giovedì 21 maggio 2009

Nella crisi globale. Se una città fallisce

Il sequestro dei manager “alla francese” fa scuola in Russia. Pikalyovo è una cittadina di 22mila abitanti nel nord del paese, circa 250 chilometri a est di San Pietroburgo. E da qualche giorno è diventato un caso esemplare di città fallita - e occupata dai suoi stessi abitanti. Chiusa per crisi, esattamente come hanno chiuso per crisi le tre aziende che vi avevano sede - anzi, la città è chiusa proprio perché hanno chiuso le aziende, togliendo ogni fonte di reddito alla maggior parte dei residenti. A differenza di una fabbrica, però, la chiusura di una città non significa il suo svuotamento: al contrario, i ventiduemila cittadini di Pikalyovo stanno ancora lì, anche perché non saprebbero dove altro andare; e ancora lì sono le disgraziate autorità municipali, che non sanno assolutamente come gestire la drammatica situazione.
Drammatica è l’aggettivo giusto: nel giro di pochi mesi, in relazione alla crisi generale, tutte e tre le fabbriche site nel territorio comunale - la BaselZement, la Pikalyovo Alumina e la Metakhim - hanno “messo in libertà” operai e impiegati e se ne sono andate. In città è ormai la disperazione: la gente è letteralmente alla fame, pare - lo hanno raccontato dei sindacalisti - che tutti i cani e gli altri animali commestibili siano stati ormai uccisi e mangiati. Scene che ricordano quelle terribili della grande carestia del ‘32 (e di nuovo del ‘47), in un contrasto feroce con le immagini di potenza e ricchezza che, crisi o non crisi, arrivano da Mosca e dalle altre grandi città russe - a partire dalla vicina San Pietroburgo, capoluogo della regione di cui fa parte Pikalyovo.
Ultimo atto crudele, i servizi comunali essenziali - acqua calda e riscaldamento - che erano pagati dalla maggiore delle aziende locali, la BaselZement, sono stati nei giorni scorsi tagliati, visto che le ultime bollette non sono state più pagate dall’amministrazione della ditta. E’ stata la goccia (neanche tanto goccia, poi) che ha fatto traboccare il vaso: una folla infuriata ha letteralmente preso d’assalto il palazzo dell’amministrazione comunale, sfondando il portone e occupando l’edificio mentre era in corso una riunione del consiglio municipale insieme ai rappresentanti delle aziende e a quelli della vicina centrale termica (che fornisce appunto il riscaldamento e l’acqua calda). Non ci sono state violenze sulle persone, ma di fatto si è trattato di un vero e proprio sequestro, durato diverse ore durante le quali nessuno ha potuto entrare o uscire; e ce n’è voluto del bello e del buono per convincere alla fine i cittadini a sgomberare il palazzo e a continuare un assedio simbolico all’esterno. Il tutto davanti a videocamere e giornalisti locali che poi hanno diffuso le notizie (i tg nazionali naturalmente hanno ignorato tutto, ma le agenzie e i siti d’informazione web no).
Come finirà? qualche pezza si troverà, non siamo più ai tempi in cui si lasciavano crepare di fame milioni di contadini; ma saranno certo espedienti modesti, qualche sussidio pubblico, qualche sconto speciale da parte della centrale termica, mentre via via i cittadini torneranno agli orti o, se hanno la fortuna di avere qualche parente altrove, cercheranno di trasferirsi in città più fortunate. Quanto alle aziende, probabilmente prima o poi saranno acquistate a prezzo di saldo da qualche altro imprenditore che le rimetterà in marcia con salari più bassi, condizioni di lavoro peggiori e sicurezza ambientale peggiore (si tratta non a caso di tre impianti “difficili”, un cementificio, un impianto di metallurgia non ferrosa e un impianto chimico, tutta roba ad alto tasso di inquinamento). Aspettiamo notizie da Pikalyovo: per fortuna ormai anche nelle piccole città come questa ci sono giornalisti, c’è internet, ci sono i mezzi per far conoscere all’esterno come stanno le cose - e ci sono le persone che vogliono farlo.
di Astrit Dakli

mercoledì 20 maggio 2009

Uruguay - E’ morto Mario Benedetti

Una delle voci più profonde dell’America Latina
Montevideo, martedì 17 maggio 2009. Migliaia di uruguaiani hanno accompagnato martedì attraverso il centro della capitale fino al Panteon i resti dello scrittore Mario Benedetti, che è morto domenica scorsa a 88 anni. Uomini e donne di ogni età hanno accompagnato il poeta, lasciando rami di fiori e penne ai piedi delle scalinate del Salón de los Pasos Perdidos. In Internet migliaia di messaggi rendono omaggio allo scrittore ben oltre le frontiere del paese. Lo scrittore e poeta uruguaiano Mario Benedetti è uno dei giganti della letteratura sudamericana contemporanea insieme al peruviano Mario Vargas Llosa e al colombiano Gabriel Garcia Marquez.Autore pluripremiato, Mario Benedetti conquisto’ risonanza internazionale con i romanzi ’’La tregua’’ (1960) e ’’Grazie per il fuoco’’ (1965), che hanno venduto complessivamente cinque milioni di copie nel mondo con traduzioni in venti lingue. Come poeta, la sua popolarita’, che lo ha avvicinato al cileno Pablo Neruda, inizio’ nel 1945 quando pubblico’ a proprie spese il libro ’’La vispera indeleble’’ (La vigilia indelebile), che non ha permesso piu’ di ristampare perche’ lo riteneva ’’mal riuscito"). Intellettuale politicamente impegnato, con una lunga militanza, nel 1973 dopo il colpo di stato militare fu costretto ad abbandonare l’Uruguay, vivendo in esilio in Argentina, stabilendosi quindi a Buenos Aires, dove aveva gia’ vissuto tra il 1938 e il ’41.
El sur tambien esiste

Perù - Continua la mobilitazione indigena in difesa dell’Amazzonia

Aggiornamenti e approfondimenti
Dai primi di aprile le popolazioni indigene dell’Amazzonia sono in lotta contro i decreti apparovati dal Governo Garcia che permettono la svendita delle terre e delle risorse alle transnazionali. Dalla metà di maggio gli indigen si sono dichiarati in insurrezione.


ULTIMA ORA
19 maggio 2009

Dopo aver preso atto della notizia della decisione presa con maggioranza da parte della Commissione Costituzionale del Congresso di dichiarare incostituzionale il decreto legislativo 1090, Legge Forestale e Fauna Silvestre, il Presidente della AIDESEP, Alberto Pizango Chota, ha sostenuto che questo è un buon passo per avviare una soluzione definitiva e duratura ai nostri problemi. Non si tratta di una battaglia vinta ma di una parte del processo attraverso il quale si può arrivare a rendere in operativo e abrogare l’intero pacchetto di legge. Ora le popolazioni sentono che le loro richieste iniziano a essere ascoltate.





Vi proponiamo alcuni comunicati dedicati alla proclamazione dell’insurrezione.

15 maggio
Comunità indigene: Moriremo difendendo il nostro territorio.

Il rappresentante di Aidesep ha affermato che sarà responsabilità del governo quello che può succedere e che di fronte alla violenza i popoli amazzonici s difenderanno. Dopo 35 giorni di blocchi della strada Fernando Belaunde Terry, scontri con i camionisti e aver creato problemi all’approvigionamento delle città della regione San Martín, i nativi hanno annunciato che non sospenderanno la protesta visto che considerano un fallimento le negoziazioni con il governo: questo è quello che ha affermato Alberto Pizango, presidente della Asociación Interétnica de Desarrollo de la Selva Peruana (Adiesep). Pizango ha sottolineato che il tavolo del dialogo con il Governo "non è servito a nulla" e dopo più di un mese di sciopero non ci sono segni di voler annullare i Tratados de Libre Commercio firmati dal Perú. Per questo i manifestanti si sono dichiarati in "insurgencia indígena" e non accetteranno lo stato di emergenza né la presenza delle forze dell’ordine. Ha anche affermato che verrà lasciata libera “per due o tre ore” la strada Fernando Belaunde a Tarapoto perchè ci si possa rifornire di alimenti e non ci siano tensioni con i camionisti. Posteriormente, in una intervista il Dirigente ha affermato che questa insorgenza significa disobbedire e disconoscere l’autorità del presidente della República Alan García le forze dell’ordine contro le quali i sono scontrati con la frase "annullamento del trattato o morte". "E’ responsabilità del Governo quello che può accadere", ha affermato alla conclusione della conferenza. Come si ricorda i nativi chiedono al Governo di applicare il Convenio 169 della Organización Internacional del Trabajo (OIT), che afferma che ci deve essere una consulta popolare perchè le compagnie trasnazionali possano stabilirsi nei territori.

15 maggio
Il Presidente dell’Organización Regional de los Pueblos de la Amazonía Norte (ORPIAN), Cervando Puerta Peña, appoggia lo stato di “insurrezione” dichiarato dai popoli indigeni.

Il dirigente ha appoggiato la decisione delle popolazioni amazzonica di decretare lo stato di insurrezione come mezzo di protesta di fronte alla “mancanza della volontà politica del Governo di rispondere positivamente alle loro richieste”. “Il rispetto e i diritti delle popolazioni non si negoziano” ha sentenziato il dirigente.Il presidente della ORPIAN ha esortato le forze politiche e la società civile a pronunciarsi come dimostrazione di appoggio alla protesta indigena che dura da 36 giorni consecutivi. Dall’altro lato il dirigente awajún ha presentato alla stampa un video che mostra gli scontri che hanno sostenuto i nativi con gli effettivi della Dirección Nacional de Operaciones Especiales (DIROES) sul ponte Corral Quemado, Amazzonia."La polizia sta minacciando di eliminare le popolazioni che sostengono lo sciopero indefinito amazzonico e cercano di fermare le nostre richieste con la violenza", ha affermato Puerta Peña.

14 maggio
La Selva in insurgencia

La Asociación Interétnica della Selva Peruana ha deciso di dichiararsi in “INSURGENCIA” contro il Governo di Alan García il che prevede che da oggi sono le leggi ancestrali quelle che vengono applicate nei nostri territori e in base alle quali vengono considerate come una aggressione esterna qualsiasi tentativo di entrare.

Pronunciamento del Comité de Lucha Nacional della AIDESEP.

“Noi, dirigenti eletti da voi per rappresentare i nostri interessi immediati e storici, vogliamo manifestare il nostro impegno a continuare fino a quando voi ci autorizzerete. E’ grande la nostra ammirazione per questa eroica lotta che dura da 35 giorni, tra freddo, mancanza di alimenti e agressioni insensate da parte degli organismi dello Stato che dovrebbero difenderci. Il nostro impegno è totale nel compiere il nostro lavoro di rappressentarvi di fronte allo Stato Peruano, al quale abbiamo dato vita dal 1821 con i nostri territori. Siamo impegnati per far conoscere ai potenti dello Stato Peruano e alla cittadinanza mestiza, i nostri diritti colpiti da un governo che vuole svendere i nostri territori e la nostra acqua per darli alle multinazionali straniere, come hanno fatto con il petrolio, il legname, l’oro e tutto quello che vogliono i ricchi del mondo. Siamo andati a cercare il dialogo con il Primo Ministro, con il Presidente del Congresso, con i dirigenti parlamentari e tutti hanno risposto lo stesso; “Non ci interessano i popoli indigeni né i loro diritti”. Abbiamo cercato tutti i mezzi per dimostrare che i decreti legislativi firmati da Alan García sono incostituzionali e ingiusti ma non abbiamo che sordi e ciechi. Per questo, fratelli delle 8 regioni della AIDESEP, il Comité Nacional de Lucha, eletto da voi , per mandato espresso da parte vostra, ha deciso di prepararsi a DICHIARARE CHE I NOSTRI POPOLI INDIGENI SONO IN INSURGENCIA contro il Governo di Alan García nei territori indigeni amazzonici, in conformità con l’Articolo 89º della Costituzione dello Stato perdano. Questo significa che le nostre leggi ancestrali diventeranno leggi obbligatorie nei nostri territori e i tentativi di entrare saranno considerati una aggressione.Facciamo appello alle foze sociali e politiche nazionali e popolari che condivisono l’indignazione verso questo governo a lavorare uniti per cambiare questo .modello di Stato che porta solo benefici ad un pugno di uomini senza vergogna a costo della fame e denutrizione dei nostri popoli.
COMITÉ NACIONAL DE LUCHA DE AIDESEP

Benetton ha recintato la strada provinciale "Ruta 40"

Abitanti di El Maiten (Chubut) hanno manifestato la loro indignazione e rifiuto attraverso una catena di posta elettronica contro l’impresa italiana Benetton, proprietaria di grandi estensioni di territorio.
Benetton ha istallato una recinzione che impedisce il passo sulla strada "Ruta 40".
La multinazionale inoltre ha recintato fiumi e torrenti impedendone l’accesso.

Prensa del Pueblo
Esta usurpación de espacios públicos por empresas internacionales ya se ha hecho costumbre de los millonarios extranjeros, que son amparados por el poder político y judicial de las provincias patagónicas.
Nuevamente los derechos de todos los habitantes son cercenados por la avaricia de los poderosos y su impunidad al ser apoyados por los gobiernos.
Hace pocos meses, en la Comarca Andina muchos vieron atónitos cómo el propio intendente de El Bolsón, Oscar Romera, impedía con su "patota municipal" una manifestación, que vecinos de la Patagonia le hacía a la empresa Lago Escondido por impedir el paso al espejo de agua.
Benetton: El empresario que más contamina en PuelMapuDueño de un imperio textil internacional, cuenta con 900.000 hectáreas en la Patagonia, una mega curtiembre y negocios mineros de oro y cobre que producen graves daños en el Medio Ambiente. Mientras tanto, pasea con su yate ecológico por el mundo y se califica como "un defensor del futuro del planeta".

martedì 19 maggio 2009

Mapuche: In Cile i diritti violati di un popolo

di Annalisa Melandri


Le violazioni dei diritti umani del popolo mapuche accertate da parte degli organismi internazionali
Facendo buon viso a cattivo gioco, il Cile ha accettato le raccomandazioni di alcuni Stati membri dell’ONU e di alcune ONG rispetto al tema della violazioni dei diritti umani del popolo mapuche, promettendo entro la fine del corrente anno di dare impulso a un programma nazionale volto al rispetto di questi e realizzato in coordinazione con la società civile.

La sessione speciale dell’ONU si è tenuta martedì 12 maggio nell’ambito della riunione dell’ Esame Periodico Universale (EPU), un nuovo meccanismo delle Nazioni Unite che ogni quattro anni esamina la situazione di un determinato paese.

Povertà estrema, educazione, rispetto dei diritti di donne e bambini, fine della repressione, garanzie giuridiche e diritto alla terra. Questi i principali temi affrontati e le richieste di chiarimenti da parte di alcuni paesi membri dell’ONU, ma sono state proposte anche raccomandazioni sul caso dei giornalisti stranieri espulsi dal paese per aver realizzato reportages sui mapuche e la revisione della legge Antiterrorista, alle quali il governo cileno deve rispondere entro il settembre del 2009.

Tuttavia rischia di trasformarsi nel solito balletto vuoto e senza senso di raccomandazioni, fatto di buone intenzioni e promesse mancate, dove tutti sanno quel che accade ma nessuno è seriamente intenzionato a fare bene la sua parte fino in fondo. E soprattutto dal quale è rimasto escluso il diretto interessato e cioè il popolo mapuche.

Se è vero che nell’assemblea dell’EPU sono state sentite numerose associazioni per la difesa dei diritti umani e molte ONG, è anche vero che non un rappresentate del popolo mapuche è stato invitato a partecipare.

La situazione dei mapuche in Cile oggi è talmente grave e preoccupante che a ben poco potranno servire raccomandazioni e belle parole.

Ha a che vedere direttamente con i giochi di potere e il pinochettismo che è tutt’altro che morto e con una presidente, Michelle Bachelet, che sembra totalmente piegata a poteri molto più forti di lei e che non prende ferma posizione in merito anche perchè tra quasi un anno è in scadenza il suo mandato.

Le violazioni più gravi verso il popolo mapuche sono commesse dall’Esercito e dalla Polizia come riportato anche nella relazione del Comitato Contro la Tortura delle Nazioni Unite, nel quale si è fatto esplicito riferimento a maltrattamenti che si trasformano in veri e propri casi di tortura, all’ impunità imperante per cui chi commette le violazioni non viene mai giudicato e condannato e alla stessa legge di Amnistia per la quale non si possono giudicare le violazioni dei diritti umani commesse tra l’11 settembre 1973 e il 1988.

Le violazioni dei diritti umani contro il popolo mapuche sono commesse soprattutto durante le operazioni di perquisizione delle comunità, durante lo sfollamento forzato e durante gli interventi realizzati in occasione della riappropriazione delle terre da parte dei mapuche.

I morti e le violenze commesse sui bambini
In alcune occasioni le operazioni di polizia hanno avuto esito tragico come accadde nel 2002 con la morte del 17enne Alex Lemún Saavedra, rimasto ucciso da un colpo di arma da fuoco sparato dai Carabinieri o di Juan Collihuín morto per lo stesso motivo nel 2006, o più recentemente per l’uccisione di Matías Catrileo, morto durante una recuperazione di terre il 3 gennaio 2008.

In tutti questi casi gli autori materiali di queste morti sono ancora in servizio e nessun provvedimento è stato preso contro di essi.

Particolarmente grave è la situazione delle donne e dei bambini mapuche, i soggetti più deboli delle comunità.

Ci sono neonati, come è avvenuto ad una bambina di appena sette mesi che è rimasta intossicata dal lancio di un lacrimogeno lanciato all’interno della sua abitazione, che riportano gravi lesioni e traumi durante le operazioni di polizia, o minori che raccontano di essere stati picchiati dai Carabinieri o tenuti per un’intera notte in celle umide e fredde e senza cibo.

Bambini che raccontano di intimidazioni e minacce e altri che ricevono alla schiena o alle gambe i pallini antisommossa o che restano completamente soli dopo l’arresto di tutta la famiglia come è avvenuto alla figlia minore della lonko (dirigente indigena) Juana Calfunao che ha dovuto chiedere asilo a Ginevra.

Il Servizio di Salute dell’Araucania Nord, (Programma di Salute Mapuche - Dipartimento di Psichiatria, Ospedale di Angol) ha testimoniato proprio al riguardo, come i bambini delle comunità mapuche soffrano di tutta una serie di disturbi e problemi psicologici riconducibili al conflitto territoriale e giuridico.

E’ accertato ufficialmente inoltre anche un caso di sparizione forzata, un ragazzo di 16 anni, José Huenante, è scomparso da tre anni dopo essere stato visto l’ultima volta su un’ auto dei Carabinieri. Tre di essi sono formalmente accusati del suo sequestro, ma del giovane nessuna notizia ad oggi.


I prigionieri politici
Non meno grave appare la situazione dei prigionieri politici mapuche nelle carceri cilene. In un recente comunicato dichiarano di rifiutare fermamente “l’integrazione forzata con la società winka (occidentale) corrotta dall’individualismo” e reclamano e confermano i loro diritti sui territori originari svenduti completamente alle multinazionali dai quali sono stati cacciati per permetterne lo sfruttamento.

Lo sfruttamento delle foreste ad opera delle multinazionali del legno, la costruzione di dighe e centrali idroelettriche, di aeroporti, lo sfruttamento minerario delle enormi ricchezze del sottosuolo, sono queste le politiche che attua il governo cileno per svendere le risorse del paese ai capitali stranieri e per la cui realizzazione passa sopra ai diritti dei popoli nativi, decretandone la scomparsa.

C’è una campagna sistematica di distruzione e di annichilamento di intere comunità che si sta portando avanti nel silenzio indecente della comunità internazionale e che si compie attraverso repressione, minacce, uccisioni e arresti.

I membri delle comunità organizzate e in lotta, i weichafe (guerrieri), vengono incarcerati e accusati in base a leggi risalenti alla dittatura di Pinochet di essere “terroristi” e condannati con pene lunghissime che arrivano fino a dieci anni e oltre per reati minori quali l’incendio (elevato alla categoria penale di “incendio terrorista”), la recuperazione di terre e atti di proteste o rivendicazioni sociali.

Soltanto della Coordinadora Mapuche Arauco Malleco sono stati arrestati circa un mese fa 11 membri che vanno ad aggiungersi agli oltre 40 prigionieri nelle carceri che Michelle Bachelet, presidente del Cile, ha più volte ribadito non essere prigionieri politici.

Patricia Troncoso, Elena Varela e i giornalisti “terroristi”
Purtroppo il conflitto con il popolo mapuche fa parte di una delle tante lotte giuste ma dimenticate del mondo. Si fa finta di non sapere che è un intero popolo che si ribella a un sistema di potere con forme di protesta antiche e organizzate e che è sbagliato e disonesto chiamare terrorismo.

La legittimità delle richieste del popolo mapuche, la fierezza della sua gente, l’importanza delle sue rivendicazioni esce soltanto per brevi momenti dai confini nazionali quando il sistema politico e giudiziario cileno “inciampa” in incidenti di percorso come accadde l’anno scorso in occasione del lunghissimo sciopero della fame (112 giorni) che Patricia Troncoso portò avanti dal carcere e che la condusse quasi alla morte e in seguito al quale ottenne soltanto modesti benefici rispetto alla sua detenzione. Le sue richieste politiche più importanti, quali la libertà per tutti i prigionieri politici, la smilitarizzazione dei territori mapuche dell’Araucanía, l’abrogazione della legge Antiterrorista, la fine della repressione contro il popolo mapuche, furono completamente disattese.

Il suo sciopero della fame non si concluse con la sua morte solo per la grande pressione internazionale su di un governo sordo e cieco, dal momento che Patricia non ha mai ricevuto, nemmeno nei momenti più critici, la visita di nessun rappresentante del governo del suo paese.

Sempre lo scorso anno balzò alla cronaca la vicenda della videomaker Elena Varela, arrestata nel maggio del 2008 e tenuta in carcere tre mesi, mentre realizzava un reportage dal titolo Newen Mapuche sul conflitto con le multinazionali del legno, accusata di essere l’autrice intellettuale di alcune rapine in banca commesse tra il 2004 e il 2005 in associazione con la guerriglia del MIR (Movimiento de Izquierda Revolucionaria).

In quell’occasione le fu sequestrato tutto il suo lavoro. Il processo, con il quale rischia una condanna a 15 anni di carcere, che era fissato per il 29 aprile è stato rimandato ai primi di giugno per aspetti formali.

Anche Reporters senza Frontiere ha espresso in una lettera a Michelle Bachelet (alla quale lei non ha mai risposto) preoccupazione per la sentenza che sarebbe scaturita dal processo e i dubbi circa la validità delle accuse.

D’altra parte era già avvenuto in passato che giornalisti stranieri fossero identificati come “terroristi” ed arrestati. Accadde nel marzo 2008 con due cittadini francesi, nella zona di Collipulli quando Christophe Harrison e Joffrey Rossi furono detenuti per poco tempo, accusati di aver provocato un incendio e di appartenere all’ETA e a due cineasti italiani, Giuseppe Gabriele e Dario Ioseffi, accusati di “terrorismo” e poi espulsi dal paese.

Il prossimo Esame Periodico Universale (EPU) si terrà tra quattro anni. In Cile allora ci sarà un altro governo e un altro presidente. Da Michelle Bachelet ci si aspettava molto, sicuramente molto di più di quello che ha fatto per il rispetto dei diritti umani nel suo paese, vista la sua storia personale segnata da gravi perdite familiari durante la dittatura di Pinochet.

Il pinochettismo e il potere militare sono ancora forti in Cile, la destra è sicuramente una delle più forti in America latina, il neoliberismo applicato selvaggiamente negli anni ’70 e ’80 si è radicato prepotentemente creando ferite profonde in un tessuto sociale già gravemente compromesso da anni di terrore.

Il popolo mapuche rivendica i suoi territori, afferma prepotentemente e con orgoglio il diritto di vivere sulle sue terre, riconferma con fierezza usi e tradizioni antiche che non vuole perdere.

“Gli occhi neri di Lautaro
gettano migliaia di lampi.
Come soli fanno germogliare i solchi
come soli guidano l’avanzata di un popolo combattente
che non vuole essere schiavo
come un puma in gabbia”
(Rayen Kvyeh)

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!