martedì 21 aprile 2009

Gli aiuti umanitari marciscono alle porte di Gaza

Erin Cunningham, The Electronic Intifada
Centinaia di migliaia di tonnellate di aiuti indirizzati alla Striscia di Gaza sono ammassati nelle città del nord del Sinai, nonostante gli inviti degli Usa ad allentare le restrizioni all’ingresso delle merci nella regione, ex-campo di battaglia del recente assalto israeliano.
Cibo, medicinali, coperte, alimenti per bambini ed altri tipi di rifornimenti inviati da governi e Ong milione e mezzo di palestinesi residenti nella Striscia sono attualmente stipati in magazzini, posteggi, stadi e piste di atterraggio all'interno del governatorato egiziano del Nord del Sinai, la regione confinante con Israele e la piccola striscia appartenente ai Territori palestinesi.
Con quest’ultima, in particolare, l’Egitto condivide una frontiera di 14 chilometri, chiusa in maniera più o meno permanente da quando il movimento militante islamico di Hamas ha preso il controllo del territorio nel giugno del 2007.
Farina, pasta, zucchero, caffé, cioccolato, salsa di pomodoro, lenticchie, datteri, succhi, piselli, coperte, letti ospedalieri, cateteri e altri riformimenti umanitari sono ammassati in almeno otto punti diversi dentro e fuori a al-Arish, una cittadina nel nord del Sinai, a circa 50 km. dal confine con Gaza.
Tali rifornimenti hanno cominciato a riversarsi in Egitto fin dallo scoppio della guerra. Tre mesi dopo la sua fine, a causa del continuo rifiuto egiziano di aprire il passaggio di Rafah, molti degli aiuti sono ormai marciti, o danneggiati irreparabilmente dalla pioggia e dal sole.
Un funzionario governativo locale, che ha scelto di restare anonimo, ha dichiarato all’IPS: “La verità è che la maggior parte di questi aiuti non vedrà mai Gaza. Molti degli alimenti andranno buttati”.
La Striscia di Gaza è stata l'obiettivo di un'operazione israeliana durata tre settimane e chiamata "Piombo Fuso", dove sia la popolazione civile e le decrepite infrastrutture sono state colpite dalla potente macchina da guerra di Israele. Sul terreno sono stati lasciati 1400 morti e oltre 5000 feriti. Un cessate il fuoco unilaterale è in atto dal 18 gennaio.
John Ging, coordinatore dell’Agenzia Onu per i Rifugiati (UNRWA) a Gaza, la settimana scorsa ha dichiarato a IPS che il soffocamento degli aiuti nel periodo dopo la guerra ha conseguenze devastanti sulla popolazione, sia dal punto di vista fisico che emotivo.
L’ultimo rapporto pubblicato dall’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari (OCHA) ha stabilito il 30 marzo scorso che “le quantità e i generi di rifornimenti che raggiungono Gaza continuano ad essere soggetti a restrizioni casuali ed a procedure di sdoganamento imprevedibili, creando grossi problemi logistici alle agenzie umanitarie”.
(...)
Dal 27 dicembre 2008, il giorno in cui Israele ha lanciato i suoi attacchi, solo 43 camion di quelli che l'OCHA definisce "prodotti alimentari umanitari" sono di alimenti sono stati inviati nella Striscia via Rafah. Il primo carico è stato mandato il 10 gennaio 2009, più di due settimane dopo l'inizio della guerra.
I farmaci e le attrezzature mediche sono riuscite a passare dal valico di Rafah, mentre i generi alimentari hanno dovuto attraversare il territorio israeliano. Attualmente, qualsiasi carico deve attraversare i passaggi commerciali di al-Auja e di Kerem Abu Salam, ed è sottoposto sia alle norme commerciali israelo-egiziane, sia alle leggi israeliane per le importazioni.
Gran parte di ciò che è conservato attualmente nel Sinai del Nord – compreso il cibo – è stato definito da Israele “non essenziale” alla vita nella Striscia di Gaza.
Duemila “confezioni-famiglia” – provviste di rifornimenti essenziali per le famiglie palestinesi e donate dall’Ong italiana Music for Peace – sono state recentemente respinte al passaggio di al-Auja dalle autorità israeliane. Il motivo: ciascuna di esse conteneva un barattolo di miele. Questo è quanto è stato riportato dal presidente dell’Ong, Stefano Robera
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Rappresentanti di altre Ong internazionali giunti a al-‘Arish e a Rafah temono che neanche un frammento degli aiuti inviati oltrepasseranno i punti di transito egiziani, nonostante la promessa del governo di Nazif che il valico di Rafah resterà aperto per “considerazioni umanitarie”.
Secondo l’OCHA, durante tutto il mese di marzo è stata invece sbarrata la strada a ogni mezzo di trasporto merci, ed è stato aperto per soli due giorni per mandare coperte e materassi alla Striscia di Gaza.
Controversa la questione di chi dovrebbe avere la responsabilità dello smistamento dei rifornimenti in Egitto: il governatore del Sinai del Nord Mohamed ‘Abd al-Fadil Shusha ha chiesto alle organizzazioni di donarli semplicemente a Ong locali. Altre fonti hanno riferito all’IPS che le forze di sicurezza egiziane incaricate di tenerli in custodia hanno demandato tutto ad alcuni residenti di al-‘Arish.
Il valico di Rafah fu aperto per la prima volta nel novembre 2005, quando Israele e l’Autorità Nazionale palestinese firmarono un Accordo sul movimento e l’accesso, parte integrante del “disimpegno” israeliano dalla Striscia. In coordinazione con l’Anp, l’Egitto cominciò a permettere il passaggio a viaggiatori, cargo e aiuti umanitari, sotto la supervisione Ue e israeliana. Quando però Hamas ottenne il controllo della regione nel giugno 2007, Mubarak sigillò i confini.
Da allora, il governo egiziano ha rifiutato di aprire Rafah a qualsiasi mezzo o rifornimento che non fosse medico, abbandonando gli aiuti nelle condizioni che conosciamo e lasciando la popolazione di Gaza alle prese con le conseguenze della tragica guerra e dell’embargo ininterrotto.
Le organizzazioni dei diritti umani hanno recentemente denunciato come non solo Israele, ma anche Egitto, Ue e Usa, avallando questa situazione, abbiano violato le leggi internazionali – e i diritti di tutta la popolazione di Gaza – per non aver rispettato il suddetto Accordo sul movimento e l’accesso, soprattutto dopo la fine del conflitto.
Traduzione per Infopal a cura di Jacopo Falchetta

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Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

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