Quel che segue II. L’urgente e l’importante.
3 gennaio 2017.
Vi ho ascoltato. A volte, quando ero qui con voi, a volte sullo stream del Cideci, a volte attraverso quello che mi raccontano le vostre alunne e i vostri alunni zapatisti.
Cerco costantemente di dare un senso alle vostre presentazioni, al ritmo e alla direzione delle vostre parole. Abbiamo ascoltato esposizioni brillanti, alcune didattiche, altre complesse, la maggior parte polemiche, ma su cui si può discutere. Pensiamo che dovreste farlo tra di voi. Per questo forse sarebbe utile chiarire la confusione esistente tra scienza e tecnologia.
Per il resto, siamo sorpresi quanto voi. L’interesse per la scienza non è qualcosa che è stato ordinato o imposto, nasce dall'interno.
Quando, 23 anni fa, il femminismo venne da noi per reclamare l’imposizione della liberazione delle donne, gli abbiamo detto che non è qualcosa che si può imporre, ma che è un qualcosa che appartiene alle compagne. La libertà non si impone, si conquista. Due decenni più tardi, ciò che hanno ottenuto le compagne renderebbe tristi quelle che si dichiaravano l’avanguardia del femminismo.
Allo stesso modo, neppure la scienza si impone. È il prodotto dell’evoluzione dei popoli, come già spiegato dal Subcomandante Insurgente Moisés.
Vi ho detto che la maggior parte delle vostre presentazioni mi sono sembrate buone, ma su quello che alcuni, molto pochi, hanno esposto, non so cosa dire.
Qualcuno mi ha ammirato, io ho ascoltato con attenzione e speravo che a un certo punto dicesse: “tutto quel che ho detto, è una farsa, ve ne ho parlato per farvi vedere cos’è la pseudo scienza e perché non si fidino del principio di autorità, quello per il quale solo perché uno ha studiato vuol dire che quel che dice è scientifico”. Invece no, è andato avanti fino alla fine.
Gli ho analizzato il volto per vedere se stesse sorridendo maliziosamente, e invece no. Era sinceramente convinto delle assurdità espresse e ha accolto riconoscente gli applausi della folla che ha attirato e di quelli che ha adulato in galleria.
Quando una compagna insurgenta ha sentito che non bisogna più fare bambini, che è meglio adottarli, perché ci sono già molte persone sul pianeta, mi ha detto: “ma così le persone non fanno altro che finire, non serve la Idra, basta con quest’idea. E questa è un’idea da ricchi; anche solo uno o due, sono già troppi i ricchi e avanzano, disturbano e non servono. Quest’idea ci dice che non bisogna lottare per costruire un altro mondo, ma che basta usare contraccettivi”.
Vi racconto quello che qualcuno, a sua volta, mi ha narrato tempo fa, quando il mondo somigliava a una mela in attesa del morso del peccato originale.
C’era un uomo che spiegava quel che faceva per vivere. Usava un metodo che chiamava “la vipera boa”. Aveva un accompagnatore. Insieme, imbottigliavano vaselina in piccoli barattoli e gli mettevano etichette sulle quali si leggeva “Pomata Tuttotutto” e in minuscolo dicevano che la pomata curava proprio tutto, dall’Alzheimer al mal d’amore, passando dalla poliomielite, il tifo, la perdita dei capelli, il malocchio, i molari con le carie, il cattivo odore dei piedi o dell’alito e altri mali che ora non ricordo.
Quel che faceva quella persona è: si fermava in un angolo e cominciava a inveire contro zoo e circhi, che poveri animali, che erano rinchiusi e così via. E proclamava: “Vi mostriamo quindi una vipera boa, lunga 7 metri, che abbiamo trovato nelle fogne, e che abbiamo soccorso e curato, e che ora vi mostriamo, signore, signori, giovani, signorine, bambini e pubblico in generale”.
La gente si avvicinava curiosa, soprattutto perché la vipera non si vedeva da nessuna parte, c’era solo una valigetta piena di piccoli barattoli di pomata “Tuttotutto“.
Quando considerava che ci fosse un numero sufficiente di persone, si girava verso il suo assistente e diceva a voce alta: “Aiutante, por-ta-mi la vipera!”. Lui, complice, annuiva e correva chissà dove.
L’uomo vedeva il suo assistente allontanarsi. Scegliendo a caso, diceva a qualcuno vicino a lui: “Sembra incredibile, ma così come lo vede, quel povero ragazzo appena poche settimane fa non riusciva a muoversi, neppure con un bastone, solo con la sedia a rotelle. E guardi adesso. Sembra un miracolo, eppure no. A quanto pare, per mia fortuna, ho trovato la formula scientifica di un medicamento che lo ha guarito. Guardi, le faccio vedere”.
Naturalmente, il commento era “innocente” e teoricamente era indirizzato a una sola persona, ma aveva fatto in modo che fossero in tanti a sentire. Si dirigeva poi verso la valigetta, prendeva un barattolo e diceva alla prima persona: “Ecco, questo è quello che le dicevo”. La persona prendeva il barattolo e leggeva la scritta, mentre l’uomo si distraeva, mettendo a posto i barattoli, guardando verso dove era andato il suo aiutante e dicendo tra sé e sé: “perché ci mette così tanto tempo questo ragazzo? spero che non gli sia scappata la vipera boa, che se no domani esce sul giornale e povero animale, magari lo rinchiudono o ci fanno borse e scarpe.“
Nel frattempo, l’innocente che aveva ricevuto il barattolo, lo mostrava alla persona che aveva accanto e gli raccontava la storia del ragazzo che era andato a cercare la vipera. In pochi minuti, il barattolo era già passato tra le mani a una decina di persone, e l’uomo diceva dunque: “Restituite la medicina alla signora, al signore, al giovane, alla signorina”, e aggiungeva, “la tenga, gliela regalo, la provi e vedrà”.
Poi altri si avvicinavano a chiedere il campione gratuito e l’uomo, spiaciuto, si scusava: “No, mi dispiace, non posso regalarne a tutti, questo è un ordine speciale per il Ministero della Salute. Beh, però è meglio che ne approfittiate voi e non quei disgraziati del governo, datemi giusto 10 pesos per la fabbricazione e per sostituire quello del governo”.
Era sufficiente che si avvicinassero 5 persone, per far sì che se ne aggiungessero altre, e ben presto aveva già attorno una discreta quantità di persone. Le persone stesse parlavano tra loro su di cosa si trattasse e l’uomo, fingendosi indifferente, si limitava a incassare, mentre si lamentava del ritardo del suo “aiutante” e della famosa vipera boa.
Era una questione di minuti, e l’assistente tornava tutto agitato e preoccupato e diceva qualcosa all’uomo a bassa voce, lui diceva solo “Oddio! Davvero? Sei sicuro?” Recuperava rapidamente la sua valigetta ormai vuota, o quasi, e rivolgendosi alla gente diceva: “Correte! La vipera è fuggita! Adesso arrivano la pattuglia e i soldati” e si mettevano a correre spaventati. L’allarme si diffondeva e anche la gente si disperdeva.
Gli ho chiesto quanto costa fare la medicina in questione. Ha detto che i barattoli li raccoglievano dalla spazzatura e che la vaselina gli costava all’incirca un peso a barattolo. In quel modo guadagnava circa 100 pesos al giorno, quando il salario minimo è di $ 8,00 al giorno.
Beh, voglio solo dirvi, a chi ha voluto applicare tale metodo a questo incontro, che, nonostante abbiate un titolo di studio accademico, non compreremo i vostri barattoli. Penso che dovrete cercarvi un altro angolo dove vendere la vostra merce scadente.
– * –
Forse qualcuno conserva l’immagine dell’indigeno ignorante e ingenuo, e pensava di poterci dire che avrebbe parlato di una cosa, sapendo dal principio che avrebbe parlato di qualcosa di diverso che non ha nulla di scientifico. Dai, non riesce neanche ad essere una pseudo scienza, sulle reti sociali ho letto cose elaborate meglio, più ingegnose e altrettanto false, dall'inizio alla fine.
E lasciate che vi dica: se vi lamentate che all’interno dell’accademia non vengono prese in considerazione questioni puramente esistenziali, neanche qui.
Che all’interno dell’accademia non viene preso in considerazione l’attivismo politico, neanche qui. Ma vi dirò da chi viene preso in considerazione: dalla sinistra istituzionale. Lì sì, andate a dire: sono dottore di non so cosa, ho partecipato a molte marce, incontri, corsi, allora sì vi mettono a dirigere qualunque cosa, o come consulenti, o come coordinatori.
Qui no, se venite perché ne sapete di matematica, ecco, quello ci interessa, anche se non sapete cosa sia il plusvalore o la lotta di classe, e neppure se “La Internazionale” sia una canzone di lotta, un’opera o il nome di un negozio di alimentari.
Come vi ha già accennato il Subcomandante Insorgente Moisés, la scienza è scienza, sia che tu sia partidista o zapatista.
Non vale neppure che ci vengano a lusingare o a corteggiare, anche se penso che funzioni nel mondo accademico istituzionale.
Non valgono neanche i ricatti sul colore della pelle, l’orientamento sessuale o il credo religioso. O sai o non sai di cosa stai parlando, non conta se hai la pelle scura, o bianca, o rossa, o gialla, o nera, o bicolore; non conta se sei uomo, donna, omosessuale, gay, trans o qualsiasi altra cosa; non conta se sei cattolico, o musulmano, o ateo, o agnostico, o maomettano, o qualsiasi altra cosa a patto che, quando si tratta di fare scienza, tu faccia scienza, non religione, filosofia o la ciarlataneria che è di moda sulle reti sociali.
Qui non si fanno discriminazioni. Le differenze non sono un demerito, ma non sono neanche un merito.
Per quanto riguarda le sofferenze o i drammi personali, ok, sono comprensibili. Ma dovete capire che siamo un pessimo pubblico da impietosire. Tutto quello che avete sofferto e soffrite, non può essere comparato con ciò che è stato, ed è, essere ciò che siamo come lo siamo.
Ma capisco cosa succede, ognuno si masturba come può. Tuttavia, non ci sembra onesto mentire dicendo che sareste venuti a parlare di scienza invece che dei vostri problemi esistenziali.
Ma le compagne e i compagni sono nobili e comprensivi. Vi abbiamo invitato a parlarci e abbiamo mantenuto la promessa, vi abbiamo ascoltato con rispetto, il che non significa che ci beviamo qualsiasi vostra molestia. Noi, abbiamo mantenuto la promessa. Alcune persone non l’hanno fatto.
Immaginate che questa sia un’assemblea di uno dei villaggi zapatisti, e che veniate a esporre i vostri progetti. A parlare di biologia, di medicina, di laboratorio, di analisi cliniche, di agro-ecologia, di ingegneria, di farmaceutica, e che l’assemblea vi dica avanti, che è urgente. Di fisica, di chimica, di matematica, di vulcanologia, di astronomia, e altre scienze, e che l’assemblea vi dica avanti, che è importante.
E se qualcuno viene a dirci che la scienza deve fare filosofia postmoderna e prendere in considerazione le variabili esistenziali di ognuno, beh, l’assemblea lo ascolterà, ma non gli dirà di andarsene. Gli proporranno di infiltrarsi da Skynet e di convincere l’Intelligenza Artificiale a seguire la proposta scientifica che sostengono. Sono sicuro che collasserebbe ben presto, cosa che allevierebbe la dualità sofferta da John Connor, e libererebbe l’intera umanità dai sequel di Terminator.
Chiaramente, io vi consiglio di studiare davvero in modo da rendervi conto che siete più dalla parte di Aristotele e Tolomeo che di Copernico, Galileo e Keplero.
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L’Apocalisse secondo Difesa Zapatista.
Montagne del sud-est messicano. Territorio in resistenza e ribellione. C’è una scuola autonoma. Un’aula. Al suo interno, la promotrice dell’istruzione parla alle bambine e ai bambini zapatisti:
“Prima di uscire vi racconterò una storia, un racconto, voi dovrete pensare e rispondere alla domanda che vi farò quando conoscerete già la storiella”.
In uno dei banchi in fondo, una bambina smette di disegnare sul suo quaderno diagrammi complicati che, anche se sembrano di flusso, sono in realtà tattiche calcistiche. Accanto alle linee e alle frecce si legge “quando completeremo la squadra”. Ai piedi della bambina c’è un pallone, sfilacciato e pieno di bernoccoli, e sul suo grembo sonnecchia una specie di gatto… o cane … o qualunque cosa sia.
Non solo la ragazza, ora tutta la classe è in attesa delle parole della promotrice, che dice:
“C’è una voce che ci racconta quel che vede. Dice di far finta che il mondo stia finalmente per finire, e che si vede che ci sono solo due uomini. I due sono uno di fronte all’altro, e non si parlano, ma si vede che sono molto coraggiosi. Sono gli unici uomini che restano, tutti gli altri sono già morti. Sono gli ultimi uomini sulla Terra. Non si parlano né si guardano, ma stanno discutendo infuriati. E non si guardano né si parlano perché si stanno mandando messaggi sui loro cellulari. Vale a dire che, come si suol dire, stanno litigando come se i loro cellulari fossero delle armi, le uniche rimaste perché il mondo sta finendo. Si stanno rimproverando molto arrabbiati, e solo restano loro due. E uno sta dicendo all’altro, cioè gli sta mandando un messaggio:
“È colpa tua perché con la scienza hai fatto la distruzione.” (send)
L’altro vede il messaggio sul suo cellulare e si arrabbia e risponde:
“No, è colpa tua perché, invece della scienza, hai detto che è meglio fare come i vecchi primitivi e non usare la tecnica”. (send).
L’altro, si arrabbia ancor di più e si vede nel suo sguardo che è come se volesse bruciare lo schermo del cellulare. E poi scrive:
“No, è colpa tua perché con le tue scienze e le tue tecniche sono state fatte le armi che hanno permesso persino il massacro dei poveri animali”. (send)
L’altro vede il messaggio e ha uno sguardo del tipo “adesso vedrai maledetto” e risponde:
“No, è colpa tua perché hai detto che non bisogna imparare la scienza perché la scienza è cattiva perché non rispetta la Madre Terra e le fa del male.” (send).
L’altro guarda con molto odio lo schermo e si scaglia sui tasti a dice:
“No, è colpa tua perché credi di sapere molto con la scienza e non prendi in considerazione le necessità delle persone e fai il superiore e credi che io non sappia molto, convinto che nessuno possa batterti e tutte le cavolate che hai detto.” (send).
L’altro non riesce a credere a quel che legge e si arrabbia talmente tanto e guarda l’altro e con uno sguardo, come per dire, “morirai, disgraziato!”. Allora scrive:
“No, è colpa tua perché hai criticato la scienza solo per pigrizia, perché non vuoi studiare né imparare, perché si vede chiaramente che il coyolito ti ha appesantito”. (send).
Continuano così quei due, litigando arrabbiati con i loro cellulari. Non lo sanno, ma quello è l’ultimo giorno, quando arriverà la notte, tutto finirà. E a forza di litigare guardando i loro cellulari, non si accorgono che il sole sparisce dietro la montagna e si oscura tutta la terra”.
La promotrice dell’educazione, che ha sfruttato tutto quello che aveva imparato durante la formazione per raccontare la storia, conclude:
“Beh, questa è la storia che ha raccontato la voce. Quindi la domanda che dovete rispondere è “Quale dei due uomini è sopravvissuto alla fine del mondo?”.
Le bambine e i bambini si mettono a pensare.
Nelle prime file della classe è seduto Pedrito. Dice che è per fare attenzione, ma sappiamo bene che è molto innamorrrato della promotrice, ma non vogliamo farlo pubblico perché è un suo segreto.
Pedrito alza la mano per chiedere la parola.
La promotrice sta per dire “Vediamo un po’ cosa ne pensi Pedrito”, ma dal fondo dell’aula si alza una voce infantile femminile:
“È facile.”
Tutti, compresa la promotrice, si girano a guardare la bambina che si è alzata in piedi e ha già lo zaino a tracolla con il quaderno e la penna al loro posto. Tra le mani regge il pallone rovinato, mentre per terra il Gatto-cane si stira per svegliarsi. La maestra dice con rassegnazione:
“Vediamo un po’ Difesa Zapatista, dicci cosa ne pensi.”
La bambina si avvicina alla porta della classe mentre spiega:
“È facile la risposta, perché è chiaro che la colpa della fine del mondo è dei fottuti uomini, sono dei maledetti con quella loro “patriarcheria”, che ormai si fa fatica a crederci. E non hanno studiato l’Idra che con la sua ingordigia danneggia l’intero pianeta Terra. Quindi se ne stanno lì, da maschiacci, a litigare con i loro cellulari e le loro canzoni di cavalli e amori e poi di nuovo di crepacuori, che si decidano per una volta.
Vabbè, maestra, per farti capire, come donne che siamo, ti spiego la parola: “patriarcheria” vuol dire che comandano solo gli uomini e vogliono che noi donne siamo dipendenti da quello che vogliono, questo e quest’altro, e poi ci dicono che ci vogliono molto bene e che abbiamo degli occhi molto belli e credete davvero che stiano guardando gli occhi, no, guardano qualcos'altro. E io non so cosa guardino perché non mi sono ancora cresciute, ma le mie mamme mi hanno detto che i fottuti uomini fanno così. E io, quando sarò grande, che non ci pensino neanche, che solo gli darò sberle e calci se mi guardano male. Quindi la “patriarcheria” è che i fottuti uomini vogliono solo che gli prepariamo il pozol e ci danno comunque fastidio perché vogliono il loro bacetto. Credi che gli daremo il loro bacetto? Niente di niente, invece che un bacio, si prendono una sberla. E poi credono che ci faremo convincere con canzoni sui cavalli. Sono proprio rimbambiti, vediamo se trovano un cavallo che gli prepari il pozol, vediamo cosa trovano, proprio niente…”
La maestra conosce già la bambina, quindi la interrompe:
“Vediamo un po’ Difesa Zapatista, rispondi alla domanda”.
La bambina è già quasi arrivata alla porta. Mentre, ai suoi piedi, il Gatto-cane agita allegramente la coda, risponde:
“È facile, nessuno dei due uomini sopravvive, muoiono da stupidi. Ed è chiaramente per colpa della patriarcheria che finirà il mondo, ma non finisce proprio niente, perché c’è chi vive e si tratta della compagna che racconta la storia. Perché se non è una compagna che racconta la storia, allora non c’è nessuna storia. E la compagna che racconta la storia porta un bébé nel suo scialle e, come si suol dire, gli sta dando una lezione di politica, al bébé, per insegnargli che tra donne dobbiamo sostenerci.”
La bambina non aspetta per sapere cosa dice la promotrice dell’istruzione e, dando per scontato che la sua risposta sia corretta, esce correndo e urlando “A giocare!”, mentre il Gatto-cane e il resto della classe la seguono.
La promotrice dell’educazione sorride mentre guarda i suoi quaderni e i suoi libri, tra i quali ce n’è uno che s’intitola “Antologia del XX Anniversario. Congresso Nazionale Indigeno. Mai più un Messico senza di noi”. E prima di andarsene, la maestra si accorge che non tutti i bambini sono usciti.
Al banco davanti, è seduto Pedrito, triste e afflitto. La promotrice va a sedersi accanto a lui e gli chiede:
“Cosa c’è che non va Pedrito, perché sei triste?”
Pedrito sospira e risponde: “Non ho potuto rispondere perché Difesa Zapatista mi ha tolto la parola.”
“Ah”, dice la maestra, “non ti preoccupare Pedrito, qual era la tua risposta?”
Pedrito, con tono di ovvietà, spiega:
“Beh, io avrei risposto che la storia non regge, perché se restano solo due uomini che litigano con i loro cellulari, allora chi sta lavorando per far sì che ci sia connessione per il cellulare? Ciò significa che ci sono altri che stanno ancora lavorando, vale a dire che non ne restano solo due. Cioè, per intenderci maestra, manca logica nella sua storia, manca coerenza nell’argomento. Quindi la risposta è che la premessa è errata e quindi la conclusione, qualunque essa sia, è falsa. Sarebbe stato chiaro se si fosse applicato il pensiero critico all’analisi” (mi pare che Pedrito parlasse così, se un giorno doveste conoscerlo vedrete che non me lo sto inventando).
Pedrito, dopo aver parlato, ritorna alla sua posizione di dolore e tristezza.
La promotrice di educazione sta pensando cosa vogliano dire le parole “coerenza” e “premessa” e che con Pedrito è sempre così, usa parole che mettono in difficoltà persino il Comando. La promotrice non ha nessuna difficoltà a chiedere a Pedrito cosa significhino quelle parole, ma nota che Pedrito è triste, quindi lo abbraccia e dice:
“Non ti preoccupare Pedrito, anche la tua risposta va bene.”
Pedrito, sentendosi abbracciato, diventa di tutti i colori e fa una faccia da “nessuno mi ha mai abbracciato”, come gli ha insegnato il defunto SupMarcos. Mentre si lascia coccolare, Pedrito pensa che sia stato un bene che Difesa Zapatista abbia risposto per prima, così almeno la promotrice lo sta abbracciando e, grazie a quell’abbraccio, Pedrito capisce che il mondo non finirà, che finché durerà l’abbraccio, il mondo continuerà a dare opportunità alla vita, perché la vita è proprio questo, un abbraccio.
Pedrito sta riflettendo su tutto questo quando, sulla porta, appare la bambina e dice: “Sbrigati Pedrito, dobbiamo completare la squadra per fare la sfida”.
Pedrito si separa dall'abbraccio della promotora come se il cuore gli venisse strappato, eppure va verso la bambina, perché lui, oltre che bambino, è zapatista, e uno zapatista non può lasciare che la squadra non sia completa per colpa sua. Prima di uscire, Pedrito dice alla bambina: “ti dico chiaramente che il portiere non lo faccio, meglio mettere il cavallo color cioccolato in porta, io voglio fare l’attaccante“.
“Difesa Zapatista” non permette che l’ultima parola della storia sia di un bambino, e allora dice:
“Attaccante un cavolo. Il SupGaleano mi ha fatto vedere dei video e ormai ho un nuovo piano. Adesso giochiamo con la scienza del “calcio totale” degli arancioni olandesi. Tu ci credi che non c’è bisogno di studiare per il gioco? Entrambe le cose, con le scienze e con le arti. Poi ti spiego. Completiamo la squadra e vedrai, tu non preoccuparti, che saremo di più, a volte ci vuole tempo, ma saremo di più”.
Il bambino e la bambina se ne vanno. Allora si vede che la bambina indossa una maglietta arancione che le arriva quasi ai talloni dove sul retro con lettere storte c’è scritto “Cruyff” e sotto si legge: “Resistenza e Ribellione“.
A un lato del pascolo, li aspetta un gruppo eterogeneo composto da: un vecchio cavallo che mastica con parsimonia un pacchetto vuoto di tabacco; un uomo di bassa statura con i capelli grigi, che trema nonostante il cappotto che indossa; un altro uomo alto e magro che si distingue per la sua altezza e per il cappello strano che indossa e che guarda con interesse, attraverso una lente di ingrandimento, uno strano animaletto che, da lontano, sembra un cane … o un gatto … o di un gatto-cane.
Nelle vicinanze, dove la comunità è impegnata a graffiare il muro, delle mani anonime hanno fatto, in basso a sinistra, un graffito che esplode di colori. Su di esso si legge:
“Siamo il Congresso Nazionale Indigeno e andiamo avanti su tutti, per tutte e tutti.”
Lontano da lì, in un bunker, le sirene d’allarme ululano e la terra trema.
In alto, il fratello John Berger, sorridente, ha disegnato una domanda con le nuvole, per quelli che guardano in alto: “E tu? Che fai?”
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L’urgente e l’importante.
La storia che vi racconterò è un po’ triste. Lo è perché contiene le lacrime di una bambina zapatista. Nonostante questo, o proprio per questo, ve la racconto perché, sentendovi parlare, esporre, riflettere e cercare di rispondere e d’insegnare, ho immaginato quel che segue. Non so se lo avete fatto. Se no, ve lo raccomando, pensate a quel che segue.
Ho immaginato che ci trovassimo in un altra epoca, nel futuro. Ecco:
Senza essere preceduta da una palla, era arrivata alla mia capanna “Difesa Zapatista”. Sul suo volto si vedeva che aveva pianto, e alcune lacrime le brillavano ancora sulle guance. “Difesa Zapatista” dice che le bambine non piangono, che è una cosa da uomini, che le donne sono forti. Quindi ho capito perché la bambina era venuta alla mia capanna, dove abitano solo fantasmi e silenzi. Qui è al sicuro, qui può piangere senza che nessuno, a parte me, la guardi. Qui può conservare la sua forza in un cassetto e lasciare che il sentimento le riempi lo sguardo e renda liquido il dolore.
Non ho detto niente. Ho fatto finta di non guardarla, come se stessi spazzando il pavimento dal tabacco e dai pezzi di carta accartocciata sparsi intorno al tavolo.
Alla fine, si è asciugata le lacrime dagli occhi con la bandana rossa, ha sospirato e si è schiarita la voce per dirmi:
“Hey Sup, sai cos’è un brutto sogno?”
“Di per sé”, ho risposto, “i brutti sogni si chiamano pesadillas (incubi).”
Lei ha chiesto interessata, “e qual è il lavoro delle quesadillas, chi li ha fatte e perché?, perché sono molto brutte.”
“Si chiamano “pesadillas” (incubi), non “quesadillas”. Le quesadillas sono buone se hanno il formaggio. Le pesadillas (gli incubi) non sono buone. Ma perché me lo chiedi?”
“È che il sogno è stato molto forte e mi sono svegliata con e un dolore al ventre, come se non fosse pieno, e mi fa male”, ha detto.
“Dimmi, allora,” l’ho incoraggiata e mi sono acceso la pipa.
“Beh, pare che ho sognato che eravamo all’assemblea del villaggio, e che la situazione era una merda per colpa del cattivo sistema. E che molte persone stavano venendo a chiedere accesso al villaggio perché altrove non si può più vivere, quindi la gente viene perché noi come zapatisti ci prepariamo.
Ma stavano arrivando persone persino da altri paesi che non so nemmeno dove si trovino.
Allora il cibo non era abbastanza e la comunità doveva far produrre di più la terra, perché, come zapatisti, dobbiamo sostenerci tra i vari popoli del mondo, perché siamo, come si suol dire, compagni.
Quindi l’assemblea sta cercando di capire come si organizzerà per dare da mangiare a queste sorelle e a questi fratelli.
A volte succede che qualcuno dell’assemblea dica che bisogna cercare nuovi terreni per seminare.
Poi un altro dice che ha visto che, nel pascolo dove abbiamo giocato a calcio, è già fiorito il Petumax con i suoi fiori, sul bianco, no, piuttosto sul grigio, ma non, o forse no, credo color crema, o non so si chiami il colore.
E che ha visto che c’è anche i Chene´k Caribe, ed è vero perché io gioco con i suoi fiori come se fossero pulcini.
E ha visto anche il Sun che sembra un girasole, ma non lo è.
Allora il compagno ha detto che ciò significa che la terra del pascolo è buona, che si possono già seminare il mais e i fagioli.
Allora io mi sono preoccupata, come si suol dire, perché lì nel pascolo vive il cavallo color cioccolato li dove abbiamo giocato a calcio. Beh, non abbiamo proprio giocato perché non avevamo completato la squadra, ma abbiamo fatto pratica e ci siamo allenati duramente.
Poi l’autorità ha chiesto all’assemblea se fosse d’accordo che si seminasse nel pascolo e che diventasse quello il campo, o se qualcuno non era d’accordo doveva dirlo per vedere come fare.
Allora tutta l’assemblea è rimasta in silenzio e nessuno ha preso parola. E io voglio parlare per dire che non seminino nel pascolo, perché se no non potremo più giocare, o anche allenarci. Ma non so come dirlo, perché vedo che serve il cibo per sostenere gli altri, le sorelle e i fratelli.
E sono angosciata perché nessuno dice niente e non so come convincere l’assemblea, e vedo nello sguardo dell’autorità che deciderà che, se nessuno ha altro da dire, verrà approvato che si semini nel pascolo.
E io sono lì, che cerco un’idea che non riesco a trovare, e mi dà coraggio il fatto che non trovo le parole giuste e insieme al coraggio mi scendono le lacrime, ma non sto piangendo, è il coraggio di non sapere.
E proprio in quel momento mi sono svegliata e sono venuta qui di corsa. E lungo la strada mi sono fatta ancor più coraggio grazie a quel brutto sogno, accidenti a chi me lo ha mandato e a perché l’ha fatto”.
Mentre parlava, le espressioni del volto di “Difesa Zapatista” riproducono il dolore e la disperazione.
Io sono rimasto zitto, ma la bambina mi fissava in attesa che dicessi qualcosa.
Cosciente che “Difesa Zapatista” non era venuta semplicemente a chiacchierare, e neppure solo per sfogarsi, stavo cercando le parole giuste, perché avevo capito che la bambina non era venuta solo a nascondersi, ma anche a cercare risposte e io, che sono il subcomandante d’acciaio inossidabile, quello che, secondo il criterio di “Difesa Zapatista”, ha il grave difetto di essere uomo, ma nessuno è perfetto, e poi io lascio pure che il gatto-cane salga sul tetto e lo rovini, a volte ho biscotti da condividere (che, per Difesa Zapatista significa che lei e il suo piccolo animale si magnano tutti quelli che mi piacciono e pure quelli che non mi piacciono e mi lasciano solo il pacchetto vuoto), e racconto storie in cui lei e il suo gruppetto fanno cattiverie e ne escono trionfanti.
Insomma vi sto presentando, come si suol dire, il contesto, per farvi capire che la bambina in realtà non era venuta a raccontarmi un brutto sogno, ma a presentarmi un problema.
Visto che avevo guardato nel baule dei ricordi che il defunto SupMarcos mi ha lasciato in custodia, mi sono ricordato di aver visto qualcosa che sarebbe potuto servire. Ho fatto segno a “Difesa Zapatista” di aspettare, e ho cominciato a cercare e ho trovato quel che cercavo sotto i disegni che aveva fatto John Berger quando era stato qui al Cideci. Le pagine erano sbiadite, macchiate di tabacco e umidità, ma la scrittura maldestra del defunto era ancora leggibile.
Ho ricaricato la pipa e l’ho accesa. Ho letto quasi in silenzio, facendo solo alcuni gesti ed emettendo grugniti incomprensibili.
La bambina mi ha guardato, in sospeso, in attesa. Il gatto-cane aveva lasciato in pace il mouse del computer e, con le orecchie tese, aspettava.
Dopo aver fatto l’importante per alcuni minuti, ho detto,
“Ecco, nessun problema. Ho trovato la soluzione al tuo incubo. Pare che in questo scritto il defunto SupMarcos, che il dietto lo accolga nella sua gloria santa e che la verginetta lo riempia di benedizioni, spieghi che gli incubi sono problemi e che possono essere alleviati se si risolve il problema dell’incubo.”
Dice quindi che i sogni sono le soluzioni degli incubi.
Che quel che bisogna fare è trovare la soluzione e così nascono i bei sogni.
Così ti risparmi un sacco di soldi tra psichiatri, psicologi, terapisti e antiacidi. Ok, forse questo non è il caso.
E, in quest’altro scritto, dice che il problema è solo quello di sapere cos’è urgente e cos’è importante.
L’urgente è quello che bisogna fare adesso e l’importante è, ad esempio, quello che sai che bisogna fare.
Ad esempio, nel caso del brutto sogno che mi hai raccontato, l’urgente è che i compas devono aumentare la produzione di cibo; e l’importante è che non si perdi il posto per giocare.
Si tratta quindi di un problema serio, perché se tiene il posto per giocare, allora non si semina e c’è la fame; e se si semina, allora non c’è più un posto per giocare. “
“Difesa Zapatista” annuiva convinta di quel che le stavo dicendo. E ho continuato:
“Allora, il defunto dice che questa si chiama “opzione esclusiva”, vale a dire che o fai una cosa e ne fai un’altra, ma non non si possono fare entrambe. Il SupMarcos dice che è quasi sempre falso, cioè che non per forza si può fare solo una cosa o l’altra, ma che si può immaginare qualcosa di diverso. E fa l’esempio di popoli originari, cioè indigeni.
Dice: “Per esempio, i popoli originari, per secoli, fanno sempre entrambe le cose, l’urgente e l’importante. L’urgente è sopravvivere, cioè non morire, e l’importante è vivere. E lo risolvono con la resistenza e la ribellione, vale a dire che si rifiutano di morire e allo stesso tempo creano, con la ribellione, un altro modo di vivere. Dicono quindi che, nel limite del possibile, bisogna pensare di creare qualcosa di diverso. “
Ho abbandonato i fogli e mi sono rivolto a “Difesa Zapatista”:
“Quindi penso che quel che puoi fare per il problema del tuo brutto sogno, è spiegare all’assemblea quel che è urgente e quel che è importante.
Vale a dire che entrambe le parti hanno avuto una buona idea, ma che se ne scelgono una fottono l’altra.
Quindi spiega all’assemblea che non per forza dev’essere una cosa o l’altra, ma che bisogna pensare a qualcos’altro, a qualcosa di diverso che includa entrambe le cose.
Così non si risolve il problema dell’assemblea, e neppure il tuo, diventerebbe un altro problema.
E per il nuovo problema, dovete pensare entrambi, sia tu sia l’assemblea”.
Per tutto il tempo, la bambina era rimasta seduta, tranquilla, con il mento appoggiato sulla piccola mano, prestando attenzione.
A differenza del solito, anche il gatto-cane era rimasto tranquillo.
“Difesa Zapatista” è rimasta in silenzio, fissando il pavimento.
Non so molto di quello che succede nella mente di una bambina. Di un bambino sì, perché forse non sono maturato nonostante i chilometri trascorsi. Ma le bambine, anche se hanno già una certa età, rimangono un mistero che forse un giorno le scienze potranno risolvere.
Improvvisamente, “Difesa Zapatista” si è girata a guardare il Gatto-cane, e il suddetto, a sua volta, l’ha guardata.
Lo sguardo reciproco è durato solo pochi secondi, e il Gatto-cane ha cominciato a saltellare, ad abbaiare e a miagolare. Il volto della bambina si è illuminato e ha quasi gridato:
“Sì, il Gatto-cane!” e ha iniziato a saltare e a ballare insieme al suddetto.
Io non solo ho fatto una faccia che esprimeva che non avessi capito nulla, è che non capivo proprio cosa stesse succedendo. Eppure, rassegnato, ho aspettato che “Difesa Zapatista” e il Gatto-cane si calmassero, cosa che non è successa per diversi minuti che mi sono sembrati eterni.
Per finire è smesso il borbottio e la bambina, ancora agitata, frenetica, mi ha spiegato:
“È il Gatto-cane, Sup! Devo portare il Gatto-cane nel mio brutto sogno e devo portarlo all’assemblea e lui mi aiuterà e diventerà un bel sogno.
Ecco la soluzione del problema, anche se non l’aveva studiata.
È il Gatto-cane, è sempre stato il Gatto-cane.”
Credo che la mia faccia da “¡What!” dev’essere stata molto evidente, perché “Difesa Zapatista” si è sentita in dovere di chiarire:
“Ti spiego, Sup: il Gatto-cane è per caso un gatto? Beh, no. È un cane? Neanche. Quindi non è né una cosa né l’altra, ma è qualcos’altro, è un gatto-cane. Se faccio vedere il Gatto-cane all’assemblea, vedranno chiaramente che bisogna fare qualcosa di diverso, che saranno entrambi reciprocamente felici. “
Non riuscivo a capire come l’assemblea sarebbe arrivata, per così dire, a quel “salto epistemologico”, o qualunque cosa sia il Gatto-cane, e la scelta tra il pascolo per giocare o quello per seminare. Ma sembra che per “Difesa Zapatista” non fosse un problema.
Il giorno successivo, di strada per il villaggio, sono passato dal pascolo. La notte cominciava a nascere dalla terra e in qualche modo continuava il rumore di quelli che graffiavano la parete. C’era ancora abbastanza luce, perché “Difesa Zapatista” era nel prato, insieme ad un gruppo in cui ho riconosciuto il vecchio cavallo color cioccolato che a volte accompagna il Gatto-cane, e Pedrito. C’erano anche due uomini, uno basso e l’altro alto, che non ho riconosciuto e ho immaginato che fossero della Sexta e che la bambina stesse cercando di integrarli alla sua squadra sempre incompleta.
La bambina mi ha visto da lontano e mi ha salutato con un cenno della mano. Ho ricambiato il saluto, accorgendomi che “Difesa Zapatista” aveva risolto il problema perché rideva e correva da una parte all’altra, facendo vedere al gruppo dove avrebbero dovuto piazzarsi con una forma che mi è sembrata la figura di una conchiglia.
Ho continuato per la mia strada, ricordando la fine di quel giorno di lacrime quando, ormai sorridente e con il viso illuminato, “Difesa Zapatista” mi ha salutato:
“Adesso vado, Sup, devo andare”.
“Cosa fai?” Chiesi.
Si stava allontanando quando ha gridato: “Vado a sognare”.
Mentre aspettavo che le compagne e i compagni si riunissero per il discorso che mi toccava, è arrivata la notte con i suoi passi e i suoi suoni.
Allora ho pensato che magari il defunto SupMarcos avrebbe voluto essere presente in quel sogno di “Difesa Zapatista” per sapere cosa avrebbe detto la bambina e quale sarebbe stata la decisione dell’assemblea.
O forse c’era. Perché, almeno da queste parti, i morti vanno da una parte all’altra. Con noi ridono e piangono, con noi lottano, con noi vivono.
Grazie mille.
Dal CIDECI-Unitierra, San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico.
SupGaleano.
Messico, gennaio 2017.
Traduzione a cura di 20zln