mercoledì 21 ottobre 2009

Calma apparente attorno all'Iran

Nuovo vertice sul nucleare dell'Iran, ma l'ombra dell'attacco ai Pasdaran complica tutto


di Christian Elia


''Abbiamo avuto questo pomeriggio un incontro abbastanza costruttivo. E' stata una buona partenza. La maggior parte delle questioni tecniche sono state affrontate. La riunione riprenderà domani mattina alle 10''. Mohammed El Baradei, segretario generale dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (Aiea), commenta così l'incontro tecnico avvenuto ieri tra la delegazione iraniana e gli emissari del gruppo di contatto chiamato 5+1 (Usa, Cina, Gran Bretagna, Russia, Francia e Germania) a Vienna, presso la sede dell'Aiea.

El Baradei è parso molto rilassato, ma la tensione è palpabile. L'attentato suicida che domenica scorsa è avvenuto nella provincia del Sistan-Balucistan, in Iran, nel quale hanno perso la vita 31 persone tra cui sei alti ufficiali dei Pasdaran, ha avvelenato il clima dei colloqui sul programma nucleare iraniano. L'aggiornamento dei lavori, presentato da El Baradei come una pausa tecnica, potrebbe invece nascondere una trattativa diplomatica più complessa per non far fallire il vertice.
L'argomento tecnico sul tavolo, come da accordi presi a Ginevra il 1 ottobre scorso, è l'arricchimento dell'uranio dell'Iran. La delegazione di Teheran, a Ginevra, aveva lasciato intendere di non aver nulla da eccepire alla visita degli ispettori dell'Aiea al sito nucleare di Qom, in cambio della possibilità di coinvolgere la Russia nel processo di arricchimento dell'uranio. Tutto sembrava ormai assodato, ma l'attentato di domenica e una serie di altri elementi hanno reso incandescente il clima che si era disteso a Ginevra.

''A noi servono tra i 150 e i 300 chili di uranio arricchito al 19,7 percento per il reattore di Teheran, che viene utilizzato per la cura del cancro con gli isotopi'', ha dichiarato all'agenzia Reuters alla vigilia del vertice di ieri a Vienna Alì Shirzadian, portavoce dell'Organizzazione per l'Energia Atomica iraniana. ''L'accordo prevede che noi possiamo inviare in Russia uranio al 3,5 percento che ci tornerebbe arricchito fino al punto che ci serve. Se funzionasse, sarebbe davvero un gesto distensivo nei nostri confronti da parte della comunità internazionale, ma se non si trovasse un accordo noi andremmo avanti da soli ad arricchire l'uranio. Il processo, per ora, è un po' al di là della nostra capacità economica, ma non ci fermeremmo certo per questo''. Una posizione che non vuole rappresentare una chiusura ai colloqui, ma che rende l'idea di un clima reso difficile dagli ultimi eventi in Iran.

I Pasdaran o Guardiani della Rivoluzione, sono furiosi. Il loro comandante in capo, il generale Mohammed Ali Jafari, ha tuonato oggi in un'intervista all'agenzia filo governativa Isna: ''Dietro questo attentato ci sono gli apparati di intelligence di Stati Uniti e Gran Bretagna. Verranno prese misure di rappresaglia contro questi paesi e contro Israele che hanno armato il braccio di Jundallah''.
Parole dure, non nuove nel lessico aggressivo di Jafari. Il gruppo sunnita Jundallah, nato nel 2002, rappresenta in armi le istanze dei Baluci, minoranza della provincia del Sistan - Balucistan, con forti legami oltre frontiera in Pakistan. Il gruppo ha rivendicato l'attacco, ma a Teheran sono convinti da anni che gli Usa sostengano tutti i gruppi armati delle minoranze in Iran che si sentono vessate dal potere centralista persiano e sciita. Il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad ha telefonato ieri ad Alì Zardari, il suo omologo pakistano, chiedendo un intervento del governo in Balucistan, minacciando in caso contrario di scatenare i Pasdaran oltre confine a caccia dei santuari dei miliziani di Jundallah.

I Pasdaran, in realtà, sono in fermento per tanti motivi e non solo per l'attentato. La milizia, nata nel 1979, risponde direttamente alla Guida Suprema Ali Khamenei. Il Grande ayatollah, da giorni, è al centro di voci e sospetti circa le sue condizioni di salute. I vertici dei Pasdaran sono in subbuglio, in quanto alla morte della Guida Suprema sono gli anziani del Consiglio degli Esperti, in questo momento guidato da Rafsanjani, ex falco che dopo le elezioni presidenziali del giugno scorso, che hanno causato una vera e propria insurrezione, è un nemico di Ahmadinejad. Lo stesso Khamenei, dopo il disastro del post elezioni, aveva rivoluzionato i vertici sostituendo l'8 ottobre scorso il comandante dei Basiji (milizia volontaria che affianca i Pasdaran) Hussein Taeb con il generale di brigata Mohammed Reza Naghdi, ritenuto ancora più duro del suo predecessore. L'idea era quella di prepararsi all'eventuale scontro istituzionale che potrebbe avvenire alla morte di Khamenei, vecchio e malato, per impedire che a nominare la nuova Guida Suprema siano gli ambienti dell'opposizione ad Ahmadinejad. All'interno stesso dei Pasdaran, sembra, siano in corso lotte intestine tra la corrente oltranzista e quella più moderata. Chi aveva interesse, dunque, a portare a segno il colpo di domenica? Sembra difficile, in questo momento, pensare davvero a Usa e Gran Bretagna. Che durante l'amministrazione Bush tutti i gruppi anti-Teheran abbiamo ricevuto fondi è un fatto, ma Obama ha rischiato la faccia sul dialogo e alla vigilia del vertice di Vienna le potenze del 5+1 non avevano interesse a far saltare tutto. Forse gli autori dell'attacco potrebbero essere cercati tra i commilitoni delle vittime, in quanto i Pasdaran controllano anche un enorme rete affaristica, legata anche al traffico internazionale di droga.

La tensione a Teheran resta alta, anche perché la partita a scacchi regionale con l'Arabia Saudita si fa sempre più dura. Riad non vuole un Iran potenza regionale e la guerra in Yemen tra i governativi e i ribelli sciiti sembra un campo di battaglia dove si contrappongono gli interessi delle due potenze regionali. Proprio in Arabia Saudita, è scomparso Shahram Amiri, un ricercatore dell'università Teheran's Malek Ashtar. Amiri, nonostante nessuna dichiarazione ufficiale del governo rispetto al suo ruolo, è stato uno dei padri del programma nucleare iraniano.
Amiri, recatosi in pellegrinaggio alla Mecca, ha contattato a giugno per l'ultima volta la sua famiglia dicendo di trovarsi a Medina dopo aver subito un duro interrogatorio della polizia saudita.
Il ministro degli Esteri iraniano Mottaki, nei giorni scorsi, ha denunciato il coinvolgimento degli Usa nel rapimento. Il Dipartimento di Stato Usa ha negato, ma in molti hanno collegato la vicenda alla scomparsa di Alì Reza Asgari, ex vice ministro della Difesa iraniano, scomparso ad Ankara nel 2007. Per entrambi un destino simile: secondo Teheran sono stati eliminati dai servizi segreti israeliani o statunitensi, per rallentare il programma nucleare iraniano. Per molti osservatori, però, i due cittadini iraniani si sono consegnati di persona, in cambio dell'asilo politico, rivelando i piani iraniani in materia nucleare. Leon Panetta, direttore della Cia, nonostante lo show di Obama e soci nel denunciare il sito di Qom a margine dei lavori del G20, ha ammesso che l'intelligence Usa era a conoscenza del sito dal 2006 in un'intervista concessa al Time Magazine.
El Baradei è apparso calmo, ma attorno a Vienna le acque sono molto agitate.

Tratto da:
Peace reporter

martedì 20 ottobre 2009

Svolta storica per la pace nella Questione Kurda

Sono arrivati i primi gruppi di pace proposti da Ocalan
per risolvere la questione Kurda


Il resoconto di Aldo Canestrari su quanto succede in queste ore

Kiziltepe (Kurdistan), 19 ottobre ore 23, difficile in questo momento fornire un resoconto dei fatti (e ancor di piu’ una loro valutazione) che vada oltre il frammentario, l’incompleto, e, soprattutto, il provvisorio: tutto deve ancora essere verificato, e sono ancora possibili svolte controcorrente. Ma per ora tutto pare confermare una valutazione di fondo: la recentissima iniziativa kurda dei Gruppi di Pace sta avendo pieno successo, sia in seno al popolo kurdo (tanto la popolazione che la sfera politica) che di fronte alla controparte: Stato, governo, esercito.

E l’eco nell’opinione pubblica turca appare grandioso: come risulta dalla attenzione che viene dedicata all’avvenimento da parte delle Home Page dei principali quotidiani turchi on-line di stanotte (tra il 19 ed il 20 ottobre), per cui tutto lascia pensare che la stessa cosa avverra’ sui giornali cartacei di domattina 20 ottobre.

Ma sono soprattutto il popolo kurdo e le sue organizzazioni, prima fra tutte il partito, il DTP, a conferire all’avvenimento la caratterizzazione di una partecipazione corale e di massa: a Silopi, dove oggi sono arrivati i due Gruppi di Pace, pare che ci fossero ad attenderli tra 50.000 e 200.000 kurdi, e qui a Kiziltepe almeno un migliaio; manifestazioni sono in corso in tutta la Turchia (in particolare a Istanbul).

Dei tre Gruppi di Pace voluti da Ocalan e annunciati pubblicamente il 17 ottobre, ne sono arrivati a Silopi due: quello proveniente dal Campo Profughi iracheno di Maxmur (16 componenti) e quello provenienti dal monte Kandil, roccaforte dei guerriglieri del PKK in territorio iracheno (8 componenti), per un totale di 34 componenti. Il terzo gruppo, proveniente dall’Europa, arrivera’ in aereo a Istanbul nei prossimi giorni (il 21 ottobre?). Come ha efficacemente messo in rilievo oggi la giornalista e scrittrice Yüksel Genç, che era stata una protagonista del primo Gruppo di Pace, consegnatosi allo Stato turco nel settembre 1999 (e che sull’argomento ha scritto un libro che sara’ presto tradotto in italiano), i Gruppi di Pace di oggi, pur se operano in condizioni difficili, agiscono in un contesto enormemente piu’ favorevole di quello dei due Gruppi del 1999, che infatti ebbero sorte travagliata (arresti, processi, detenzione): l’intensissimo dibattito sulla pace dell’estate, alimentato sia dall’annuncio della Road Map tracciata da Ocalan (e tuttora trattenuta dallo Stato turco, che ne ritarda la pubblicizzazione), sia dalle aperture governative sulla Questione Kurda, hanno creato un ambiente favorevole.

Ma l’iniziativa di Ocalan di promuovere i tre attuali Gruppi di Pace ha preso le mosse proprio dalla constatazione che il processo di pace che sembrava avviato stava incagliandosi e bloccandosi, ed era necessaria una iniziativa coraggiosa per sbloccarlo: l’esito odierno dell’arrivo dei tre gruppi pare indicare che tale scopo sia stato raggiunto in modo pieno. Innanzitutto va osservato che non si e’ trattato, questa volta, di una auto-consegna all’esercito ed allo Stato: l’arrivo e’ stato sostenuto dall’interno del Paese da una gigantesca mobilitazione di massa e da prese di posizione ufficiali del partito kurdo DTP, ed e’ stato sottolineato il carattere di prova decisiva che tale evento avrebbe rivestito per le dichiarate intenzioni di pace del governo: la parola d’ordine e’ stata: non deve avvenire come nel 1999, i Gruppi di Pace NON devono essere incarcerati. E gia’ ieri c’erano state dichiarazioni positive del Presidente della Repubblica Abdullah Gül e degli stessi vertici militari (anche se accompagnate da attacchi dei partiti di opposizione).

I due Gruppi di Pace (provenienti da Maxmur e dal monte Kandil) sono arrivati verso meta’ pomeriggio a Habur (alle 17,45), il posto di frontiera con l’Irak a pochi chilometri da Silopi, nel sud della Turchia, a est di Diyarbakir, Kiziltepe, Mardin... ed hanno subito consegnato una lettera indirizzata allo Stato ed al popolo della Turchia, che e’ stata gia’ resa pubblica dalla stampa. E’ iniziata subito la lunga e meticolosa pratica dell’identificazione burocratica dei componenti dei gruppi, svolta da Procuratori della Repubblica alla presenza di avvocati di parte kurda: fino verso le 20,30 di sera. Il Ministero degli Interni aveva dato disposizione affinche’ si procedesse solo al controllo dell’identita’, senza nessun provvedimento di arresto e detenzione. L’identita’ (cioe’ i nominativi etc.) dei componenti dei due gruppi e’ stata gia’ pubblicata dai giornali. Nel frattempo il Presidente della Repubblica Gül ha espresso valutazioni positive dell’iniziativa dei Gruppi di Pace, ed ha auspicato che coloro che erano scesi dalle montagne potessero ricongiungersi alle loro famiglie, e che tale evento possa essere l’inizio di un processo di pace (anche se ne’ nelle parole di Gül ne’ in parte dei commenti della stampa non c’e’ chiarezza sul fatto che ci si trova di fronte non ad una resa ma ad una proposta di pace).

I Gruppi di Pace hanno in programma, domattina 20 ottobre, di partire da Silopi (tuttora presidiata da decine di migliaia di kurdi che festeggiano l’evento come se fosse il Newroz) per raggiungere prima Kiziltepe (dove sono attesi da almeno un migliaio di kurdi) e poi Diyarbakir, ove domattina ci sara’ un incontro pubblico; quindi dovrebbero avviarsi verso Ankara, probabilmente per incoraggiare ulteriormente un dialogo diretto con lo Stato.

Kiziltepe, 19 ottobre 2009
Aldo Canestrari

Il messaggio di pace dei kurdi

La dichiarazione del gruppo di pace che si è presentato alla frontiera turca

Nelle prossime ore un altro gruppo di kurdi rientrerà in Turchia


Agli onorevoli rappresentanti del Governo della Repubblica turca, alla sua cittadinanza ed alla comunità democratica

Al fine di sbloccare l’attuale momento di impasse della iniziativa di pace relativa alla questione kurda in Turchia ed al processo di democratizzazione della Turchia, noi, il gruppo di pace che agisce in base alla storica iniziativa di Abdullah Ocalan, è venuto in Turchia per contribuire a creare delle solide basi per la pace.

La nostra decisione di venire in Turchia non è in alcun modo collegata alla possibilità di godere della immunità come previsto alla sezione 221 del Codice penale turco. Abbiamo espresso volontariamente la volontà di far parte di questo gruppo di pace. Facciamo questo, in primo luogo, per fermare il bagno di sangue tra le parti, per porre fine al pianto delle madri e per rafforzare le fondamenta per costruire una soluzione pacifica. Come è evidente dalla iniziativa di pace cha abbiamo intrapreso, noi non siamo la radice del problema ma piuttosto la parte che vuole una soluzione pacifica. La Turchia si sta avviando verso un processo molto importante e molto critico. Dopo le elezioni locali dello scorso 29 Marzo, il dibattito sulla democratizzazione della Turchia ha raggiunto un livello molto importante. Alla road map per una soluzione pacifica, disegnata dal nostro leader Abdullah Ocalan, è stata impedita la diffusione pubblica. Nonostante questo, la road map ha ottenuto un effetto positivo nel dibattito in corso per una soluzione pacifica e, assieme ai costruttivi annunci della autorità di governo, ha rafforzato la possibilità di una soluzione democratica e pacifica.

Il fatto che una comunità ampia e diversificata stia tentando di contribuire al dibattito (sebbene su basi limitate) ha, in quanto tale, aperto la possibilità per una reale democratizzazione della Turchia. I contributi della comunità al dibattito miglioreranno la comprensione reciproca tra i suoi popoli e il rispetto per i diritti dei suoi vari popoli. Il Movimento Kurdo di Liberazione sta continuando il suo cessate il fuoco unilaterale e i suoi durevoli sacrifici. Attraverso questi sviluppi ed il dibattito che ne è risultato, il pubblico turco ha potuto verificare la situazione critica vissuta dal popolo kurdo. Questi sviluppi hanno portato al centro del dibattito le questioni della democratizzazione della Turchia e gli sforzi per trovare una soluzione democratica e pacifica alla questione kurda come istanze reali esistenti. Il fatto che i problemi del popolo kurdo e di quello turco non possano essere risolti attraverso la violenza ma piuttosto attraverso l’utilizzo di politiche democratiche ha, adesso, ottenuto un fermo riconoscimento.

Come gruppo di pace crediamo che la nostra iniziativa possa contribuire al processo democratico fornendo le basi per una maggiore comprensione reciproca e creativa. Oggi, più che mai in passato, gli sviluppi in Turchia forniscono la possibilità per una vera soluzione. Una soluzione democratica della questione kurda offrirà le fondamenta per la democratizzazione e la stabilizzazione di tutta la regione. Per dare vita a questa possibilità noi siamo fiduciosi che, in primo luogo, le forze e le comunità che ne hanno la responsabilità approccino questo processo in una maniera delicata e piena di sensibilità.

Quali siano le condizioni per una soluzione, la democrazia comunque non prevarrà senza una volontà comune. Gli ostacoli posti dai gruppi sciovinisti e nazionalisti contro la democratizzazione della Turchia e la soluzione pacifica e democratica, rendono questo punto estremamente chiaro. Gli attacchi ad ampio raggio lanciati da questi gruppi contro la democratizzazione della Turchia sono ideati al fine di impedire una soluzione democratica alla questione kurda. Ciò costituisce una minaccia reale alla iniziativa democratica che si è sviluppata ed al dibattito prodotto sino ad oggi.

Al fine di prevenire le minacce al processo democratico, Abdullah Ocalan ha fatto appello ai gruppi per una soluzione democratica e pacifica di recarsi in Turchia. Noi stiamo quindi esercitando la nostra libera volontà di andare in Turchia come ambasciatori di pace per sostenere il processo in corso. Un’altra ragione è di svelare il piano sovversivo al fine di rafforzare la possibilità che i nostri popoli possano vivere assieme in armonia.

Alcuni di noi sono rappresentanti del popolo di Mahmura che vive nel campo come conseguenza delle dannose politiche che hanno portato alla impossibilità di trattare la questione kurda. Negli anni ’90 il governo turco bruciò e distrusse molti nostri villaggi. Questi attacchi ci obbligarono a migrare dalle terre nelle quali eravamo nati e cresciuti e ci obbligarono a lottare per sopravvivere a condizioni insopportabili ed ai continui bombardamenti. Famiglie e persone care persero la vita a causa di queste politiche ingiuste. Ugualmente molti membri delle nostre famiglie e dei nostri affetti divennero le vittime di esecuzioni extragiudiziali eseguite dalle forze governative dell’epoca.

Ad oggi non sappiamo come queste persone furono uccise e dove si trovano i loro corpi. Migliaia di persone furono rese disabili e centinaia furono imprigionate e sono ancora in prigione fino ad oggi. Come il popolo di Mahmura, abbiamo vissuto tutte queste sofferenze, non c’è nessuno che voglia vivere in pace con la libertà delle nostre identità più di quanto non vogliamo noi.

Altri di noi hanno deciso di assumere un ruolo attivo all’interno della Lotta Kurda di Liberazione, rimanendo sulle montagne per anni attraverso condizioni immensamente complicate al fine di proteggere la loro degna identità. Ciò era una risposta ad un altrimenti non risolvibile questione kurda, con ineguaglianze nelle condizioni di vita dei kurdi e ingiustizie vissute dai kurdi. Questa divenne la nostra lotta per la nostra esistenza, per una soluzione basata sulla democrazia, sull’eguaglianza e sulla libertà.

Ogni conflitto deve avere il suo percorso di dialogo per una soluzione pacifica. Noi siamo fondamentalmente ed eticamente convinti che quando un problema è stato afferrato e reso aperto al confronto pubblico allora le parti in causa debbano recedere dall’uso della violenza e tentare una soluzione pacifica attraverso il dialogo. Crediamo fermamente che una soluzione possa venire soltanto da coloro che credono ed evocano la pace. Come è stato evidenziato dai conflitti presenti nel mondo, grazie alle circostanze uniche che abbiamo, possiamo raggiungere una soluzione pacifica attraverso il dialogo.

Per questa ragione riteniamo il nostro contributo di tentare di scavalcare l’attuale impasse nel processo attuale come un passo cruciale. Con la coscienza delle nostre responsabilità per il proseguimento del processo di pace abbiamo risposto all’invito del nostro leader e alle speranze del nostro popolo di creare le condizioni di vivere assieme in pace e libertà. Nonostante tali tentativi non siano stati fruttuosi in passato, noi dimostriamo, ancora una volta, il volere del popolo Kurdo e della sua guida per una soluzione pacifica. Noi crediamo che tutti coloro che sentono la responsabilità per una soluzione pacifica rispetteranno e sosterranno la nostra iniziativa di pace. Il risultato di questa nostra fede è ciò che noi stiamo attuando, questo sacrificio come pegno da pagare a dimostrazione della nostra capacità di accogliere una risoluzione democratica. Crediamo che i rappresentanti del governo turco e coloro che sono a favore della pace risponderanno a questa iniziativa con la responsabilità che essa merita.

Noi elenchiamo le nostre richieste affinché il nostro messaggio di pace possa avere vita:

1. Che la road map disegnata dal nostro leader possa essere consegnata ai legittimi destinatari affinché possa avere avvio un dibattito pubblico.

2. Che entrambi le parti in conflitto rispettino il cessate il fuoco affinché possa avere inizio un processo pacifico e democratico di risoluzione della questione kurda.

3. Sulla base del riconoscimento della nostra identità kurda, che nella Costituzione sia garantita e protetta la nostra identità ed il nostro diritto a vivere liberamente, in eguaglianza e come parte di una Turchia democratica.

4. Che sia possibile praticare liberamente la nostra lingua: parlarla, studiarla, svilupparla, che sia possibile vivere i nostri valori storici e culturali nella nostra geografia attraverso la nostra lingua madre.

5. Che sia garantito il diritto di dare nomi kurdi ai nostri figli e sia garantito di educarli in kurdo.

6. Che sia permesso di praticare la nostra storia, letteratura, cultura e musica come popolazione kurda e che sia permesso la loro preservazione ed il loro sviluppo.

7. Che ci sia possibile unirci come kurdi e così prendere parte al processo politico democratico, esprimendoci liberamente.

8. Che le città ed i villaggi del Kurdistan siano liberati dalle guardie di villaggio e dalla violenza governativa e che vi si possa vivere in sicurezza.

9. Per la democratizzazione della Turchia, per la creazione di una Costituzione civile e democratica.

Queste richieste sono la base per trovare una soluzione democratica alla questione kurda. Noi tentiamo di aprire un dibattito democratico e di produrre la pace in Turchia con tutta la comunità democratica. Facciamo questi passi al fine di portare avanti questa storica opportunità. Crediamo che la nostra iniziativa avrà successo e su queste basi salutiamo tutti coloro che sono in favore della pace.

19 ottobre 2009

Gruppo per una soluzione pacifica e democratica

Londra - I postini recapitano la protesta



di Nicola Montagna*


Saranno due giorni “caldi” giovedì e venerdì se i colloqui tra sindacato e Royal Mail non riusciranno ad impedire lo sciopero nazionale, proclamato la settimana scorsa dal Communication Workers Union, che bloccherà gran parte della distribuzione postale sul territorio nazionale.

Il motivo dello sciopero sono i piani di modernizzazione della Royal Mail che, secondo il CWU, stanno procedendo troppo rapidamente e senza il dovuto coinvolgimento del sindacato.

Tra le altre cose, essi prevedono la riduzione del “legal minimum”, i contributi in strutture e salari per i rappresentanti sindacali, l’utilizzo di forme di contrasto degli scioperi anche attraverso nuove pratiche di lavoro, e soprattutto il taglio di alcune migliaia di posti di lavoro che secondo le stime sindacali saranno 60,000.

La risposta della Royal Mail è stata rapida ed ha annunciato un piano d’assunzione di 30,000 lavoratori interinali per schiacciare lo sciopero di questa settimana.

Di traverso, nel tentativo di sconfiggere la protesta, si è messo anche il ministro dell’industria, il Laburista Lord Mandelson la modernizzazione delle poste, vale a dire la riduzione del potere contrattuale del sindacato, “è questione di vita o di morte”.

È di ieri la notizia che TNT, la più grande compagnia postale privata, stafacendo pressioni sul governo per fornire il servizio necessario e garantire la regolare distribuzione della posta. Un ulteriore minaccia al diritto di sciopero ed un passo ulteriore verso la privatizzazione di un settore in gran parte già privatizzato.

Secondo diversi pareri lo sciopero nazionale di questa settimana e la minaccia di ricorrere al “crumiraggio interinale” potrebbero dare vita ad un conflitto industriale di dimensioni eccezionali e tali che non si vedevano dai tempi dello sciopero dei minatori del 1984-85. Sono previsti picchetti dei lavoratori in lotta davanti agli uffici postali per impedire che i lavoratori in affitto possano distribuire la posta. Anche la polizia si è già messa all’opera ed ha cominciato ha monitorare la situazione davicino per vedere quali possono essere i principali luoghi di tensione.

* docente di sociologia alla Middlesex University di Londra

Inghilterra - Azioni contro la centrale a carbone di Ratcliffe



di Nicola Montagna*

Sono stati impiegati addirittura i cani per sconfiggere la determinazione dei mille dimostranti che tra sabato e domenica si erano dati appuntamento fuori dalla centrale a carbone di Ratcliffe-on-Soar nel Nottinghamshire nel tentativo di impedirne l'avvio.

Almeno tre attivisti sono riusciti ad evitare i controlli di alcune centinaia di poliziotti, ad abbattere le reti metalliche e ad irrompere nel sito che ospita la centrale. Scontri e tafferugli sono continuati anche ieri con la polizia che ha arrestato quattro persone in aggiunta alle 52 arrestate sabato.

Alcuni rapporti parlano di 80 persone in stato di detenzione. Alcuni attivisti hanno denunciato di essere stati morsi dai canidella polizia, che nei mesi scorso è stata messa duramente sotto accusa per i metodi violenti usati contro le manifestazioni anti-G20 nell’aprile scorso e per vari maldestri tentativi di infiltrazione dei gruppi ambientalisti, smascherati dagli stessi attivisti.

La violenza della polizia di questi giorni sembra inoltre essere stata una conseguenza diretta della causa che dà alla E.ON, la compagnia che detiene la centrale a carbone e che nei mesi scorsi è stata bersaglio di diverse iniziative di lotta per avere dismesso i piani di sviluppo nell’utilizzo di energie alternative ed avere licenziato diverse decine di lavoratori, la possibilità di chiedere alla polizia di arrestare chiunque irrompa in uno dei suoi siti.

Il "Great Climate Swoop" era stato organizzato da attivisti di gruppi come il “Camp for Climate Action”, “Plane Stupid” e “Climate Rush” che hanno scelto l’obiettivo della protesta attraverso un voto online.

Nonostante gli arresti c’è grande e motivata soddisfazione, per aver mostrato che il carbone non ha futuro, e che c’è un movimento crescente che è pronto ad agire sui temi del riscaldamento globale. In effetti, la protesta di questi giorni arriva dopo il successo del Climate Camp che si era tenuto a Londra lo scorso agosto e la notevole partecipazione al “Climate camp” durante le proteste contro il G20 lo scorso aprile.

Il Regno Unito ha una lunga tradizione di proteste basate sull’azione diretta in difesa dell’ambiente. Ma solo ora la crisi ecologica globale sta diventando uno dei temi di dibattito politico generale, non solo tra piccoli gruppi di attivisti, ma anche nella politica istituzionale e nella sfera pubblica più complessiva.

* docente di sociologia alla Middlesex University di Londra

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!