di Matteo Dean*
Se volessimo fare dietrologia, potremmo dire che il terremoto di lunedì scorso a Città del Messico è stato provocato da coloro che oggi in Messico vogliono far tremare ancor di più le coscienze dei messicani. Già travolta da più di due anni di violenza generalizzata causata dalla imprudente guerra al narcotraffico lanciata dall’attuale amministrazione, e ulteriormente spaventata da un virus influenzale che sembra essere addirittura più violento, proprio per la trasversalità della sua azione mortifera, la cittadinanza della capitale messicana è stata ancora una volta messa alla prova da una scossa di terremoto di 6 gradi della scala Richter. Ma la dietrologia serve a poco in queste ore e il terremoto che c’è stato, seppur abbia generato un certo panico, con le strade del centro storico che si riempivano sotto gli alti edifici che si svuotavano e 33 casi di crisi nervosa (immediatamente accolti nelle già affollate strutture sanitarie) non ha distolto l’attenzione dal tema principale di questi giorni: il virus suino. Una condanna collettiva? Un castigo divino? Un’operazione nascosta della solita famelica industria farmaceutica? Non si sa. Troppe son le versioni che nelle ultime ore si diffondono grazie a radio bemba. Quel che è vero, e senza dover ricorrere a giochi della fantasia, è la risposta ritardata ed imprecisa del governo messicano. Nel 2006, l’allora Ministero della Salute, nel quadro della formulazione dell’Associazione per la sicurezza e la prosperità dell’America del nord (Aspan), una sorta di Trattato di libero commercio plus, ma con l’importante capitolo della sicurezza continentale, scriveva un documento di 81 pagine con il laborioso titolo di «Piano nazionale di prevenzione e risposta di fronte all’epidemia influenzale». Il documento riconosceva, d’accordo con le autorità americane, l’assoluta certezza che prima o poi un’epidemia influenzale si sarebbe diffusa nel continente. Si legge nel documento: «L’orologio dell’epidemia corre, ma non si sa che ora stia segnando». Il piano segnala che, secondo dati statistici, all’ora di esplodere l’epidemia, ci sarebbero «200.000 morti in sei mesi, mezzo milione di ricoverati». Il problema del documento è che in nessun momento contempla la mutazione virale e si concentra solo sull’influenza aviaria. E quindi oggi non è difficile immaginare i magazzini del ministero della sanità strapieni di medicinali anti aviari, ma svuotati di quel che oggi sarebbe utile.Ma quel che soprattutto risulta colpevole è il ritardo della denuncia pubblica e delle contromisure. Nell’epoca dell’informazione le notizie corrono ed oggi si sa che i primi casi risalgono ormai a quasi sei mesi fa. E allora che hanno fatto le autorità? Nulla. Hanno solo cercato di contenere il problema. E, soprattutto, atteso fino ad inizio aprile per inviare le provette negli Usa (perché qui in Messico i laboratori ancora non sono attrezzati) e scoprire l’esistenza di un nuovo virus.Ciononostante, l’attenzione è già stata distolta. La violenza del narcotraffico continua a uccidere con lo stesso ritmo dell’inizio dell’anno, ovvero in aumento rispetto alle già allarmanti cifre dell’anno scorso, ma pochi ne parlano. Il feminicidio di Ciudad Juarez, proprio in questi giorni messo a processo dalle istanze internazionali, scompare e le donne assassinate che continuano a morire non si contano più, a differenza delle morti per virus. L’attentato a un leader del sindacato democratico dei maestri passa inosservato e anche se il suo assistente è morto con due colpi di pistola in testa, nessuno muove un dito.E sono solo alcuni fatti di questi giorni. Il decreto presidenziale che concede poteri speciali alle autorità messicane ha già creato le prime vittime: la manifestazione del primo maggio è stata sospesa e si chiede ai partiti politici, che la prossima settima avrebbero dovuto cominciare la campagna elettorale in vista dell’importante scadenza del 5 luglio prossimo, di sospendere ogni attività di proselitismo di massa. Ancor di più: si dice apertamente che si considera annullare le elezioni stesse. D’altra parte, se si ammette che il vaccino per il virus potrebbe essere trovato solo tra sei mesi, il governo sta riuscendo a mettere in quarantena non solo la società messicana, ma l’intero prossimo futuro. La società messicana. Facile parlarne, difficile capirne le reazioni e le conseguenze che avrà la fase attuale. Il panico si diffonde a velocità maggiore del virus stesso. La paura è oggi più comune della normale leggerezza con cui si affronta la vita da queste parti. Il sospetto è incrostato ormai negli interstizi delle relazioni interpersonali. L’abbraccio o il bacio o semplicemente la stretta di mano, così comuni in questa città, diventano tabù. Lo starnuto o un cenno di colpo di tosse motivo sufficiente per isolare il prossimo. Gli sguardi s’incrociano da dietro le quasi inutili mascherine distribuite incessantemente o vendute a prezzi assurdi nelle farmacie.Quegli sguardi che cercano di individuare nei volti altrui i segni di una malattia che non si conosce, perché comunque sia l’influenza, anche quella umana, qui non è comune. E il risultato qual è? Contribuire a completare lo strappo sociale. La coesione sociale già messa in crisi dall’alta disponibilità di violenza promossa dalla famigerata guerra al narcotraffico, oggi riceve un ulteriore colpo alla sua esistenza. A questo punto è sempre più difficile comprendere le proporzioni tra incompetenza e pianificazione da parte del governo messicano. Perché è vero che le autorità hanno reagito con colpevole ritardo. Ma è anche vero che i risultati che stanno ottenendo fanno sospettare altre intenzioni. La crisi istituzionale e sociale, assieme a quella crisi economica, rischiava davvero di mettere in ginocchio non tanto la società messicana ma chi pretende governarla. Ed allora, se non è possibile recuperare la legittimità persa sin dall’inizio (grazie alle fraudolente elezioni presidenziali del 2006) e non vi è comunque interesse a farlo, forse risulta più utile il colpo di mano, il terrore lanciato dai microfoni governativi che riesce a fratturare la coesione antigovernativa che si sta, volenti o nolenti, creando nella società messicana. Pare casuale e probabilmente lo è, ma che questa crisi giunga proprio a poche settimane dalle elezioni e giustamente a pochi mesi dal cabalistico anno 2010 (centesimo anniversario della Rivoluzione messicana e duecentesimo dell’Indipendenza) non può impedirci di pensare alla possibilità che questo virus sta offrendo all’attuale classe politica messicana. Il decreto presidenziale che citavamo prima parla chiaro in questo senso.Tempi indefiniti (sino a fine crisi, ovvero, quando?) per le misure eccezionali che tra l’altro permettono alle autorità di entrare in casa di chiunque, di comprare medicinali e strumenti sanitari al di fuori del controllo parlamentare, vaccinare chiunque senza ordine medico e, soprattutto, offrono la possibilità di sciogliere qualsiasi riunione di più di quindici persone.
* giornalista freelance. Vive e lavora a Città del Messico
Più di 500, 40, 30, 20, 10 anni dopo
ALLERTA ROSSA E CHIUSURA CARACOLES
BOICOTTA TURCHIA
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Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.
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