venerdì 30 novembre 2012

Congo - Dramma umanitario



Goma città fantasma. I ribelli non si ritirano. L'esercito, allo sbando, è accusato di saccheggi. E gli sfollati sono 1,6 mln.

di Michele Esposito

Un esercito regolare allo sbando, accusato di saccheggi e violenze. E una resistenza finora dimostratasi credibile ma capace, da un momento all’altro, di dar vita all’ennesima mattanza.
Lontano dai difficili negoziati di Kampala, a Goma, capitale del Nord Kivu situata nell’Est della Repubblica democratica del Congo (Rdc), regnano attesa e confusione.
La città, occupata dai ribelli del Movimento 23 Marzo (M23), è in stallo. Le voci di un ritiro dei ribelli si susseguono, ma sembrano ancora false. Migliaia di sfollati faticano a tornare nelle proprie case mentre diversi testimoni denunciano che le truppe regolari si sono rese colpevoli di gravi violazioni dei diritti umani, accentuando quella che pare delinearsi come l’ennesima emergenza umanitaria per la tribolata ex colonia belga.
GOMA CITTÀ FANTASMA. La capitale del Nord Kivu appare ancora come una «città fantasma, dove la gente preferisce restare in casa, le attività sono solo in parte riprese e anche le scuole, nonostante gli inviti dei ribelli a riaprirle, restano in parte chiuse», ha raccontato a Letter43.it padre Piero Gavioli, direttore del centro giovanile don Bosco Ngangi che, da quando l’M23 ha preso Goma, ospita «7-8 mila sfollati». La situazione, ha sottolineato Gavioli, è comunque di «calma apparente» anche perché l’M23 si è «comportato correttamente» a dispetto dei soldati regolari che «prima di ritirarsi, hanno saccheggiato diverse abitazioni».
LE VIOLENZE DELL'ESERCITO REGOLARE. Alle parole di Gavioli fanno eco quelle di altri testimoni che, nelle città-satellite di Goma, hanno assistito alle violenze di un esercito dove disciplina e tutela dei diritti umani sembrano essere ormai una chimera.
«I soldati sono arrivati e hanno cominciato a sparare e a stuprare le nostre donne. Hanno rubato cibo e altri beni nei negozi e hanno detto che, se li avessimo denunciati, ci avrebbero ucciso», ha raccontato, restando nell’anonimato, un abitante di Minova, città a 50 km a sud di Goma dove l’esercito congolese si è ritirato.
Minova sembra essere la cartina di tornasole di un quadro militare quasi paradossale, che vede i circa 1.500 combattenti dell’M23 presentarsi come una formazione ben equipaggiata e disciplinata a fronte di un esercito congolese che, nonostante possa contare su decine di migliaia di unità, appare paranoico, pericoloso, affamato di ogni genere di beni, prossimo al collasso.
IL TIMORE DI NUOVE TRAGEDIE. L’inaffidabilità delle truppe regolari «per noi non è una novità», ha spiegato a Lettera43.it Stefano Merante, responsabile dei progetti del Vis (Volontariato internazionale per lo sviluppo) nell’Rdc, ricordando al tempo stesso come, nel recentissimo passato, saccheggi e violenze abbiano segnato anche la presenza dell’M23. Anche per questo, ha sottolineato Merante - in costante contatto con i tre volontari italiani operanti al don Bosco - nel centro «c’è un clima di attesa e scoramento», accentuato dal timore che la ripresa dei combattimenti si possa trasformare nell’ennesima «tragedia».

Nell'est della Repubblica del Congo oltre 1,6 milioni di sfollati

Un figlio di profughi congolesi riscalda l'acqua al campo Mugunga, fuori da Goma.(© LaPresse) Un figlio di profughi congolesi riscalda l'acqua al campo Mugunga, fuori da Goma.
Per ora, gli sfollati del don Bosco così come i profughi dei 12 campi dell’area monitorati dall’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unhcr), sono riusciti ad ottenere assistenza alimentare sufficiente per i prossimi giorni.
Ma se «i negoziati andranno per le lunghe come sembra, tornerà l’emergenza», ha avvertito Merante parlando di decine di bambini giunti al don Bosco in uno stato di «malnutrizione». E proprio donne e bambini, è l’allarme lanciato dal responsabile del Vis, sono le principali vittime della prolungata instabilità delle sponde occidentali del lago Kivu, teatro ormai da mesi di quella che «già si era profilata come una catastrofe umanitaria», con almeno «590 mila sfollati interni» registrati sin dalla recrudescenza delle ostilità, nella scorsa primavera.
CONDIZIONI SANITARIE DISPERATE. Famiglie spesso costrette in alloggi di fortuna, in condizioni igienico-sanitarie disperate, che, loro malgrado, hanno ulteriormente destabilizzato un’area che conta in totale 1,6 milioni di profughi. Ma «la causa umanitaria è da tempo passata in secondo piano» mentre le pattuglie dei migliaia di caschi blu della missione Monusco, da quando su Goma sventola il vessillo dell’M23, quasi non si vedono per le strade della città, segno della colpevole impotenza della più grande missione di pace delle Nazioni Unite.

Mercoledì, 28 Novembre 2012

Tratto da: Lettera 43

mercoledì 28 novembre 2012

Egitto - La rabbia del Cairo non si ferma


Piazza Tahrir si riempie di nuovo, questa volta in protesta contro il presidente Morsi. Decine di migliaia hanno affollato le strade della capitale
Fortissime anche ieri le proteste contro il giro di vite attuato da Morsi. Tre cortei nel centro della capitale sono confluiti in Piazza Tahir, ad Alessandria ci sono stati scontri con i sostenitori del Governo e a Mahalla, nel Delta, ci sono stati gravi incidenti.
Le opposizioni denunciano come il decreto del Presidente, non a caso emanato dopo essersi accreditato anche internazionalmente con la mediazione su Gaza, che accentra i poteri nelle sue mani, si configura come un golpe strisciante. Le piazze piene, soprattutto di giovani attestano come la transizione in Egitto sia un processo tutto da definire ed anche che il vento di libertà della primavera araba non ha ancora smesso di alimentare la protesta.
Tahrir, il «giorno dei milioni»
 La piazza fa il dissenso.Lo sanno bene gli attivisti egiziani. Sono le strade a formare le coscienze di chi si oppone a imposizioni autoritarie. Ed è tanto più vero dopo la manifestazioni di ieri, nella grande protesta contro il decreto presidenziale: la dichiarazione pigliatutto di Morsi che ha spaccato il paese. Tra i vicoli dei centri urbani, così come nelle campagne del Delta del Nilo, è montato il risentimento contro chi nulla concede alla piazza. Se le riforme costituzionali di Mubarak erano opposte da un timido dissenso, le decisioni del presidente «rivoluzionario» sono sottoposte al vaglio delle strade e non ci sono sconti.
Migliaia di manifestanti si sono raccolti ieri a Tahrir partendo da vari punti della città. Decine di partiti e movimenti della società civile hanno partecipato alle manifestazioni: Khaled Ali, l'unico candidato comunista alle passate elezioni presidenziali, è arrivato in piazza guidando un corteo che è partito nell'area industriale e operaia del nord del Cairo. «Pane, libertà, abbasso l'Assemblea costituente», urlavano questi attivisti. Altri più avanti gridavano: «Loro (i Fratelli musulmani, ndr) dicono che siamo una minoranza, noi facciamo la marcia dei milioni».
I giovani del movimento 6 aprile e i socialisti del Tagammu si sono incontrati nel pomeriggio intorno alla moschea Fatah, nel centro della città, per iniziare la loro marcia verso Tahrir. Sugli striscioni si leggevano dure frasi di opposizione alla dichiarazione costituzionale. I liberali si sono dati appuntamento invece nei pressi dell'università di Ayn Shamps insieme a decine di studenti. L'esponente del partito degli egiziani liberi, Mohamed al-Koumy, ha detto: «costringeremo il regime alle dimissioni, ci prepariamo ad un sit-in e allo sciopero generale». Durante la marcia verso Tahrir, è arrivata la notizia della morte di Fathy Gharib. Il sessantenne è stato ucciso dopo aver respirato gas lacrimogeni negli attacchi contro i manifestanti che hanno avuto luogo la mattina di martedì avanti al ministero dell'interno in via Sheykh Rihan al Cairo. «Morsi è Mubarak. Anche lui ordina di sparare contro la folla», ha detto Mohamed Shaaban, un avvocato che prendeva parte al corteo. Tuttavia, gli islamisti hanno negato ogni responsabilità nelle violenze. «Le forze dell'ordine - ha fatto sapere, Usama Ismail, dirigente del ministero degli interni - hanno in dotazione solo gas lacrimogeni e le direttive del ministro sono per la massima moderazione».
In piazza Tahrir, sono arrivati anche i leader laici da Amr Moussa a Mohammed el-Baradei. Hanno preso parte alle manifestazioni la quasi totalità dei giudici e dei pubblici ministeri egiziani. Mentre si teneva una riunione straordinaria del consiglio della magistratura per valutare il prossimo passo nell'opposizione al decreto. «Ha più poteri lui (Morsi, ndr) di un faraone, è una presa in giro della rivoluzione che lo ha portato al potere», ha insistito Mohammed el-Baradei. Il leader liberale ha difeso poi tutti i politici (30 su 100) che si sono ritirati dall'Assemblea costituente in segno di protesta contro il decreto Morsi. «Temiamo che i Fratelli musulmani vogliano far passare un documento che marginalizzi i diritti delle donne e delle minoranze religiose», ha accusato el-Baradei. Tra la folla di Tahrir, c'era anche il presidente della giuria del festival internazionale del cinema del Cairo, Marco Muller. L'apertura del festival è stata spostata a oggi a causa delle proteste, ma molti cineasti egiziani hanno deciso di ritirare i loro film in segno di critica verso la decisione del presidente.
Manifestazioni simili a quella del Cairo si sono svolte a Suez, Luxor, Beni Suif e nelle città del Delta. A Tanta e Mahalla ci sono stati scontri fra sostenitori dei Fratelli musulmani e oppositori di Morsi. Secondo testimoni, nel governatorato di Gharbeya un fitto lancio di bottiglie incendiarie ha reso lo scontro cruento, causando decine di feriti. Tranne alcuni giovani del movimento, sostenuti dal vicepresidente del movimento Essam el-Arian, i Fratelli musulmani non sono scesi in piazza e hanno sminuito la portata delle proteste. Ma la piazza ha fatto la sua parte e ha motivato gli egiziani a non arrendersi ad un nuovo autoritarismo.

Nuove proteste a Piazza Tahrir
Decine di migliaia di persone stanno di nuovo protestando al Cairo contro le riforme approvate il 22 novembre dal presidente egiziano Mohamed Morsi. I manifestanti, riuniti in piazza Tahrir, accusano il presidente e il suo partito, i Fratelli musulmani, di aver tradito la rivoluzione dello scorso anno.
Violente proteste erano già scoppiate il 23 novembre, riempiendo il centro della capitale egiziana. La polizia ha reagito sparando dei lacrimogeni e un uomo è morto per un attacco di cuore dopo aver respirato il gas. Il popolo contesta il decreto costituzionale di Morsi, che estende i poteri del presidente impedendo a qualsiasi tribunale di contrapporsi alle sue decisioni. Una riforma che di fatto lo sottrae al potere di controllo della magistratura.
“Non vogliamo una nuova dittatura. Il regime di Mubarak era una dittatura. Abbiamo fatto una rivoluzione per ottenere giustizia e libertà”, ha dichiarato un manifestante. Le proteste sono in corso anche ad Alessandria d’Egitto. Il resoconto della Bbc.
“Non esistono dittatori temporanei. Tutte le leggi autoritarie vengono imposte con la pretesa che siano temporanee, ma alla fine prendono il potere per sempre. Se permetti a un dittatore di sospendere la legge per un giorno, sarà un dittatore per sempre”, ha commentato lo scrittore Alaa al Aswany. Il link all’articolo completo, in arabo.

martedì 27 novembre 2012

Messico - Allarme nello stato di Sonora

“Consideramos una burla contra el pueblo de México que Felipe Calderón haya venido a Sonora a inaugurar el acueducto Independencia, pues tenemos amparos que señalan que se debe detener su construcción”, explica desde Sonora Mario Luna, autoridad tradicional yaqui.

México. Un clima de tensión se vive en la ciudad de Vícam, Sonora, que desde la madrugada de ayer se encuentra sitiada por 40 patrullas con cerca de 150 elementos de la policía federal y estatal. El pueblo fue rodeado luego de que la tribu yaqui anunció que se manifestaría en la carretera internacional contra la presencia del presidente Felipe Calderón Hinojosa en Sonora, para “inaugurar” el acueducto Independencia. 

“No podíamos pasar por alto esta situación y decidimos bloquear la carretera internacional. El gobierno respondió enviando policías a todas las entradas de Vícam Estación, y desde la madrugada de ayer ha estado el pueblo sitiado por elementos de la policía federal y de la policía estatal investigadora”, explica Mario Luna, autoridad tradicional de la tribu yaqui, en entrevista con Desinformémonos. (leer más)

lunedì 26 novembre 2012

Desinformémonos del lunedì


Reportajes México
Enfrentando a una “nueva delincuencia” celebra la Policía Comunitaria de Guerrero 17 años de existencia
GLORIA MUÑOZ RAMÍREZ Y ADAZAHIRA CHÁVEZ
FOTO: HERIBERTO PAREDES (AGENCIA SUBVERSIONES)

AMARANTA CORNEJO HERNÁNDEZ

RAFAEL SEVILLA ZAPATA

MÓNICA MONTALVO MÉNDEZ

MAYRA IRASEMA TERRONES MEDINA

Reportajes Internacional
ALEJANDRA DEL PALACIO
FOTO: HAMDE ABU RAHMA

BIANCA PYL Y DANIEL SANTINI, PARA REPÓRTER BRASIL
FOTOS: DANIEL SANTINI
TRADUCCIÓN: WALDO LAO

SERGIO ADRIÁN CASTRO BIBRIESCA

Autonomías
HANNA SASSAMAN
TRADUCCIÓN: SERGIO CASTRO BIBRIESCA

Imagina en Resistencia
JENNIFER SOUBIES, TXALAMAKO TXALAPARTA TALDEA

Fotoreportaje
FOTO: hamdi abu rahma
texto y producción: desinformémonos
música: meen erhabi? (¿quién es el terrorista?), de dam

Video
PRODUCCIÓN: DOCUPRAXI.NET

Utopía en el Horizonte
REFLECTIONS ON A REVOLUTION (ROARMAG.ORG)/ DESCUADRO PRODUCCIONES (DESCUADRO.COM)

Audio
INFORMATIVO ONDA INTEROCEANIKA

sabato 24 novembre 2012

Cina - Turismo o morte nella Via della Seta


Lo Xinjiang è una delle principali mete del 'turismo rosso'. Strano a dirsi, per una regione martoriata da decine di test nucleari.

di Maria Dolores Cabras

Qual è la nuova frontiera del 'turismo rosso' della Cina? Non è la Città Proibita di Pechino, né l’avveneristico quartiere Pudong di Shanghai, non è la Xi’an incantata dell’Esercito di Terracotta dell’imperatore Qin Shi Huang e neppure la zona archeologica di Dazu con i suoi santuari rupestri. La nuova attrazione turistica cinese si trova nel punto più lontano in assoluto dalla costa, nel mezzo del polo eurasiatico dell’inaccessibilità, nella provincia autonoma dello Xinjiang.
Una terra antica che per millenni ha ospitato gli insediamenti di popolazioni giunte da ogni confine dell’Asia, dai nomadi indoeuropei alle genti di lingua iranica, turca e proto-mongola. Che la provincia nordoccidentale fosse un confine strategico non è una novità: le autorità centrali lo ribadirono già nel 1884, quando quella regione oltre la Grande Muraglia fu ufficialmente inglobata nell’Impero di Mezzo e battezzata proprio con il nome Xinjiang, che significa 'nuova frontiera'. In Cina tutti lo sanno: se “lo Xinjiang è perduto, la Mongolia è indifendibile e Pechino è vulnerabile”. I vecchi orientamenti cinesi non sono cambiati. Nell’ultimo ventennio il governo ha concentrato i propri sforzi in quell’area pianificando un’intensa campagna per lo sviluppo, focalizzata su “ristrutturazione e cambio di crescita economica, costruzione di infrastrutture e protezione dell’ambiente”, come ha affermato l’Ufficio del Consiglio di Stato. Nel documento programmatico sullo Sviluppo e Progresso nello Xinjiang emanato nel 2009 si registra una crescita media annua regionale più alta del 10,6 per cento rispetto al 2000, favorita dall’incremento della produzione industriale, soprattutto nel settore petrolchimico e del carbone.
Anche il sistema infrastrutturale è stato rinvigorito con la costruzione di 8 autostrade nazionali, 66 interprovinciali e più di 600 a livello di contea. Inoltre è stato rinforzato il sistema di comunicazione aerea, 114 percorsi di volo interni e internazionali si irradiano da Urumqi e collegano 70 città cinesi ed estere e 12 prefetture nello Xinjiang. Tuttavia, per accelerare lo sviluppo della periferia il governo centrale punta sulle risorse turistiche regionali e, strano a dirsi, più su quelle antropiche e artificiali che su quelle naturali della desolata piana desertica, che nel 2008 ha ospitato oltre 22 milioni di visitatori. L’agenzia di stampa governativa Xinhua di recente ha annunciato che Pechino è pronta a spendere circa 1 milione di dollari per bonificare l’ex sito atomico di Malan nel Lop Nur e trasformarlo in una meta di 'turismo rosso', per rispondere al crescente interesse dei cinesi “per la storia e la visita alle ex basi rivoluzionarie”.
Quale memoria storica si può ritrovare nel Lop Nur? I ripari sotterranei dai raid aerei che si snodano per mille metri di lunghezza, i laboratori, i dormitori della base nucleare dove è stata detonata la prima bomba atomica cinese nel 1964, un dato di grande importanza nazionale. Il sito dello Xinjiang era il centro focale del segretissimo Progetto 596, avviato nel giugno 1959 nel pieno della crisi sino-sovietica e che ha portato la Cina a diventare la quinta potenza nucleare. Dal 1964 al 1996 ci sono stati almeno 46 test nucleari nella distesa del grande lago salato di Lop Nur. Il Dott. Enver Tohti, oncologo uiguro, era solo un bambino quando nel 1973 vide scomparire per tre giorni il sole e la luna, il cielo velarsi del color della terra e una strana polvere discendere come pioggia sui villaggi e la gente. Gli dissero che quella pioggia proveniva da Saturno e solo quando lungo la Via della Seta passò la morte seppe che quell’acquerugiola di fango era polvere radioattiva.
Leucemia, linfomi maligni, danni e malformazioni fetali, malattie degenerative, demenza e disabilità psichica: le cartelle cliniche hanno dimostrato che il tasso di malati di cancro nella regione è il 30-35 per cento più alto rispetto alla media nazionale. Questo è l’effetto degli esperimenti nucleari che hanno contaminato acqua, suolo e sangue della popolazione locale, gli uiguri. Secondo una stima non ufficiale sarebbero almeno 200 mila le vittime e 1,5 milioni i colpiti dal materiale radioattivo.
Nel 2008 la Xinhua ha riferito l’intenzione del governo di sovvenzionare segretamente le cure dei militari coinvolti nei test atomici, ma non è riservato lo stesso trattamento alla popolazione civile, per lo più senza assistenza sanitaria. Rispetto a Chernobyl il livello di plutonio liberato nell’aria è 6 milioni di volte più alto, eppure dell’impatto devastante che il nucleare ha avuto sullo Xinjiang non se ne è parlato abbastanza e tantomeno se ne parlerà ora che è diventata un’area turistica. A Pechino rassicurano che i programmi nucleari sono stati sospesi già dal 1996, ma gli uiguri lanciano l’allerta ai turisti e denunciano la compravendita di scorie nucleari provenienti da altri Paesi, poi sotterrate nel sottosuolo. Visto da questa provincia ferita, il costo umano della nuova frontiera del turismo rosso cinese sembra immenso.

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!