di Nicola Montagna*
Archiviate le recenti elezioni locali inglesi, a cui ha partecipato solo il 32% degli aventi diritto di voto, si possono fare alcune considerazione sui risultati che, come è noto, hanno premiato il Labour Party e duramente penalizzato la coalizione governativa composta da Conservatori e Liberal Democratici. Tre sembrano essere gli elementi su cui riflettere brevemente a proposito del voto anglosassone.
Il primo è che in gran parte del paese, ma con la significativa esclusione di Londra e di altre roccaforti conservatrici, gli elettori hanno detto 'no' all'austerity imposta dalla coalizione governativa. Il risultato elettorale renderà la vita del governo ancora più difficile, tra contrasti interni ed una situazione economica in continuo peggioramento.
Un secondo elemento di riflessione è che, a differenza di altri paesi dove la crisi ha favorito la nascita o l'espansione di nuovi attori politici, la partita in Inghilterra si gioca ancora tra i due storici principali contendenti: Laburisti e Conservatori. Non c'è stato alcun sfondamento né a destra, dove il British National Party ha ulteriormente calato i consensi e l'antieuropeista UK Independence Party ha mantenuto quelli che aveva, né a sinistra, dove la crescita dei Greens e di Respect è stata irrilevante. In questo momento sembrerebbe che nessun soggetto politico, per quanto riguarda la sfera della rappresentanza, sia in grado di sparigliare le carte e rompere i giochi. Il 'voto di protesta' è quindi finito nel non-voto, a meno che si interpreti la vittoria del Labour come voto di protesta.
Il terzo elemento è il voto di Londra, in controtendenza ma speculare a ben vedere al voto nazionale, che ha premiato il candidato Conservatore Boris Johnson a svantaggio del laburista Ken Livingstone, già sindaco di Londra dal 2000 al 2008. Come si spiega la vittoria conservatrice in una città storicamente di sinistra e difficile per i conservatori? Gran parte dei commentatori italiani l'hanno spiegata sostenendo che Livinsgstone sarebbe stato un candidato troppo radicale e quindi non in grado di raccogliere consensi tra i 'moderati'.
In realtà i piani di lettura e di analisi dovrebbero essere diversi e partire dalle caratteristiche economiche e di composizione sociale della città. Il principale settore economico è quello finanziario mentre l'occupazione nei servizi, sia ad alto capitale aggiunto sia labour-intensive, supera l'80%. Per queste sue caratteristiche, e per quanto possa sembrare paradossale, la crisi economica si è fatta sentire meno rispetto ad altre aree del paese. Il mercato immobiliare, altrove crollato, qui ha retto bene, cosa che però sta comportando l'aumento degli affitti e l'espulsione dalle zone di migliaia di famiglie dalle zone più centrali, ed anche i tassi di disoccupazione sono i più bassi del paese. Londra è anche una metropoli molto polarizzata dove sono presenti alcune aree tra le più deprivate economicamente e socialmente, teatro delle rivolte del 2011.
Diciamo allora che il voto di Londra va letto in questa chiave. Da un lato Boris Johnson ha interpretato la composizione sociale e la stratificazione economica della metropoli rappresentando gli interessi che ruotano intorno ai mercati finanziari ed ai servizi ad alto capitale aggiunto. Allo stesso è riuscito a smarcarsi dal partito conservatore apparendo come il 'conservatore compassionevole', come si dice da queste parti.
Dall'altro lato non c'è stato un candidato che sapesse interpretetare e mobilitare gli spossessati della crisi economica: le minoranze etniche, che a Londra contano circa il 40%, le donne, i giovani, la classe lavoratrice ed il pubblico impiego che ha visto i redditi contrarsi enormemente negli ultimi anni, gli indebitati. È in altre parole a Londra è mancato un candidato abbastanza 'radicale' che desse un segno rovesciato alla composizione sociale ed alla stratificazione della città.
Ancora una volta, quindi, la crisi, e la capacità di interpretarla e di leggere le disuguaglianze e la composizione sociale che ne stanno uscendo, è stato il vero arbitro di questa tornata elettorale.
* docente di Sociologia alla Middlesex University di Londra