di Nicola Montagna*
Archiviate le recenti elezioni locali inglesi, a cui ha partecipato solo il 32% degli aventi diritto di voto, si possono fare alcune considerazione sui risultati che, come è noto, hanno premiato il Labour Party e duramente penalizzato la coalizione governativa composta da Conservatori e Liberal Democratici. Tre sembrano essere gli elementi su cui riflettere brevemente a proposito del voto anglosassone.
Il primo è che in gran parte del paese, ma con la significativa esclusione di Londra e di altre roccaforti conservatrici, gli elettori hanno detto 'no' all'austerity imposta dalla coalizione governativa. Il risultato elettorale renderà la vita del governo ancora più difficile, tra contrasti interni ed una situazione economica in continuo peggioramento.
Un secondo elemento di riflessione è che, a differenza di altri paesi dove la crisi ha favorito la nascita o l'espansione di nuovi attori politici, la partita in Inghilterra si gioca ancora tra i due storici principali contendenti: Laburisti e Conservatori. Non c'è stato alcun sfondamento né a destra, dove il British National Party ha ulteriormente calato i consensi e l'antieuropeista UK Independence Party ha mantenuto quelli che aveva, né a sinistra, dove la crescita dei Greens e di Respect è stata irrilevante. In questo momento sembrerebbe che nessun soggetto politico, per quanto riguarda la sfera della rappresentanza, sia in grado di sparigliare le carte e rompere i giochi. Il 'voto di protesta' è quindi finito nel non-voto, a meno che si interpreti la vittoria del Labour come voto di protesta.