giovedì 30 aprile 2009

Punizione collettiva a Gaza: l'assedio ha impoverito l'80% della popolazione

La crisi di Gaza

L’85% della popolazione della Striscia di Gaza dipende dagli aiuti umanitari forniti dall’UNRWA, dal Programma mondiale per l’Alimentazione e da altre organizzazioni. Lo rivela un rapporto di Mahirat at-Tabba, direttore delle pubbliche relazioni alla Camera di Commercio di Gaza City.
Il dato trova spiegazioni nelle statistiche dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, secondo cui il tasso di disoccupazione nell’area ha raggiunto il 44,8% nel 2008, per un numero effettivo di 200.000 lavoratori senza impiego. L'assedio ha impoverito l’80% della popolazione gazawi.
Secondo at-Tabba, il settore industriale occupa attualmente la misera cifra di 1.400 operai, contro i 35.000 del periodo precedente al giugno 2007, mese d’inizio dell’assedio. Il 96% dei 3.900 stabilimenti industriali di Gaza avrebbero chiuso per assenza di materie prime. Gli altri sarebbero impianti per la produzione di generi alimentari, che nel migliore dei casi impiegano il 15% della manodopera che potrebbero assumere.
Dal giugno di due anni fa, le esportazioni sono cessate e le importazioni di materie prime hanno conosciuto un blocco pressoché totale. In aggiunta, le tre settimane di offensiva militare israeliana su Gaza a cavallo tra dicembre e gennaio ha provocato la distruzione di numerose fabbriche e officine.

Messico - Governo immobile, e ormai è psicosi

di Matteo Dean*
Se volessimo fare dietrologia, potremmo dire che il terremoto di lunedì scorso a Città del Messico è stato provocato da coloro che oggi in Messico vogliono far tremare ancor di più le coscienze dei messicani. Già travolta da più di due anni di violenza generalizzata causata dalla imprudente guerra al narcotraffico lanciata dall’attuale amministrazione, e ulteriormente spaventata da un virus influenzale che sembra essere addirittura più violento, proprio per la trasversalità della sua azione mortifera, la cittadinanza della capitale messicana è stata ancora una volta messa alla prova da una scossa di terremoto di 6 gradi della scala Richter. Ma la dietrologia serve a poco in queste ore e il terremoto che c’è stato, seppur abbia generato un certo panico, con le strade del centro storico che si riempivano sotto gli alti edifici che si svuotavano e 33 casi di crisi nervosa (immediatamente accolti nelle già affollate strutture sanitarie) non ha distolto l’attenzione dal tema principale di questi giorni: il virus suino. Una condanna collettiva? Un castigo divino? Un’operazione nascosta della solita famelica industria farmaceutica? Non si sa. Troppe son le versioni che nelle ultime ore si diffondono grazie a radio bemba. Quel che è vero, e senza dover ricorrere a giochi della fantasia, è la risposta ritardata ed imprecisa del governo messicano. Nel 2006, l’allora Ministero della Salute, nel quadro della formulazione dell’Associazione per la sicurezza e la prosperità dell’America del nord (Aspan), una sorta di Trattato di libero commercio plus, ma con l’importante capitolo della sicurezza continentale, scriveva un documento di 81 pagine con il laborioso titolo di «Piano nazionale di prevenzione e risposta di fronte all’epidemia influenzale». Il documento riconosceva, d’accordo con le autorità americane, l’assoluta certezza che prima o poi un’epidemia influenzale si sarebbe diffusa nel continente. Si legge nel documento: «L’orologio dell’epidemia corre, ma non si sa che ora stia segnando». Il piano segnala che, secondo dati statistici, all’ora di esplodere l’epidemia, ci sarebbero «200.000 morti in sei mesi, mezzo milione di ricoverati». Il problema del documento è che in nessun momento contempla la mutazione virale e si concentra solo sull’influenza aviaria. E quindi oggi non è difficile immaginare i magazzini del ministero della sanità strapieni di medicinali anti aviari, ma svuotati di quel che oggi sarebbe utile.Ma quel che soprattutto risulta colpevole è il ritardo della denuncia pubblica e delle contromisure. Nell’epoca dell’informazione le notizie corrono ed oggi si sa che i primi casi risalgono ormai a quasi sei mesi fa. E allora che hanno fatto le autorità? Nulla. Hanno solo cercato di contenere il problema. E, soprattutto, atteso fino ad inizio aprile per inviare le provette negli Usa (perché qui in Messico i laboratori ancora non sono attrezzati) e scoprire l’esistenza di un nuovo virus.Ciononostante, l’attenzione è già stata distolta. La violenza del narcotraffico continua a uccidere con lo stesso ritmo dell’inizio dell’anno, ovvero in aumento rispetto alle già allarmanti cifre dell’anno scorso, ma pochi ne parlano. Il feminicidio di Ciudad Juarez, proprio in questi giorni messo a processo dalle istanze internazionali, scompare e le donne assassinate che continuano a morire non si contano più, a differenza delle morti per virus. L’attentato a un leader del sindacato democratico dei maestri passa inosservato e anche se il suo assistente è morto con due colpi di pistola in testa, nessuno muove un dito.E sono solo alcuni fatti di questi giorni. Il decreto presidenziale che concede poteri speciali alle autorità messicane ha già creato le prime vittime: la manifestazione del primo maggio è stata sospesa e si chiede ai partiti politici, che la prossima settima avrebbero dovuto cominciare la campagna elettorale in vista dell’importante scadenza del 5 luglio prossimo, di sospendere ogni attività di proselitismo di massa. Ancor di più: si dice apertamente che si considera annullare le elezioni stesse. D’altra parte, se si ammette che il vaccino per il virus potrebbe essere trovato solo tra sei mesi, il governo sta riuscendo a mettere in quarantena non solo la società messicana, ma l’intero prossimo futuro. La società messicana. Facile parlarne, difficile capirne le reazioni e le conseguenze che avrà la fase attuale. Il panico si diffonde a velocità maggiore del virus stesso. La paura è oggi più comune della normale leggerezza con cui si affronta la vita da queste parti. Il sospetto è incrostato ormai negli interstizi delle relazioni interpersonali. L’abbraccio o il bacio o semplicemente la stretta di mano, così comuni in questa città, diventano tabù. Lo starnuto o un cenno di colpo di tosse motivo sufficiente per isolare il prossimo. Gli sguardi s’incrociano da dietro le quasi inutili mascherine distribuite incessantemente o vendute a prezzi assurdi nelle farmacie.Quegli sguardi che cercano di individuare nei volti altrui i segni di una malattia che non si conosce, perché comunque sia l’influenza, anche quella umana, qui non è comune. E il risultato qual è? Contribuire a completare lo strappo sociale. La coesione sociale già messa in crisi dall’alta disponibilità di violenza promossa dalla famigerata guerra al narcotraffico, oggi riceve un ulteriore colpo alla sua esistenza. A questo punto è sempre più difficile comprendere le proporzioni tra incompetenza e pianificazione da parte del governo messicano. Perché è vero che le autorità hanno reagito con colpevole ritardo. Ma è anche vero che i risultati che stanno ottenendo fanno sospettare altre intenzioni. La crisi istituzionale e sociale, assieme a quella crisi economica, rischiava davvero di mettere in ginocchio non tanto la società messicana ma chi pretende governarla. Ed allora, se non è possibile recuperare la legittimità persa sin dall’inizio (grazie alle fraudolente elezioni presidenziali del 2006) e non vi è comunque interesse a farlo, forse risulta più utile il colpo di mano, il terrore lanciato dai microfoni governativi che riesce a fratturare la coesione antigovernativa che si sta, volenti o nolenti, creando nella società messicana. Pare casuale e probabilmente lo è, ma che questa crisi giunga proprio a poche settimane dalle elezioni e giustamente a pochi mesi dal cabalistico anno 2010 (centesimo anniversario della Rivoluzione messicana e duecentesimo dell’Indipendenza) non può impedirci di pensare alla possibilità che questo virus sta offrendo all’attuale classe politica messicana. Il decreto presidenziale che citavamo prima parla chiaro in questo senso.Tempi indefiniti (sino a fine crisi, ovvero, quando?) per le misure eccezionali che tra l’altro permettono alle autorità di entrare in casa di chiunque, di comprare medicinali e strumenti sanitari al di fuori del controllo parlamentare, vaccinare chiunque senza ordine medico e, soprattutto, offrono la possibilità di sciogliere qualsiasi riunione di più di quindici persone.
* giornalista freelance. Vive e lavora a Città del Messico

mercoledì 29 aprile 2009

La Corte di Strasburgo accetta i ricorsi dei respinti dalle frontiere dell’Adriatico

Una speranza per i profughi di Patrasso
La Corte europea dichiara ammissibili i ricorsi contro Italia e Grecia.

La Corte europea per i diritti umani, con sede a Strasburgo, ha ritenuto ammissibili i ricorsi presentati da 35 profughi afghani e sudanesi. Le controparti chiamate in causa per la violazione dei diritti fondamentali di queste persone sono il governo italiano e quello greco. Questi migranti, infatti, si trovano a Patrasso, in Grecia, dove hanno subito detenzioni arbitrarie e violenze e non sono riusciti, come era loro diritto, a inoltrare richiesta di asilo politico. Gli stessi migranti, inoltre, sono tutti accomunati dal fatto di aver tentato di raggiungere l’Italia imbarcandosi dal porto di Patrasso, di nascosto, a bordo dei tir in transito verso le frontiere dell’Adriatico. In qualche modo, anzi, si può dire che l’Italia l’abbiano tutti raggiunta, anche se per poche ore, prima di venire respinti dalla polizia di frontiera, rinchiusi in una cabina attrezzi della stessa nave con la quale erano arrivati. Questi respingimenti sono tutti avvenuti “senza formalità”, non rispettando alcuna delle leggi che dovrebbero regolare il comportamento dei rappresentati dello Stato di fronte alla presenza di persone che richiedono asilo o, in ogni caso, di esseri umani che devono comunque vedersi riconosciuti, in ogni circostanza, i propri diritti fondamentali. Dopo un lungo periodo di silenzio, in cui porti come quello di Venezia sono rimasti zone extraterritoriali all’interno delle quali tutto questo avveniva senza suscitare alcuna reazione, nell’invisibilità, la situazione sembra oggi finalmente cambiata. Il lavoro delle associazioni veneziane della rete Tuttiidirittiumanipertutti, nell’arco di un anno, ha avuto infatti la capacità e la costanza di denunciare costantemente queste prassi, di spingere a riflettere intorno ai dati riferiti dall’autorità portuale, 850 persone respinte nei primi otto mesi del 2008 di contro ai soli 110 migranti incontrati dal Cir nello stesso periodo, interrogandosi su chi fossero questi ’respinti’ e sui loro diritti violati. Quando nel dicembre del 2008 Zaher, un ragazzino afghano di 13 anni è morto schiacciato sotto il tir dentro il quale si era nascosto, la rete ha chiesto a tutti di porsi una domanda sola, che andasse oltre la commozione di un momento: perché un minore in fuga dalla guerra si nascondeva dalla polizia italiana? La risposta veniva da sé: perché la polizia italiana, spesso, respinge i minori in fuga dalla guerra senza neppure chiedere quanti anni abbiano, esattamente come respinge i profughi in cerca di rifugio senza permettere loro di raccontare il motivo della fuga. Eppure, che in Grecia non si debbano più rimandare potenziali richiedenti protezione internazionale, che lì i diritti di queste persone siano calpestati quotidianamente, lo hanno affermato l’Acnur e Amnesty International, Human Rights Watch e Pro Asyl. Di recente, inoltre, persino il rapporto Hammemberg, della Commissione europea, ha denunciato le gravi violazioni greche in materia di asilo e tutela dei migranti. Nonostante questo, i respingimenti, come confermato da attivisti antirazzisti greci e dagli stessi migranti, non si sono fermati: l’unica differenza è stata che a Venezia, dopo le denunce delle associazioni, i convegni, i dibattiti, le manifestazioni, la polizia di frontiera ha smesso di rendere pubblico il quotidiano bollettino di violazione, fino a poco tempo prima accettato da tutti come fosse una cosa normale e perfettamente legale: "oggi respinti al porto tre, cinque, dieci clandestini". Difficile continuare a rilasciare simili dichiarazioni di fronte ad un lavoro di inchiesta e studio giuridico che ha messo a nudo l’illegalità di queste prassi. La rete di associazioni veneziane ha allora compreso che era arrivato il momento di percorrere a ritroso il viaggio delle persone respinte per riuscire a ridare loro un nome e una storia, e la possibilità di difendere i propri diritti. Per questa ragione, nel febbraio del 2009, una delegazione si è recata a Patrasso e, in un clima irrespirabile, nella situazione di estrema difficoltà in cui sono costretti a vivere i profughi che hanno raggiunto quella città, ha raccolto le loro storie, i loro nomi, le loro immagini. Questo lavoro è confluito nei 35 ricorsi che hanno raggiunto qualche giorno dopo la Corte, elaborati e firmati dagli avvocati Alessandra Ballerini e Luca Mandro, grazie anche all’esperienza e alla collaborazione di Fulvio Vassallo Paleologo. Il governo italiano e il governo greco sono ora sotto inchiesta. Qualcuno dovrà rispondere di tutto quello che sta avvenendo in Grecia ai danni di profughi in cerca di asilo, e in Italia quando queste persone, stremate, cercano di chiedere protezione e vengono illegalmente respinte. Tra i ricorrenti ci sono moltissimi minorenni, bambini che hanno attraversato cinque paesi e sono stati detenuti due,tre, quattro volte. Bambini che, come gli adulti che si trovano con loro a Patrasso, rischiano ogni giorno la deportazione verso la Turchia e da lì indietro in Afghanistan, dove li aspetta la violenza fanatica e senza limiti dei Taliban, le persecuzioni del governo karzai che li considera dei traditori perché sono stati avvicinati dai Taliban, o la morte sotto il fuoco occidentale che da anni non abbandona quel paese. Respingere dall’Italia può voler dire respingere direttamente verso la morte o la tortura. Il lavoro di poche persone che hanno creduto di poter cambiare le cose ’dal basso’, che non hanno accettato che tutto questo avvenisse a un passo da loro, ha portato a disvelare una realtà che si voleva lasciare sommersa. Durante l’assemblea cittadina del 31 marzo, lo stesso giorno in cui un editoriale di Gian Antonio Stella denunciava la pratica di questi respingimenti anche ai danni dei bambini, lo stesso sindaco Cacciari ha dichiarato, di fronte alle immagini girate dalla delegazione a Patrasso, che "la situazione al porto di Venezia, come è stato documentato, è chiaramente illegale e fuori controllo". "Servono però risorse per accogliere queste persone", ha poi aggiunto. Ma il diritto alla vita può davvero essere subordinato alla quantità di risorse disponibili? E verso quali obiettivi orientare le risorse è o no un problema prettamente politico? Ci sono diritti inviolabili, imprescrittibili, inalienabili. Pena la rinuncia definitiva ad un mondo occidentale che, dal secondo dopoguerra ad oggi, ha voluto costruire la propria legittimità autoproclamandosi il luogo dei diritti umani e conducendo, in nome di quei diritti, le stesse guerre che oggi stanno portando alle frontiere d’Europa queste persone in cerca di rifugio. La Corte europea ha ritenuto necessario procedere per accertare la verità. È solo l’inizio ma, almeno per oggi, è possibile essere ottimisti.
Alessandra Sciurba

Comunicato della Rete di associazioni veneziane Tuttiidirittiumanipertutti
Da molto tempo ormai la rete di associazioni veneziane Tuttiidirittiumanipertutti denuncia le quotidiane violazioni dei diritti dei migranti e dei potenziali richiedenti asilo politico che arrivano alle frontiere dell’Adriatico in fuga dalla Grecia, paese rispetto al quale l’Acnur e Amnesty International hanno chiesto di sospendere i respingimenti perché la Repubblica ellenica non garantisce in alcun modo il diritto d’asilo.
Le persone che raggiungono il porto di Venezia e gli altri porti dell’Adriatico, quando intercettate dalla polizia di frontiera, vengono il più delle volte respinte senza formalità, non ricevono un provvedimento argomentato, scritto e tradotto, non incontrano un avvocato né personale civile, vengono chiusi in una cabina sprovvista di bagno a bordo della stessa nave sulla quale si erano nascosti per cercare di raggiungere l’Italia e fare richiesta di asilo, diritto fondamentale che viene in tal modo negato in dispregio della normativa nazionale, internazionale e comunitaria.
Queste persone, come dimostrano le cifre ufficiali dei respingimenti fornite dalla stessa autorità portuale, vengono così rimandate in Grecia per essere soggette ad altre arbitrarie detenzioni e trattamenti inumani e degradanti. Di loro non resta traccia scritta e documentata. La maggior parte di questi migranti proviene dall’Afghanistan ed è in fuga dalla guerra e dalle persecuzioni talebane. Moltissimi di loro sono minorenni, come lo era Zaher, il ragazzino morto a Mestre nel dicembre dell’anno scorso cercando proprio di eludere quei controlli di frontiera che avrebbero potuto rispedirlo indietro violando i suoi diritti fondamentali.
Per permettere a queste persone di uscire dall’invisibilità e poter denunciare quanto avviene loro, una delegazione della rete si è recata a Patrasso nel febbraio del 2009. Lì abbiamo trovato una situazione disperata, ampiamente documentata dalle immagini che abbiamo proiettato nell’assemblea cittadina “Fronte del Porto” tenutasi a Mestre, alla presenza del sindaco Cacciari, lo scorso 31 Marzo.
A Patrasso, abbiamo raccolto le storie di tante persone respinte da Venezia e dagli altri porti italiani, le abbiamo informate dei loro diritti e degli strumenti giuridici a loro disposizione. Il risultato di questo lavoro è stato il fatto che la Corte europea dei diritti umani con sede a Strasburgo ha ritenuto ammissibili i ricorsi individuali dei 35 migranti che li hanno presentati, moltissimi di loro minorenni, ed è quindi adesso pendente un procedimento che vede come controparti il governo italiano e il governo greco rispetto alle violazioni dei diritti fondamentali denunciate da questi migranti.
Questo è un passo importantissimo verso la possibilità reale che si ripristini la legalità e il rispetto dei diritti alla frontiera del porto di Venezia, dove vige una situazione che lo stesso sindaco Cacciari, sostenendo le denunce della nostra rete, ha definito fuori controllo e lesiva dei diritti umani fondamentali delle persone.

Delegazione medica italiana bloccata al valico di Erez (Israele-Gaza)

In data 27 aprile 2009, una delegazione umanitaria costituente la Missione :” Gaza: ricostruire la speranza. Progetti per un’economia di Pace”, organizzata congiuntamente da un coordinamento formato da ONG Crocevia e Re.Co.Sol. , composta da un chirurgo, un medico oftalmologo, un giornalista, difensori dei diritti umani e rappresentanti delle Municipalità italiane si è vista negare l’ingresso nella Striscia di Gaza al valico di Erez.
La motivazione del diniego è stata che…. Il permesso veniva negato. Tale atteggiamento risulta ancor più inopinato se si considera che la richiesta di accesso era stata regolarmente inoltrata alle autorità competenti, nei tempi dovuti, come coordinamento.

Vittorio Arrigoni racconta Gaza

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!