lunedì 7 settembre 2009

Riflessioni sul No Border Camp "Lesvos 2009"

..."these shoes are made for walking"...



"Queste scarpe sono fatte per camminare..il vostro ticket di ingresso al Camp sono un paio di scarpe da regalare". Questa è l'esortazione con la quale viene lanciata l'edizione 2009 del No border Camp che si è svolto dal 25 al 30 agosto nell' isola greca di Lesvos, la terza isola per grandezza di tutta la Grecia e la più vicina alle coste Turche. Su quest' isola approdano ogni giorno centinaia di persone. Arrivano dal mare, durante la notte... ma il loro viaggio ha inizio in uno dei tanti paesi dilaniati e impoveriti dalle operazioni di peace keeping, come l'Afghanistan, l'Iraq, il Pakistan."..and that's just what they do!"... le scarpe sono fatte per camminare, ma molti di questi uomini, donne e bambini quando approdano in una delle spiagge al nord di Lesvos per sfuggire all'immediata cattura operata da Frontex, l'agenzia europea per il controllo operativo delle frontiere esterne, non hanno neanche un paio di scarpe ed averne uno sarebbe già un buon inizio! Se ne incontrano molti che camminano per chilometri e chilometri bagnati e affamati senza sapere dove sono e dove andare.
Nella maggior parte dei casi, credono di essere gia arrivati ad Atene, come racconta una ragazza, che fa parte di un gruppo di solidarietà "Proto Stassi" (che significa "prima stazione") che si è creato in un villaggio della costa nord, a Molivos. Loro riescono a garantire una prima accoglienza con vestiti, scarpe e cibo caldo a chi approda in questa parte dell'isola. Ma ciò che in realtà li aspetta è il "welcome centre" di Pagani. Uno dei numerosi lager greci, un centro di detenzione che li terrà rinchiusi per 30 giorni in condizioni inumane, per poi rilasciarli nel porto di Mitylene, con un foglio di via dalla Grecia della durata di 30 giorni. In realtà la seconda parte della storia, li vedrà incastrati, senza possibilità di arrivare in terraferma, come accade a Ceuta chiusi in un enclave spagnola in terra marocchina senza poter raggiungere la Spagna, come accade in tutta Europa.
Non possono acquistare un biglietto per Atene senza un documento valido, non possono tornare indietro, seppur lo volessero. E a questo punto entrano in gioco i cosi detti "uomini di mezzo" coloro che si offrono di “rimediare un passaggio” per Atene a soli 150 euro a biglietto, peccato che poi questo passaggio loro non lo potranno mai usare in quanto l'accesso sulla nave è permesso unicamente con un ID valido. Così come altrove si ritrovano ad essere schiavi dei caporali di turno, nella terra delle olive, come lo sono nella terra dei pomodori e delle industrie, tanto disprezzati ma tanto utili a mandare avanti, a sostenere il Pil interno. Anche qui a Lesvos per garantire l'in-sicurezza opera una delle 115 navi che dal 2004 fa parte dell'Agenzia Europea per la Cooperazione Operativa per le frontiere esterne, FRONTEX, che sulla base dell' analisi dei rischi fatta dagli stati membri dell'UE ha il compito di agire contro i movimenti migratori degli indocumentati.

Il No Border tra azioni e dibattiti…
Principalmente contro l'agenzia Frontex, contro il centro di detenzione di Pagani si sono concentrate le azioni e i momenti di discussione svoltisi all'interno di questo No Border Camp 2009. Circa 600 attivisti e non, provenienti dalla Grecia, dalla Germania, dal Libano e da varie altre parti d’Europa, hanno dato vita cinque intensi giorni di mobilitazione. Il Lager di Pagani si incontra a pochi chilometri da Mytilene ed è uno di quelli che offre le peggiori condizioni in tutta Europa. La settimana precedente all’inizio del No Border, vari attivisti sono riusciti ad accedere a questo centro di detenzione e hanno potuto avere un contatto diretto con i migranti rinchiusi, hanno girato un video che mostra l’interno del centro e le orribili condizioni di questo lager.
Le giornate di questa edizione erano ufficialmente dal 25 al 30, però sia i giorni precedenti che i seguenti si sono succedute azioni e proteste all’interno e all’esterno del centro. Il primo settembre, 10 attivisti sono saliti sul tetto del Lager con uno striscione, mentre la polizia caricava duramente gli altri attivisti che si trovavano all’entrata. Gli attivisti sono poi stati tratti in arresto per varie ore. Dopo questa azione, molti migranti rinchiusi a Pagani hanno iniziato uno sciopero della fame di due giorni. Queste mobilitazioni ed il presidio permanente all’esterno del centro ha permesso il rilascio di numerose donne e minori rinchiusi all' interno del centro, e il conseguente accordo anche per il rilascio in breve tempo dei mariti delle stesse. Lo stesso Alto Commissariato delle Nazioni Unite per I Rifugiati (UNHCR) data la pressione mediatica che si è ottenuta, si è dovuto pronunciare contro le pessime e inumane condizioni del centro, e dopo aver incontrato una delegazione del NoBorder camp, ne ha chiesto l'immediata chiusura alle autorità greche.
Il porto di Mitylene, un' imbarcazione di Frontex, la prefettura, ed il posto di detenzione primaria all'interno del porto sono stati soggetti ad un accerchiamento e ad un blocco delle operazioni da parte di numerosi attivisti approdati con dei gommoni all'interno dell area portuale. Inoltre la grande manifestazione del 28, che ha percorso l’intero centro di Mitylene, ha avuto come conclusione l’interruzione del concerto di de Xeimerinoi Kolimvites, concerto organizzato dal governo locale per favorire la conoscenza e lo scambio con i Balcani. Durante tutta la durata del Camp, un punto di comunic-azione è stato allestito nel centro dell'area portuale, dove abitualmente stazionano 2 ammiraglie della forza armata greca, sfrattate per permettere invece un punto in continuo contatto e la diffusione delle informazioni ai cittadini di Lesvos e anche ai numerosi turisti che ogni giorno sbarcano su quest' isola, patria di Saffo...

Così come la sede di sociologia e lettere dell'universita di Lesvos è stata occupata ed è diventata un punto di incontro e snodo di iniziative spontanee che hanno percorso la città, affermando e arricchendo di contenuti i muri di questa citta' come: "no one is illegal", "no border,no nation, stop deportation", "burn all borders", "erase all borders,destroy all the walls of shame"..

Dato il luogo scelto per questo NoBorder camp, a Lesvos, la presenza femmminista, lesbica è stata ancora più visibile che nelle precedenti edizioni. Seguendo il modello di Rostock (2007), nel campeggio si è allestita una zona segnalata come “zona queer”, ed è stato l’inizio di una riflessione più ampia a venire. Questa edizione del NoBorder camp ha fatto convergere e confrontare nei vari momenti di dibattito le realtà che da tempo si mobilitano per la libertà di movimento con gruppi greci e non solo che stanno affrontando queste tematiche. Con l'incentivo che i migranti di tutto il mondo ci insegnano "Jump over the sea, make border history" si è conclusa questa edizione del NoBorder camp di Lesvos.

Laura Sponti
Hibai Arbide
Alliance Multiethnic

Links Utili:
http://www.noborder09lesvos.blogspot.com/
http://www.lesvos09.antira.info/

Ssangyong - Un mese dopo

E’ passato appena più di un mese dalla fine dello sciopero/occupazione alla fabbrica della Ssangyong, ma la repressione contro i lavoratori non ha fatto sosta.

L’accordo raggiunto all’ultimo momento tra il sindacato, il KMWU, e la compagnia - che diminuiva il numero dei licenziamenti, dava certe garanzie per posti di lavoro nel futuro, e accettava di non proseguire con i mandati d’arresto per gli scioperanti - non è mai stato rispettato dalla compagnia e il governo fin dal primo giorno.
Dopo i due mesi e mezzo di sciopero/occupazione sia i lavoratori, che il sindacato, speravano in una pausa per riprendersi, sia personalmente che organizzazionalmente. Il rinnovato attacco dalla Ssangyong e il governo subito dopo la fine dell’occupazione, ha inizialmente preso i lavoratori in contropiede, aumentando il senso di crisi dentro il sindacato.
La situazione attuale e’ la seguente:
1) La Ssangyong ha espulso tutti i lavoratori che avevano partecipato nell’occupazione e continua a negarli accesso alla fabbrica,
2) 71 organizzatori sindacali sono ancora in stato d’arresto,
3) la Ssangyong sta organizzando un nuovo sindacato tra i lavoratori rimasti a lavorare,
4) sia la compagnia, il governo e la polizia stanno facendo causa contro il KMWU per danni subiti di milioni di dollari,
5) sia la compagnia che la polizia continuano ad interrogare i lavoratori che avevano partecipato allo sciopero per fare in modo che abbandonino la lotta o/e per usarli come spie nell'accusare altri lavoratori
6) I ritmi di lavoro dentro la fabbrica sono aumentati notevolmente e a quanto pare gli operai hanno anche difficolta di prendere una sosta per andare al bagno.

La classe operaia Coreana ha un passato molto ricco di lotte sindacali, e con il supporto di altri sindacati, la sezione locale del KMWU e’ riuscita a assorbire questo nuovo impatto, e si sta riorganizzando per contrastare questa nuova offensiva.

La battaglia alla Ssangyong continua ad essera dura, con la compagnia che spinge per una vittoria a tutto campo. La solidarieta’ della classe lavorativa in Corea, ed internazionalmente, sara’ ancora piu’ necessaria in questa nuova fase. Nel frattempo, i lavoratori nelle altre grandi compagnie automobilistiche Coreane stanno seguendo la situazione alla Ssangyong con grande interesse.

Piergiorgio Moro
Melbourne, Australia

Azioni di solidarietà:
http://www.aawl.org.au/content/defend-our-unions-support-ssangyong-workers

Nigeria - Leader del Mend si arrende con 3mila uomini

Il paese africano sta attraversando una fase particolare

Farah Dagogo è l'ennesimo comandate del gruppo ad accettare l'amnistia

Il gruppo militante guidato da Farah Dagogo, composto da circa 3000 guerriglieri, si è arreso accettando l'amnistia proposta dal governo. Insieme ad altri due leader del Movimento per l'Emancipazione del Delta del Niger (MeND), Ateke Tom e Government Tompolo, aveva da giorni stabilito contatti informali col governo, principalmente per avere garanzie specifiche sulla sua incolumità. Il MEND aveva annunciato pochi giorni fa che avrebbe ripreso gli attacchi alla fine della tregua pattuita col governo, 15 settembre. Il gruppo ha dichiarato in un dispaccio alla Reuters che "ci stiamo liberando dei comandanti la cui identità è ormai nota per garantire la nostra sicurezza". La resa di Dagogo si inserisce in una serie di rese, avvenute negli ultimi due mesi, che hanno privato il MEND di molti leader storici. Secondo il governo, la proposta di amnistia ha diviso il movimento e lo ha privato di migliaia di effettivi.


Tratto da:
Peace reporter

domenica 6 settembre 2009

Corazón del tiempo, ritratto della vita quotidiana degli zapatisti

E' una pellicola strana, in cui gli indigeni si rappresentano da soli: dice il regista Alberto Cortés


Da La Jornada: Il Film ha avuto tre programmazioni al Festival Internacional de Cine a Guadalajara
di Jorge Caballero

Dopo aver sorpreso come a San Sebastián, al Sundance e Viva Fest, il lungometraggio Corazón del tiempo, diretto da Alberto Cortés, fa il suo debutto al 24 Festival Internacional de Cine a Guadalajara, in cui verrà proiettato tre volte, la prima oggi.
Intervistato il regista messicano – autore della sceneggiatura insieme a Hermann Bellinghausen– afferma: “Il film tocca molti temi, come la situazione delle donne, come una ragazza indigena affronta la decisione di recedere dalla decisione di sposarsi con un ragazzo, come era stato concordato dalla famiglia. Attraverso questo conflitto possiamo scoprire e relazioni che si vivono nelle comunità, la relazione che ha la gente con l'EZLN e quali sono le relazioni di autorità dentro una comunità.
Bisogna ricordare che sono passati 15 anni dall'insurrezione e 25 dalla creazione dell'EZLN: ci sono giovani che sono nati ed hanno vissuto nello zapatismo, gli attori principali del film sono giovani che appartengono alla generazione educata nello zapatismo, questa è la gente con cui abbiamo lavorato in questa pellicola.
Cortés aggiunge: “Corazón del tiempo è il culmine di un lavoro che è durato molti anni, che è iniziato con una visita a la Realidad che mi colpì moltissimo, vedere come lo zapatismo si stava sviluppando nelle comunità.
In quel momento ho avuto l'idea di fare un film, ma girarlo lì non era facile, non solo c'è il problema di arrivare e filmare, ma abbiamo dovuto ripensare molte cose, iniziando dalla maniera di farlo; è stato un lavoro lungo: abbiamo iniziato con il proiettare cinema nelle comunità contadine, indigene e basi d'appoggio, che in molti casi non avevano avuto dimistichezza con il cinema o la televisione, incluse anche comunità isolate e senza luce.
Dopo questo lavoro, iniziò la scrittura della sceneggiatura con Hermann Bellinghausen, con il quale abbiamo lavorato, trasformando il testo man mano che lo facevamo quanto più ci addentravamo, sempre di più, nelle comunità.
“L'importanza della pellicola è che ritrae la vita quotidiana nelle comunità zapatiste, come si vive in resistenza, come si costruisce l'autonomia .. tutte cose che abbiamo conosciuto dello zapatismo, in altra forma, con le notizie o i comunicati di Marcos o gli innumerevoli documentari che sono stati fatti, ma questa è la prima volta che tutto questo viene narrato in forma di fiction, interpretata da loro stessi; cosa questa che è stato uno degli accordi e cioè non che avrebbero finto di esssere zapatisti ma che invece l'avrebbero fatto in forma collettiva. Tutti gli zapatisti sono coproduttori insieme alla Giunta di Buongoverno Hacia la Esperanza. E' una pellicola in cui abbiamo inventato una forma di produzione”.
Non è un docudrama
Secondo Cortés, Corazón del tiempo “è una pellicola strana, perchè finora non si era mai fatto un film con indigeni che rappresentano sé stessi, con piena coscienza.
Non è un docudrama in cui abbiamo preso una famiglia che rappresenta la sua vita e più o meno reciti, no, qui è una fiction normale, in cui gli attori hanno dovuto imparare i dialoghi.
Il dirigere con questi attori è stato molto divertente, la forma nella quale scoprivano tutto e il come lo facevano in maniera fresca, si nota nella pellicola.
Tutti gli attori capivano bene la responsabilità del ruolo che stavano svolgendo, siamo tornati all'origine della recitazione nella quale gli attori non pensavano alla fama e al denaro ma alla responsabilità di rappresentare un personaggio della loro società.
E' stato molto importante per tutto lo svolgimento, non c'è stato niente di artificiale.
Pensavamo che Corazón del tiempo doveva essere un film che potesse stare nelle sale commerciali e nei cineclubes, questo era uno dei nostri obiettivi, raggiungere lo schermo, cosa che non è per niente facile per la situazione del cinema messicano, ma siamo abituati alla lotta”.

Riferendosi ai passaggi internazionali Cortés dice: “La pellicola è stata proiettata a San Sebastián, nei Paesi Baschi; poi è andato al Sundance, negli Stati Uniti; la settimana scorsa siamo stati a Viva Fest, nel Regno Unito, che è un tour in diverse città, e il prossimo lunedì e martedì sarà esibito al Festival di Toulouse; in tutti questi festival ci è andata bene, perchè fuori dal Messico il film sorprende molto. In tutto il mondo proprio ora è importante che si abbia una idea diversa del nostro paese, mentre si parla tanto della guerra contro la droga è importante che invece si veda all'improvviso un film che parla della vita in campagna e degli indigeni in maniera piena di speranza. Ti rendi conto che la cosa migliore che c'è in Messico è quello che sta succedendo con gli zapatisti, che sono molto lontani dalla violenza che vive il resto del paese”.

Corazon del tiempo

Intervista al regista Alberto Cortes

Dialogo a cura di Associazione Ya Basta

Arriva in Italia Corazon Del tiempo, il film che ti porta nel cuore dello zapatismo.

In uscita a Venezia il 25 settembre 2009 a seguire Vicenza, Milano, Toscana, Napoli Roma.
Abbiamo intervistato Alberto Cortes, regista di Corazon del Tiempo a Città del Messico nei giorni in cui il film usciva nelle sale della capitale messicana.


La prima domanda non può che essere da dove nasce l'idea del film?
La prima volta che siamo stati in una comunità zapatista, La Realidad, io ed Ana, mia moglie, che è anche produttrice del film, siamo stati sorpresi da quello che stava succedendo lì e da quanto poco se ne sapesse fuori.
Non si conosceva la vita quotidiana dello zapatismo.
Da lì è nata l'idea di fare un film di fiction e non un documentario, questa frontiera finora non si era mai attraversata.
Pensammo che avrebbe potuto essere un film d'amore.
E così iniziammo a parlarne con Hermann. Da quel momento l'idea è cresciuta tantissimo.
Abbiamo iniziato con un lavoro di promozione cinematografica nelle comunità. Eravamo come degli espositori: facevamo vedere film.
Questo lavoro è durato per tutto il tempo, tre-quattro anni, in cui abbiamo scritto la sceneggiatura. In questo tempo abbiamo imparato a conoscere lo sguardo degli zapatisti nel vedere il cinema: cosa gli piaceva, cosa gli dava emozione e questo ha avuto un importanza particolare nel fare il film.

Il film e' una cooproduzione con la Giunta del Buongoverno de La Realidad. Ma questo cosa significa?
Ha molti significati.
Quando il film ha avuto la possibilità di diventare realtà c'erano già le Giunte del Buongoverno e noi abbiamo avuto la possibilità di conoscere in diretta il loro lavoro.
Quando si è iniziato a concrettizare la produzione, ci sono stati molti temi delicati: i pagamenti, i contributi vari da parte loro .. normalmente in un film “normale" uno affitta i luoghi dei set, affitta un ristorante .. ma in questo caso abbiamo inventato con loro un nuovo cammino di coproduzione, che è andato crescendo man mano
Il lavoro artistico dei compagni non si vede solo attraverso gli attori, che sono tutti basi d'appoggio zapatista ma anche negli spazi scenici, nelle ambientazioni, nei vestiti; ovviamente nessuno meglio di loro sapeva come ricreare l'intero ambiente.
E' stata una coproduzione artistica, creativa, logistica (nel capire come ci si muove in un territorio zapatista), economica (nell'organizzare il lavoro).
Noi non potevamo arrivare e fare come si fa con il cinema ad esempio: gli attori importanti guadagnano molto, gli intermedi un po' e gli altri poco. Non si poteva fare così.
Ognuna partecipava e aveva in maniera uguale, come fanno gli zapatisti.
E' stata una coproduzione in ogni senso. Anche dalla Spagna c'è stata una coproduzione ma è stata semplicemente un apporto economico.
La coproduzione con loro è stata totale: finanziaria perchè ci hanno messo molto del loro lavoro, creativa perchè gli attori erano loro, musicale, logistica perchè ci hanno dimostrato di cosa sono capaci. E dobbiamo sempre pensare che per loro fare un film era una assoluta novità.
Però alla fine abbiamo fatto un film vero, con tutti i suoi problemi, le sue contraddizioni che sono state risolte al modo zapatista.
Una coproduzione in ogni senso.
Il film ci mostra di cosa sono capaci gli zapatisti nel terreno artistico e culturale.
Avevamo visto di cosa sono capaci nel terreno politico, sociale, la loro organizzazione militare però si è dimostrato che hanno una vena artistica, che in parte conoscevamo perchè sappiamo che cantano, ballano …
I giovani soprattutto hanno vissuto il film quasi come un gioco in cui potevano entrare, dire la loro. E stato un lavoro stimolante.

Piu che di coproduzione potremmo parlare di condivisone. Ma cosa significa fare cinema, ad un livello completo, senza prima essersi formati specificatamente?
Quando si fanno film in comunità normalmente c'è una guida, il regista, la produzione che decide e gli altri che eseguono quello che bisogna fare per fare del cinema, in questo caso no, si è trattato di una creazione collettiva.
Questo si vede nel film, che ha una carattetistica comunitaria, contadina in sintesi zapatista.
Si vede che è un prodotto loro, dell'impegno che avevano preso nel progetto, che era stato approvato dalla Giunta.
E' l'ulteriore riprova che se accettano un progetto poi lo fanno realmente.
Essendo un progetto loro, zapatista, la gente si è impegnata fino in fondo ad esempio nella scelta delle ambientazioni, nel farle diventare reali.
Per questo ora molta gente, che sta vedendo il film nelle sale commerciali, ha l'impressione di vedere un documentario. Si coglie che quello che gli stanno raccontando è verità. Non è prodotto creando gli spazi, gli spazi sono reali fatti come sono. Ma qua viene il bello perchè in realtà è una fiction con dialoghi scritti etc .. ma è reale e ti chiedi da dove ci stanno raccontando tutto questo. C'è lo stanno raccontando a partire da una onestà enorme, con una freschezza inedita come attori.
Questo fa si che in questo momento, in cui il film è nelle sale, piaccia.
La gente applaude ed esce molto contenta e sorpresa che lo zapatismo sia anche questo.

Gli attori sono basi d'appoggio che non avevamo mai fatto cinema, come ti sei trovato?
Ci sono state due cose che mi hanno colpito.
Una è che siccome loro dovevano interpretare personaggi simbolici, di forte rappresentanza dello zapatismo, lo hanno fatto con un impegno e una responsabilità che non trovi nornalmente negli attori. Essere attori è un impegno con la tua società.
L'altra cosa è la freschezza nell'interpretare i personaggi, nel cambiare i testi per dire e fare quel che succede veramente,
Ad esempio la nonna è una donna che non sa leggere e scrivere e doveva memorizzare le cose e dunque diceva “mi scappano dalla testa le parole” e alla fine ha detto a modo suo quello che c'era scritto nella sceneggiatura.
Tutto questo ha dato una grande freschezza al film
Tutti l'hanno fatto molto naturalmente.

Tre settimane nelle sale cinematografica significa un successo, il fatto di avere creato un vero film … te lo aspettavi?
Questo era lo scopo, il film poteva essere fatto in una forma più alternativa (DVD etc ..) ma noi abbiamo sempre pensato che dovevamo fare qualcosa che potesse competere con i film “veri” in qualsiasi sala.
L'abbiamo sempre pensato per le sale cinematografiche e di certo non è stato facile fare questo prodotto, è stata una lotta per avere i fondi per tutto.

In Messico c'è un interesse a vedere il film. Che gente va vedere il film?
Di tutto. Ho visto grandi, giovani, più donne che uomini – è una storia d'amore-.
Lo raccomandano ad altri perchè non si aspettano questo dallo zapatismo, si aspettano passamontagna, comandanti ed invece restano stupiti.
Alcuni non si aspettano questo, altri lo avevano intuito andando nelle comunità e restano comunque stupiti nel vederlo.
Credo che il film stia iniziando ad avere un suo posto nel Messico di oggi.
Esce in un momento in cui c'è molta violenza, molto disordine, caos, poi è appena avvenuta questa nuova tragedia di Acteal .. e all'improvviso esce questo film strano.
Penso che ha una funzione importante nel dire che anche se gli zapatisti non sono nei media ci sono.

… e non sono solo una organizzazione ma un modo di vivere ...
E' precisamente questo che mostra il film.
Gli zapatisti stanno continuando, andando avanti, hanno le Giunte del Buongoverno, la crescita sociale che sta funzionando, a volte meno a volte di più …
Questo, nella situazione che c'è in Messico, è una delle poche cose che ci sta mostrando una strada, la loro, però loro la stanno portando avanti.

Città del Messico 27 agosto 2009

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!