martedì 3 novembre 2009

Mustafa Karasu:l'arrivo dei gruppi di pace e' un test per lo stato

L’arrivo e la trionfale accoglienza dei gruppi di pace ha
portato ad uno stravolgimento dell’agenda politica turca.


Mustafa Karasu, Membro del Consiglio Esecutivo del KCK, ha criticato la mancanza di comprensione mostrata dal governo alla straordinaria richiesta di pace del popolo kurdo e ha richiamato l’attenzione generale sulle dichiarazioni provocatorie lanciate da alcuni ambienti politici: “Il popolo kurdo avvicinando gli emissari di pace ai loro cuori hanno fatto fallire il tentativo di risolvere la questione kurda senza interlocutori. Hanno fatto fallire anche il tentativo dell’AKP di sfruttare il piano di espansione democratica a fini elettorali. Gli attacchi al DTP sono tesi a creare pressione psicologica.”

Karasu ha aggiunto che se le forze democratiche si uniscono e si organizzano saranno capaci di sovvertire la vecchia mentalità dello Stato e aprire un percorso per una soluzione democratica: “Nel momento in cui lo Stato stava tentando di porre la situazione in stallo e creare dei protesti per bloccare il processo di pace, il nostro leader Ocalan ha deciso di chiedere l’invio di gruppi di pace. Il loro invio è un test per lo Stato”.

Karasu ha aggiunto che il Movimento kurdo di liberazione ha mostrato rispetto per la sensibilità turca e per i suoi valori sociali e nazionali. Commentando le parole di Erdogan “Distruggeremo tutto dal principio alla fine”, Karasu ha detto che queste parole non hanno nulla a che fare col processo democratico, che nessuno può fare ciò che ha detto Erdogan e che la soluzione democratica è una necessità sia per i turchi che per i kurdi:

“Questi politici provinciali dell’AKP non sanno ciò che dicono. Può risolvere il problema un primo ministro che minaccia i kurdi ed il loro movimento di liberazione? La dichiarazione di Erdogan che questa sarebbe per noi ‘L’ultima possibilità’ è una minaccia oscena. L’AKP non ha intrapreso alcun passo serio per risolvere il problema. Dire che questa sarebbe ‘L’ultima possibilità’ non significa nulla”.

Afghanistan - La Commissione elettorale conferma Karzai presidente

Pakistan colpito da un nuovo attentato

A Kabul arriva il Segretario dell'Onu

Hamid Karzai è stato proclamato vincitore delle elezioni presidenziali.

Alla luce dell'annullamento del ballottaggio che avrebbe dovuto tenersi sabato prossimo, dopo la decisione dell'unico sfidante Abdullah Abdullah di ritirasi, la commissione elettorale indipendente afgana ha formalmente annullato il secondo turno delle elezioni.

Il presidente della Commissione elettorale ha reso noto la decisione e ha poi proclamato Karzai nuovo presidente dell'Afghanistan.

Ricordiamo che uno dei motivi dell'abbandono dello sfidante era stata proprio la composizione della Commissione elettorale: Abdullah aveva sostenuto che la stessa Commissione era controllata dagli uomini di Karzai e aveva contribuito ai brogli accertati anche dagli osservatori internazionali durante il primo turno dell'agosto scorso.

A Kabul oggi è arrivato anche Ban Ki-moon, Segretario Generale dell'Onu che ha dichiarato il sostegno delle Nazioni Unite alle decisioni prese dalle autorità afghane.

Intanto in Pakistan un nuovo attentato suicida ha fatto oggi oltre trenta morti all'interno della cinta di un albergo nel centro di Rawalpindi, in Pakistan.

Il tutto mentre l'Onu ha deciso il ritiro del suo personale nelle cosidette zone tribali del Pakistan in cui è in corso l'operazione dell'Esercvito Pakistano contro i Talebani.

Peace reporter a proposito del Pakistan

lunedì 2 novembre 2009

L’immagine lavata di Huelva

Membri del PETI faranno visita alle balse a fine anno invitati
dalla “Plataforma Mesa de la Ria”


Una delle imprese più inquinanti del polo chimico, Fertiberia, chiude per crisi e la città sul bordo di un collasso ecologico. Intanto scarsi i segnali tanto dagli ambienti politici che imprenditoriali

Milleduecento ettari che accolgono più di cento milioni di tonnellate di fosfogesso più altre centotrenta di ceneri radioattive, queste ultime versate “accidentalmente” nel maggio 1998 dall’azienda Acerimox. Una delle discariche di rifiuti urbani industriali forse più grandi al mondo dislocati ad 1km dal centro cittadino e a meno di 500 mt dal quartiere più periferico della città. Una preziosissima biosfera marino-terrestre, la marisma del Rio Tinto, spazzata via dalla speculazione manageriale e una popolazione costretta a convivere giorno e notte con uno dei tassi di mortalità per cancro polmonare più alti di Europa, a cui s’aggiungono patologie in numero crescente di tiroide atipica, disturbi delle vie respiratorie, malformazioni e alterazioni del sistema riprodutttivo umano. Questa è Huelva, saltata ormai alle cronache mondiali non solo per i numerosi dossier d’inchiesta aperti sul suo polo chimico dalla Commissione Europea e da schiere di organizzazioni ecologiste, ma anche per i casi altrettanto clamorosi di morte da sostanze tossiche presenti nei campi, nell’aria e nell’acqua e a cui gli studiosi si riferiscono col termine inequivoco di “sindrome di Huelva” .

Da oggi parla Pedro Jimenez, portavoce della “Plataforma Mesa de la Ria”, da anni in prima linea contro le attività contaminanti di varie aziende spagnole e internazionali (Fertiberia, CEPSA e altre). La settimana scorsa la sua ong ha strappato un “sì” al PETI (Committee on Petitions of European Parliament) all’invito di fine anno sulla verifica della nuova situazione medioambientale della città andalusa, in particolar modo il reparto n.9 in cui sono stipate le ceneri radioattive. Attraverso una petizione firmata dalla propria “Mesa de la Ria”, Izquierda Unida e 25mila cittadini – un sesto della popolazione locale - si esige infatti, in linea con la normativa comunitaria vigente, uno stop immediato alla produzione da parte delle imprese contaminanti come Fertiberia, il trasporto fuori sede delle 7000 tonnellate di ceneri contenenti il tossico cesio 137 e l’apertura di una nuova e veritiera indagine sul livello di mortalità per tumore dopo le non recenti ma sconvolgenti rivelazioni dello studio dell’Università Carlo III di Madrid, o quello del 2007 realizzato dal laboratorio del CRIIRAD per conto di Greenpeace Spagna.

Nella sua intervista-denuncia Jimenez punta il dito su tutti gli attori politici in scena a Huelva, primo tra tutti Javier Barrero, diputato socialista che scalpitò non poco quando informato dell’incontro tra gli alti organi istituzionali europei e i rappresentanti delle varie ong e associazioni ambientaliste. “Hanno preso posizioni di parte” conferendo “una cattiva immagine della provincia di Huelva in termini di contaminazione” le ragioni del deputato, mentre Jimenez parla di “campagna di lavaggio d’immagine” e accusa dirigenti politici e aziendali di essere stati bravi a scendere in piazza nel 2004 con slogan e voci grosse contro la chiusura delle fabbriche e la perdita di posti di lavoro, mentre sembrano non conoscersi affatto, oggi, ma preoccuparsi solo “dell’Europa che gli sta scappando dalle mani”. Jimenez si associa inoltre alle ultime dichiarazioni di WWF e Greenpeace durante la presentazione dell’appello d’immediata esecuzione della sentenza della Audiencia Nacional con cui si dichiara estinto il diritto di Fertiberia e si pretende la decontaminazione dei terreni industriali e la restituzione di quelli dati in gestione. E quando a Jimenez viene puntualizzato che Fertiberia ha già annunciato la diminuzione della produzione di 6 mesi, il portavoce chiarisce che ciò non risponde a esigenze di contaminazione ma di marketing, poichè Fertiberia “non riesce a collocare sul mercato le scorte di produzione non vendute”.

Da una parte, dunque, le associazioni ecologiste che si lamentano di una chiusura di cancelli o macchinari che tarda a venire nonostante la sentenza sia stata pronunciata nel 2003 e il Consejo de Seguridad Nuclear stimi in circa 3 milioni annui i residui di fosfogesso sfornati ancora da Fertiberia; dall’altra le mezze affermazioni e le piene titubanze dell’impresa di fertilizzanti agricoli. L’azienda ispano-algerina dovrà difatti sborsare qualcosa come 14 milioni di euro per un piano di uscita economica dai costi sociali elevati. In attesa del dicembre 2012 – data ancora da confermare ma che siglerebbe la chiusura definitiva dei depositi di fosfogesso – la stessa Fertiberia dalle pagine del suo sito avverte degli effetti collaterali sulla crescita agricola e il raccolto con cui faranno i conti i rivenditori ma soprattutto gli agricoltori a causa di questa diminuzione dei fertilizzanti imposta dall’alto. L’azienda, chiusa per crisi, è attesa a implementare un progetto di riconversione ambientale delle aree esposte alle balse di fosfogesso dal costo di 3,2 milioni di euro, mentre un nuovo assetto interno alla fabbrica, con conseguente ridimensionamento dei lavoratori, inaugurerà un’altra stagione di licenziamenti forzosi all’ombra di una crisi tutt’altro che dissipata.

Malalai Joya - Una donna tra i Signori della guerra

Interviste e notizie sull'attivista afghana

Malalai Joya, una delle esponenti democratiche dell'Afghanistan. Nel 2005 è stata eletta come la più giovane del Parlamento afghano.

E' stata sospesa nel 2007 per aver denunciato i signori della guerra dentro il governo.

Ha da poco pubblicato le sue memorie: A Woman Among Warlords: The Extraordinary Story of an Afghan Woman Who Dared to Speak Out, co-written by Derrick O’Keefe.

L'attivista è stata anche in Italia nel mese di settembre.

Corriere Fiorentino

Web di Malalai Joya

Amy Goodman per Democracy Now l'ha intervistata nel suo viaggio in America.

Honduras: una vittoria del popolo; la lotta dovrà essere più intensa che mai

Sull'accordo siglato

Adesso la nostra visione deve essere di più a lungo termine; dobbiamo scegliere molto bene le azioni da intraprendere, senza rinunciare ai nostri principi né le nostre rivendicazioni.

di Ricardo Salgado

Quelli che hanno affermato che il presidente sarebbe stato restituito agli inizi di novembre per legittimare le elezioni, con piedi e mani legate, sono riusciti a descrivere molte settimane fa il finale a cui stiamo assistendo. Ma che sia chiaro che non è il fine del golpe; questo continua vigente, i suoi propositi prevalgono; le condizioni che lo hanno causato continuano tanto efficaci come il 28 di giugno.

L'accordo politico sospinto dalla diplomazia straniera non contempla i temi critici, bensì tenta di ignorare argomenti fondamentali e mette in primo piano la preminenza degli interessi oligarchici. Il presidente Zelaya ha firmato con la sua restituzione quello che può interpretarsi come la vittoria del golpe e dei golpisti.

I particolari continuano ad essere ingannevoli: ancora non esiste un programma dei passi che porteranno Zelaya di rutorno alla casa presidenziale. Tecnicamente l'accordo può mantenere il presidente costituzionale ancora vari giorni imprigionato nell'ambasciata del Brasile, perché è il Congresso Nazionale quello che dovrà decidere le sorti del paese.
Lo stesso congresso che ha commesso il misfatto di falsificare la firma del presidente, e che ha decretato la sua destituzione. Fine accordo dove il ladro decide che tipo di giustizia riceverà la sua vittima. La Corte Suprema di Giustizia che ha ordinato l'arresto e la deportazione di Manuel Zelaya Rosales, dovrà dare un'opinione giuridica per orientare il congresso. Da qui soluzione.

Ci sono varie commissioni da formare: della continuità, della giustizia, e chissà che altro. Nella cornice di questo intreccio l'oligarchia guadagna il riconoscimento delle elezioni truffa; ora Zelaya presterà i suoi sforzi per riuscire che si riaprano le porte dell'aiuto internazionale alla già malconcia economia honduregna.

Alla fine non ci sono garanzie su cosa succederà, né come né quando. Come è successo durante tutti questi mesi tragici, l'incertezza domina lo scenario. Continuiamo a dipendere dalle bugie degli assassini che inventano decreti che loro stessi non rispettano.

Ieri, in contrasto con il tavolo di negoziato, la resistenza è stata brutalmente repressa. Nonostante in possesso di tutti i permessi necessari, la polizia ed i militari hanno decisero di dare una nuova dose di gas, colpi e pallottole al movimento popolare, come un promemoria che gli accordi non eliminano la repressione; non eliminano i gruppi paramilitari; non eliminano gli assassini selettivi; non eliminano le violazioni ai diritti umani.

Sarebbe ingenuo pensare che siamo arrivati a risolvere qualcosa. I militari mantengono una posizione molto autonoma di fronte ai politici ed obbediscono ai loro padroni impresari che continuano con l'idea che bastonando il popolo preservano i loro interessi. Continuano ad essere vigenti anche i decreti repressivi che ha firmato Micheletti. La struttura di violazione dei diritti umani continua vivo, ben oliata e soprattutto, attiva contro il popolo honduregno.

Sembra che la negoziazione, almeno fino al momento che scrivo queste righe, abbia dimenticato l'enorme prigione che ha creato il regime di fatto. Vale la pena domandarsi che succederà adesso con il presidente Zelaya; avrà la stessa Guardia Presidenziale?; quale sarà la sua relazione con le Forze armate?; e la sua relazione col Congresso di Micheletti?

D'altra parte continua in attesa l'argomento dei crimini di lesa umanità commessi dai militari con la complicità del regime di fatto e l'oligarchia criminale. Fortunatamente per il popolo honduregno, per superbia o goffaggine, i golpisti sorvolato sul tema dell'amnistia che Oscar Arias aveva regalato loro nel suo piano originale.

Ci saranno questioni molto importanti per il movimento popolare honduregno. Il golpe è precipitato per le giuste rivendicazioni del popolo honduregno, che rimangono senza risposta da parte delle classi dominanti. Casomai stanno guadagnarono tempo per ritardare il processo di cambiamento in Honduras.

Che succederà con il processo elettorale? C'è una frode che non è compresa nella negoziazione. Di sicuro ci saranno molte pressioni affinché le candidature progressiste partecipino a questo processo. Questo delicato argomento richiede un'analisi molto approfondita. Tuttavia, la partecipazione a questo processo elettorale, indipendentemente dai risultati, può permettere che si mantenga la mobilitazione popolare.

Adesso la nostra visione deve essere di più a lungo termine; dobbiamo scegliere molto bene le azioni da intraprendere, senza rinunciare ai nostri principi né le nostre rivendicazioni. La situazione politica fa emergere nuove sfide, e adesso l'unità è un tema critico; non ai fini elettorali; la congiuntura obbliga a dare risposte al popolo; risposte che includono dare alla nostra gente il proprio spazio politico.

Vale la pena ricordare molti argomenti che si sono trattati con l'apporto dei compagni che hanno fatto opinione. Vale la pena ricordare che l'azione della resistenza è stata la chiave per forzare le forze oscure della destra a negoziare posizioni. Senza il movimento popolare questa conclusione non sarebbe stata necessaria.

Il protagonismo che ha guadagnato il popolo di questo paese è stato l'elemento centrale affinché si produca un fenomeno poco comune nella storia dell'America Latina: un presidente abbattuto è restituito alla sua posizione. Speriamo che il presidente Zelaya non dimentichi mai che è stata la resistenza del popolo quella che ha conquistato la sua restituzione; che non dimentichi il suo debito morale con la rifondazione dell'Honduras.

Questa è una vittoria popolare, ma è un primo trionfo nel tragitto di molta sofferenza e disperazione che verrà nella ricerca da un nuovo paese, dove tutti possiamo vivere in pace. L'oligarchia e l'impero hanno dimostrato che non ci daranno niente. Se vogliamo conquistare la nostra libertà dobbiamo farlo con la lotta.

In questo modo, le consegne rimangono. Oggi festeggiamo, ma resteremo allerta. La lotta, semmai, oggi è più intensa che mai. Oggi che dall'ombra emergeranno ancora molti traditori; oggi dobbiamo ricordare con più intensità che mai i nostri martiri a cui dobbiamo loro la conquista di un sogno: l'indipendenza dell'Honduras.

Ricordiamo: la lotta comincia qui. Non commettiamo l'errore di confondere questa situazione con le nostre aspirazioni.

Per gli assassini ne oblio ne perdono.


BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!