lunedì 19 ottobre 2009

Wallmapu - Violenza poliziesca incontrollata contro le comunità mapuche


Observatorio Ciudadano

Nonostante la rattifica da parte del Cile dell’Accordo 169 della OIL, non cessano le rappresaglie nelle comunità.Approssimativamente alle ore 14 del venerdì 15 di ottobre, mentre rappresentanti della comunità di Temucuicui partecipavano a una riunione con funzionari di CONAF nella scuola del settore, in relazione allo sviluppo di un programma di impieghi, un operativo poliziesco condotto da carabinieri in netta violazione di tutte le norme su procedure di polizia, è terminato con numerosi feriti e con la detenzione del lonko (capo spirituale) Juan Catrillanca e del werken (portavoce) della stessa comunità, Mijael Carbone.

Da quanto raccontato i carabinieri sono arrivati all’improvviso e senza esibire nessun ordine giudiziale procedendo all’invasione della comunità, effettuando spari e lanciando bombe lacrimogene all’interno della scuola. Come conseguenza di questa azione sono risultate ferite una decina persone, tra essi sei bambini. Due dei feriti, entrambi adulti, sono risultati con ferite da colpi di arma da fuoco, ed il resto con pallottole di gomma. Inoltre sono stati ricoverati con sintomi di asfissia una quarantina di bambini che si trovavano all’interno della scuola.

L’azione dei carabinieri che sarebbe dovuta apparentemente a un’ordine della procura, risulta assolutamente contraria alle norme di diritto interno ed internazionale relative alla proibizione dell’uso indebito della forza contro civili e persone indifese, particolarmente bambini. Si tratta, purtroppo, di una condotta che non è nuova.

Anche oggi si è verificato un altro fatto preoccupante questa volta nella comunità José Guiñón, nello stesso comune di Ercilla. Come denunciato all’Osservatorio Cittadino da Pablo Ruiz, membro del Comitato Etico contro la Tortura, che accompagnava un gruppo di rappresentanti di organizzazioni dei diritti umani nordamericane che visitano la zona, arrivando alla comunità, attorno alle ore 15, si sono trovati nel mezzo di un operativo dei carabinieri, trovando la machi (anziana, saggia della comunità) ammanettata nel suolo. In questa occasione ci sono stati quattro detenuti, il lonko della comunità, José Cariqueo, Freddy Marileo, Luis Humberto Marileo ed un bambino di solo 13 anni.


Dall’inizio dell’anno si sono registrati più di una ventina di casi di violenza poliziesca contro componenti di comunità mapuche, e molti di essi hanno colpito bambini.

Tale è il caso di F.M.M., di 10 anni di età, anche lui di Temucuicui che all’inizio del mese è stato ferito da pallini mentre si trovava badando animali della sua famiglia. Un altro caso grave ha colpito il 5 di ottobre passato F.P.M., di 14 anni di età, nella comunità di Rofue nel comune di Padre Las Casas in Temuco. Il ragazzo è stato intercettato da carabinieri che si muovevano in elicottero, mentre raccoglieva piante medicinali assieme alla machi della comunità, fermato a colpi di pallottole di gomma alle gambe e alla schiena e successivamente caricato sull’elicottero, da dove veniva minacciato di essere lanciato se non forniva i nomi delle persone della comunità implicate in un’azione di recupero di terre che si stava effettuando in quel momento.

Questo nonostante che l’attuazione di azioni sproporzionate dei carabinieri a danno della popolazione civile e della popolazione mapuche nell’ultimo periodo, sia stato oggetto di interpellanza allo Stato del Cile da parte di diversi organi delle Nazioni Unite, come il Comitato di Diritti dal Bambino, il Comitato dei Diritti umani, il Comitato contro la Tortura, ed il Comitato per l’Eliminazione della Discriminazione Razziale, che hanno sollecitato il governo a mettere un freno a questo tipo di condotta poliziesca in violazione dei diritti umani.

La reiterazione di questo tipo di condotta illegale e discriminatoria da parte dei carabinieri, rende conto che le autorità non stanno rispettando gli obblighi internazionali ed agiscono contro le raccomandazioni da questi organi, la cui competenza è determinata da trattati dei diritti umani ratificati dal Cile e pienamente vigenti nel nostro ordinamento giuridico interno.

Sollecitiamo all’alto comando dei Carabinieri ad adottare misure per identificare i responsabili di questi fatti e sanzionare questo tipo di condotta criminale e, inoltre, in violazione dei diritti umani, della quale sono responsabili membri delle forze dell’ordine e sicurezza dei Carabinieri del Cile.

Contemporaneamente, sollecitiamo le autorità di governo responsabili per le azioni dei carabinieri del Cile, ad adottare tutte le misure amministrative affinché si sanzionino i responsabili. In caso contrario, come l’Osservatorio ha segnalato anteriormente, il governo del Cile, guidato dalla Presidentessa Michelle Bachelet, si fa complice di atti criminali ed in violazione dei diritti umani commessi dagli agenti dello Stato contro la popolazione mapuche, in aperta contraddizione con il suo discorso pubblico in relazione ai paesi indigeni. Violando, come già abbiamo segnalato, trattati internazionali di diritti umani ratificati dal Cile, tra gli altri, l’Accordo 169 della OIL recentemente ratificato, sui popoli indigeni e tribali.

Observatorio Ciudadano*, viernes 16 de octubre de 2009.

* Organizzazione non governamentale di difesa, promozione e documentazione dei diritti umani con sede in Temuco

Tunnel della 'sopravvivenza', vasta campagna di arresti e sequestri da parte delle forze di sicurezza egiziane.


Ieri sera, le forze di sicurezza egiziane hanno lanciato una campagna di arresti contro i commercianti che trasportano merci nei tunnel della "sopravvivenza" situati tra Striscia di Gaza e l'Egitto.

Secondo fonti speciali, in questi giorni le forze di sicurezza egiziane stanno conducendo operazioni di polizia di natura "politica" contro i tunnel, che stanno portando al sequestro di grandi quantità di merci destinate al contrabbando verso la Striscia di Gaza.

Secondo queste fonti, ieri sera le forze di sicurezza egiziane hanno scoperto per la seconda volta un deposito di generi alimentari del valore di mezzo milione di dollari, alla frontiera con la Striscia di Gaza.

Un altro deposito era stato trovato qualche giorno fa, per il valore di un milione di sterline egiziane.

Le forze di sicurezza egiziane, di stanza a Rafah, avevano ricevuto delle "soffiate" da informatori sulla dislocazione di un magazzino di merci (la zona di frontiera di al-Duhniyah, a circa 250 metri dal confine con la Striscia di Gaza).

A seguito di queste informazioni, grandi forze di sicurezza hanno fatto irruzione nell'area e hanno trovato ingenti quantitativi di legname, carburante, apparecchi elettrici, pneumatici e pezzi di ricambi per auto, destinate alla Striscia di Gaza.

Secondo gli esperti, questa campagna contro i tunnel ha l'obiettivo di esercitare pressioni su Hamas per costringerne i leader a firmare il documento di riconciliazione palestinese al Cairo, pena l'intensificarsi dell'assedio contro la Striscia.

da Infopal

Down by the River

Rifiuto del lavoro e crisi della manodopera, mentre ripartono gli ordinativi per l'export destinato all'Occidente



Il diario di bordo di Paolo Do - Hong Kong (Cina)

Il natale nel sud della Cina, ovvero nella sua regione più industrializzata ed economicamente competitiva, è già arrivato. Il porto di Hong Kong così come quello di Guangdong ha aumentato il suo traffico di quasi il 6% dando prova del miglior segno positivo negli ultimi undici mesi. Questo grazie non solo all`acquisto record di materie prime comperate questa estate dalla Cina in giro per il mondo; questa crescita è dovuta in parte alle spedizioni di quei beni di consumo che verranno acquistati prevalentemente in Usa ed Europa questo natale.

Se sono molte le perplessità sulla sostenibilità del consumo in Occidente nel lungo periodo, tuttavia le super navi container hanno ripreso i loro viaggi (pensate che un recente studio della industria marittima del Pacifico ha stimato che da sole le 15 più grandi navi del mondo inquinano come tutte le automobili del mondo messe assieme!link).

Un altro segno con cui leggere la ripresa economica è la mancanza di forza lavoro del settore export, ovvero nelle fabbriche delle aree produttive come il Pearl Delta e lo Yangtze River Delta.

Nella città di Shenzhen le autorità hanno stimato una carenza di più di 120 mila braccia, sei volte quello che si è sperimentato nell’aprile di questo stesso anno. A Zhejiang la scarsità di manodopera tocca le punte di 250.000 lavoratori, e la situazione è simile a Dongguan, a Foshan, a Guangdong e Wenzhou. Se nei mesi passati tutte le industrie dell`export in Cina hanno pesantemente licenziato per far fronte alla crisi, ora queste stesse fabbriche vorrebbero nuovamente forza lavoro per rispondere all’aumento degli ordini natalizi.

Il fenomeno della scarsità di manodopera nelle zone costiere della Cina, a discapito di quanto si pensa in Europa, non è un fenomeno nuovo. Anzi. Ma questa volta tale fatto ha delle caratteristiche particolari.

Secondo il professor Liu Zhenjie della accademia Henan di scienze sociali, quello di cui soffre oggi il settore dell`export è dovuto alla scelta dei migranti cinesi di non ritornare nel Delta a lavorare, complice il costo di vita elevato in quelle regioni. Molti lavoratori migranti originari delle aree rurali e delle provincie del west che sono stati licenziati qualche mese fa infatti non ne vogliono sapere di voler ritornare.

Dopo essere stati licenziati essi sono tornati nelle loro città natale, dove il costo della vita è drasticamente più basso. E ritornando hanno ritrovato le loro città in pieno boom economico grazie alle costruzioni di infrastrutture promosse dallo Stato cinese come misura anti crisi.

Mentre sono molte le industrie del Delta che hanno dovuto cancellare ordinativi per mancanza di manodopera, le misure anticrisi statali fanno concorrenza al settore dell`export proprio sul lavoro di quei lavoratori migranti e a basso costo. La mancanza di forza lavoro del Delta potrebbe così diventare strutturale e di lungo periodo: questo proprio grazie al Governo Cinese.

domenica 18 ottobre 2009

Tre gruppi per la pace

Presidenza del Consiglio Direttivo del KCK
Koma Civakên Kurdistan
Peoples` Confederation of Kurdistan


All'opinione pubblica
"Nell’incontro del 9 ottobre 2009 il Presidente Abdullah Ocalan ha sottolineato che nella soluzione della questione Kurda si assiste ad un momento di blocco sia per quanto che riguarda i metodi militari che per quelli politici. Per superare il blocco che esiste nella sfera politica e per aprire le vie della soluzione democratica della questione kurda, il Presidente Ocalan ha fatto un appello al nostro movimento di riutilizzare lo strumento dei gruppi di pace. Questo appello che ieri è stato diffuso dalla stampa è stato accolto dal nostro movimento. Nello stesso momento diverse proposte ed idee che sono state presentate dai nostri amici saranno realizzate. Abbiamo quindi deciso di mandare tre diversi gruppi di pace in Turchia."
"Uno da Qandil, uno dal campo di Mahmura ed uno dall’Europa. Lo scopo di questi gruppi di pace è di fare un passo avanti nella democratizzazione e pacificazione della Turchia, di ammorbidire la durezza che c’è e creare una atmosfera adatta alla costruzione di un clima di pace. Questo appello, che il nostro Presidente ha fatto, nello stesso momento è rivolto anche allo Stato turco. Noi, per quello che ci compete faremo di tutto per soddisfare la richiesta dell’appello. La nostra sincerità nella soluzione democratica e pacifica è totale e metteremo ancora una volta in campo la nostra insistenza e decisione.

Questo nostro atteggiamento è causato dal senso di responsabilità nei confronti dei nostri popoli e di un senso responsabilità verso una libera convivenza. Noi speriamo che questi passi possano contribuire a creare degli sviluppi positivi. Dopo tanto tempo, per l’ennesima volta il Presidente Ocalan è stato nuovamente obbligato all’isolamento, le operazioni militari stanno continuando, i politici kurdi ancora vengono arrestati e continuamente calunniati con accuse infamanti, le forze interne ed esterne che non hanno interesse affinché una soluzione democratica venga trovata, lo trovano, invece, nello scontro e stanno facendo delle provocazioni. Come si è visto a Çaldıran ancora continuano le uccisioni ignote.

Nello stesso tempo, come nel caso di Ceylan Onkol, ci sono assassinii che rimangono impuniti, sui quali si mantiene un atteggiamento molto irresponsabile da parte della Procura della Repubblica che si rifiuta di indagare sul caso“Non è morta per un colpo di mortaio, non abbiamo responsabilità”. In un ambiente così, la nostra decisione di mandare gruppi di pace deve essere valutata in modo giusto. Noi con questo atteggiamento cerchiamo di superare la mentalità di coloro che vogliono bloccare e stanno bloccando il percorso di pace. Stiamo dalla parte delle popolazioni che veramente vogliono una soluzione democratica. Il nostro movimento il 13 aprile ha preso la decisione di dichiarare un unilaterale periodo di “non azione” al quale il governo della Repubblica turca ha dato diversi nomi. In questo momento questo percorso sembra soffocato.

Nonostante tutte le dichiarazioni dei dirigenti dell’AKP la strada verso una risoluzione si sta restringendo, rischiando di causare gravi danni e pericoli. Comportamenti non responsabili hanno portato il percorso di pace ad essere sabotato, gli stessi comportamento che gradualmente lo stanno mettendo in pericolo. Con questa azione il nostro vero obbiettivo è di fermare nuovi scontri che possono creare altre perdite di vite umane. Tutte le parti che vogliono la pace e la democrazia devono contribuire per poter superare queste momento che sta lentamente soffocando il percorso verso la pace. Dentro il paese come all’estero, l’opinione democratica e pacifica, come chi vuole stabilità devono contribuire a questo percorso e prendere la responsabilità che gli compete.

Chiediamo all’opinione pubblica kurda di capire bene il senso di questa iniziativa, parteciparvi ed accogliere i gruppi di pace come ambasciatori di pace per dimostrare la volontà del popolo al percorso della soluzione democratica. A tutto il popolo del Kurdistan diciamo che non è questo il momento di ammorbidirci, siamo di fronte al bivio di un percorso molto critico. Senza mettere in discussione la sua autodifesa, con manifestazioni popolari forti, deve dimostrare la sua contrarietà alla guerra e a chi vuole la guerra, alzare la voce della pace e lottare per la pace.

Chiamiamo tutte le organizzazioni democratiche in Turchia ed in Kurdistan affinché questi gruppi di pace che organizzeremo possano avere successo per aprire la strada della pace."

venerdì 16 ottobre 2009

Moltitudine messicana

Centinaia di migliaia manifestano in appoggio agli elettricisti

Il governo obbligato al dialogo potrebbe dover affrontare non solo le richieste dei sindacati

di Matteo Dean

Trecentomila o forse qualcosa di più. Questi i numeri della prova di forza realizzata ieri, 15 ottobre, dagli elettricisti del centro della Repubblica messicana. La capitale del paese, la zona di maggior intervento della liquidata compagnia parastatale Luz y Fuerza del Centro, è stata letteralmente invasa da una moltitudine di manifestanti. Certo, tra loro i 42.000 lavoratori, licenziati da un giorno all’altro per decreto presidenziale la notte di sabato scorso. E con loro le rispettive famiglie, rimaste senza uno stipendio.

Ma assieme a loro, decine di migliaia di altri manifestanti: moltissimi sindacati - stessi che da tempo non si vedevano per le strade messicane -, ma anche studenti, gente comune, organizzazioni sociali dedicate alla lotta per la sovranità alimentare, per i diritti umani, per i diritti di genere, ecc.. La protesta sociale in Messico è al limite dello scontro. La manifestazione di ieri era fondamentale non tanto per trovare una soluzione, ma per dare un segnale. Il decreto presidenziale che la notte tra sabato e domenica scorsi ha sciolto d’autorità la compagnia elettrica parastatale che forniva energia alla capitale messicana e a alcune decine di municipi circostanti - un totale di circa 30 milioni di utenti - e ha licenziato, in tronco e senza appello, 42.000 lavoratori appartenenti, tutte e tutti, al Sindacato Messicano di Elettricisti (SME), uno dei sindacati più importanti del Messico, doveva ricevere una risposta adeguata.

Il rischio, secondo alcuni analisti, era infatti quello di mostrare ulteriore debolezza, il che avrebbe dato ragione al governo. Questi infatti sostiene - nel decretare la chiusura della compagnia - che la stessa è cara, troppo cara. E la colpa, in buona parte, ricadrebbe sui lavoratori, privilegiati nel loro contratto collettivo che concederebbe loro troppi diritti. La realtà è diversa, si sa: gli elettricisti messicani godono semplicemente dei minimi diritti garantiti dalla Legge Federale del Lavoro. Il che, in un paese in cui la metà della popolazione economicamente attiva lavora nel “settore informale” sarebbe certamente un privilegio, ma la spinta al ribasso che il governo vorrebbe imporre appare come una franca esagerazione: gli elettricisti messicani, infatti, la maggior parte di loro, ricevono uno stipendio medio di 6.000 pesos, meno di 400 euro, al mese. Una miseria, anche da questa parte del mondo.

Per fortuna, dunque, il segnale c’è stato. Ed il governo in serata è stato costretto ad accogliere la richiesta giunta da più parti di stabilire un tavolo di dialogo tra le parti. Certo, un dialogo strano: il SME, infatti, richiede il ritiro del decreto e la restituzione dei posti di lavoro; dal canto suo, il governo sarebbe disposto a discutere solamente i meccanismi di reinserzione dei 42.00 nel mondo del lavoro. Nulla più. Ma la partita è cominciata e dipenderanno più dal movimento che dal governo gli esisti positivi del negoziato.

Il governo messicano, infatti, ha impostato l’operazione contro Luz y Fuerza con grande attenzione. Si dice che già due settimane prima il governo fosse pronto al gole contro gli elettricisti. Da due settimane la polizia federale e l’esercito era dislocato nei pressi delle istallazioni elettriche, pronti ad occuparle appena l’ordine fosse giunto. Si dice anche che il governo tutto avrebbe previsto, compresa la mega manifestazione di ieri e che, quindi, sarebbe ora necessario aumentare la pressione sociale perché davvero gli equilibri cambino di segno. Dall’altro canto, anche la intensa campagna mediatica contro gli elettricisti è evidentemente orchestrata dall’alto: l’idea sembra essere quella classica, ovvero contrapporre la cosiddetta “classe media” - in rapida via d’estinzione, causa crisi economica - agli operai messicani.

Allo stesso tempo, il governo comincia il dialogo partendo da due dati di fatto: il primo, l’occupazione militare delle istallazioni elettriche continua, con l’uso di oltre 5.000 tra poliziotti e militari; il secondo, il processo di privatizzazione è già cominciato, grazie alle concessioni trasmesse all’impresa d’origine spagnola WL Comunicaciones S.A. De C.V.. Dal canto suo, anche il movimento gode di alcuni vantaggi ed alza la posta in gioco. Innanzitutto, la grande solidarietà dimostrata non solo ieri durante la manifestazione, ma nel corso di tutta la settimana.

Decine di migliaia di persone si stanno mobilitando in tutto il paese. Manifestazioni di appoggio, ma anche di protesta, perché l’operazione del governo ha prodotto anche problemi alla distribuzione dell’energia elettrica. E a questo proposito, il SME denuncia che la polizia starebbe prelevando con la forza ad alcuni dei lavoratori licenziati - soprattutto tecnici specializzati ed ingegneri - perché il personale che l’ha sostituito per decreto non sarebbe capace di far operare gli strumenti di Luz y Fuerza.

Ma, per fortuna, il discorso del movimento va anche oltre alla legittima richiesta sindacale: importanti voci all’interno dello spettro politico messicano stanno chiedendo ad alta voce la rinuncia del presidente Felipe Calderon. E c’è anche chi suggerisce lo sciopero generale nazionale, il che sarebbe un precedente importante, visto che l’ultimo sciopero generale in Messico data 1936, quando il mondo, evidentemente, era un altro.

In chiave postfordista invece è giunta la proposta dello sciopero generale dei consumatori: non pagare le bollette, potrebbe essere un ulteriore strumento di protesta sociale. E, nonostante tutto, vi è anche una soluzione radicale: gestione dell’impresa parastatale in mano ai lavoratori con l’aiuto delle tre grandi università del paese, la Nazionale Autonoma (UNAM), la Autonoma Metropolitana (UAM) e il Politecnico (IPN). Dal palco, alla fine della manifestazione, la dirigenza sindacale, peccando di autoreferenzialità, annunciava il ritorno dei lavoratori-operai al centro del dibattito politico messicano. Non è vero, anche il Messico è cambiato ed il lavoro salariato, quello classico e d’origine fordista, difficilmente potrà riavere il ruolo che ebbe in passato.

Ma certamente la manifestazione di ieri ha restituito dignità ai lavoratori messicani. E a conferma di ciò, era sufficiente osservare la composizione della manifestazione: sindacalisti, certo, ma anche contadini, studenti, casalinghe. Ed assieme a loro, attiviste femministe, per la lotta per la casa, contro gli OGM e in difesa del mais, per i diritti umani, contro le alte tariffe elettriche, in difesa dell’ambiente e del territorio. Insomma, una vera e propria moltitudine.

A questo punto, resta solo da vedere se la dirigenza sindacale del SME, chiamata da oggi a dialogare con il governo, saprà mettere a valore la potente sinergia che ieri ha fatto capolino per le strade di Città del Messico. Da vedere se si saprà far convergere tante esigenze sociali, diverse e variegate, in un unico movimento moltitudinario che anticipi ciò che molti già annunciano per il prossimo anno, il 2010: la mobilitazione sociale generalizzata.

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!