tagli di quasi 14 miliardi e un messaggio dalla cancelliere tedesca per la vivibilità del debito greco e la riuscita del suo governo tripartito. Samaras dovrà passare la prova di fuoco dal parlamento, dove teme di perdere il sostegno forte che gli garantivano i voti dei socialisti di Pasok e quelli della moderata Sinistra Democratica. Il Pasok sembra morto e sepolto dopo l’ultimo scandalo del suo leader Venizelos, che praticamente aveva protetto gli evasori fiscali della “Lista Falciani” o meglio la “Lista Lagarde”, come è nota di più ad Atene, e le forte resistenze di una parte della Sinistra Democratica di votare a favore dei tagli e rimanere nel governo.
Non ci sono dubbi che Samaras avrà il voto del parlamento, ma il problema è quanti avranno il coraggio a votare ii tagli.
Ieri la Grecia non era un paese normale, come volevano fare credere le sue televisioni trasmettendo i soliti programmi di intrattenimento. Dopo aver coltivato la paura per chi voleva esprimere il suo dissenso alla visita di Merkel, facendo una allucinante pubblicità dei nuovi mezzi di repressione che si era fornita la polizia le televisioni controllate dallo stato e dai costruttori, armatori e banchieri che hanno affondato il paese hanno preferito le trasmissioni sportive e gli stupidi giochi per offrire almeno nella periferia greca una immagine di assoluta tranquillità.
Una gran parte degli ateniesi sa molto bene che la città è militarizzata da una esercito di almeno settemila poliziotti, venuti da ogni parte del paese, le strade piccole e grandi erano bloccate chilometri lontano da piazza Syntagma, l’ambasciata tedesca o l’albergo vicino dove è stata la Merkel.
Centinaia di migliaia di ateniesi però hanno camminato chilometri per arrivare al centro. Gente e cortei si sono divisi subito dopo. La maggior parte si era spinta a piazza Syntagma, per partecipare alla manifestazione delle centrali sindacali e le forze della sinistra “plurale”. Una piccola parte si era spinta a piazza Omonoia per partecipare alla manifestazione del PAME, la specie di sindacato dentro i sindacati che controllano i comunisti ortodossi del Kke di Papariga. Gli atri due partiti di sinistra radicale, Syrtiza e Antarsya, avevano chiamato la gente a partecipare alla manifestazione in piazza Syntagma.
Di fatto piazza Syntagma è diventata gli ultimi due giorni il centro della protesta. Decine di cortei continuano ad arrivare alle 2 passate, mentre la piazza ha ricevuto con un grande applauso il corteo dei lavoratori della compagnia elettrica DEH, che dai loro megafoni trasmettevano canzoni di resistenza interrotte dalla ultima trasmissione della Radio di Atene prima della occupazione della città da parte dell'esercito nazista:
“Qui parla la ancora libera Atene. Greci. L’invasore tedesco si trova alle porte di Atene. Fratelli tenete bene dentro la vostra anima lo spirito del fronte. L’invasore entra ad Atene con tutte le precauzioni nella città deserta di Atene che ha tutte le sue case chiuse. Attenzione: Greci tra poco questa Radio di Atene non sarà greca ma tedesca e trasmetterà bugie. Greci non ascoltatela. La nostra guerra continua e continuerà fino alla vittoria finale”.
Gli amici di Merkel avevano però già cominciato a tirare gas e ad attaccare i manifestanti di piazza Syntagma. Un nuovo ciclo di resistenza ...

Venezuela - La spada di Simon Bolivar o di Damocle


Venezuela: Hugo Chàvez ha vinto per la quarta volta le elezioni presidenziali


Ieri Hugo Chàvez ha fatto poker di Re, e, senza barare, ha vinto le elezioni presidenziali. Una giocata vincente per un piatto forte, con grandi implicazioni, per tutti i giocatori del tavolo verde Latinoamericano. Una coraggiosa giocata al buio questa di Chavez, indebolito da una lunga gestione del potere non sempre limpida, da un sbilanciamento filosocialista, da un persistente cancro contro un Henrique Capriles, che godeva del sostegno di tutti media privati, dell’appoggio internazionale [USA e UE], di tutta l’imprenditoria interna e delle multinazionali, in prima fila quelle del petrolio e che ha fatto l’occhiolino al popolo venezuelano oltre che alla sua borghesia.
Ha vinto le elezioni democraticamente con una percentuale del 54% circa contro il 56% che ebbe nel dicembre del 1998 quando si presentò la prima volta, con la differenza che oggi – ci dicono - ha partecipato alla tornata elettorale circa 82% degli aventi diritto, mentre allora fu il 76%: percentuali prossime a quelle italiane ma di gran lunga superiori alla media europea, per non parlare degli USA.
Certo, la paura di perdere deve essere stata tanta. Dal palazzo di Miraflores, Chávez ha mostrato ai suoi sostenitori la spada del padre della patria, Simon Bolivar e ha detto che s'impegna a costruire "un Venezuela potente ogni giorno più democratico, più libero e più giusto". Poi ha ringraziato gli oppositori di Capriles, i quali hanno riconosciuto la vittoria del popolo.
La forza di Chávez continua ad essere riposta nei programmi sociali finanziati grazie al controllo statale sulla produzione greggio. Ha aumentato il salario minimo, alzato le pensioni, allungato le ferie, ha realizzato, specie da ultimo, un piano urbanistico in grado di rispondere ai problemi delle poblaciones se non risolverli. E i poveri, i lavoratori dell’industria, del campo, dei servizi hanno corrisposto: un voto di scambio? Certo, ma di classe, non di mafia.
La debolezza di Chàvez sta sicuramente nel non far emergere un successore legittimo e carismatico in grado, ora, di supportarlo e, poi, di sostituirlo alla guida del paese, a meno che non pensi, in salsa cubana, che possa essere suo fratello ora governatore dello Stato di Barinas: quello del passaggio delle consegne è il buco nero di tutti gli ismi, dell’ultimo secolo, in Europa, da Franco a Berlusconi, da Ceausescu a Gorbaciov. Un grumo di potere personale impossibilitato dal divenire collettivo, e qui non si parla di gestione democratica dei poteri ma di semplice continuità della specie nella gestione del potere. Hic rodus hic salta, si diceva.
L’irrisolta questione del passaggio dei poteri è la spada di Damocle per Hugo Chàvez come per Fidel Castro, ma lo sarà presto per Evo Morales, e gli altri capi di stato Latinoamericani.
Certo è che si è guadagnato tempo e spazio per verificare e consolidare una felice seppur contraddittoria congiuntura politica nel continente Sud e Centro Americano, favorita anche dal riparo dalla tempesta finanziaria che sconvolge gli equilibri sociali, sicuramente in Europa, ma anche altri continenti. Una condizione, quest’ultima, che lascia uno spazio di intervento a quelle forme di welfare pubblico che altrove nel mondo vanno assottigliandosi e privatizzandosi, e che non possono essere delegate in eterno alle brigate di solidarietà cubane, così come è stato fatto in molti paesi latinoamericani.
La prossima volta, ne in Venezuela ne altrove, basterà il frigorifero e/o il la cucina a gas cinesi a fare la differenza nelle urne.

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!