sabato 1 giugno 2013

Germania - Blockupy Frankfurt ferma il "cuore pulsante" della finanza europea

Come la coalizione dei movimenti ha imposto dal basso lo "sciopero" della Banca Centrale Europea

di Beppe Caccia
Non era mai accaduto che gli oltre millecinquecento dipendenti della Banca Centrale Europea “scioperassero”. E soprattutto che lo facessero nello stesso giorno gli impiegati delle sedi principali della Kommerzbank e della Deutsche Bank, paralizzando così le attività d’ufficio di tutto il distretto della finanza a Francoforte. E’ successo ieri. E questa inedita forma di “sciopero sociale” nelle fabbriche di carta delle maggiori istituzioni finanziarie d’Europa è stato l’effetto delle azioni di quasi tremila attivisti raccolti nella coalizione Blockupy Frankfurt.
Un risultato straordinario, cui reti militanti e organizzazioni in lotta contro le politiche di austerity e provenienti da diverse città tedesche, ma anche da Spagna, Belgio, Olanda, Danimarca, Francia e Italia hanno lavorato per un anno, e che si è concretizzato nelle prime ore del mattino di ieri.
Erano infatti le 5.30 quando in corteo non autorizzato i primi spezzoni del Blocco anticapitalista sono partiti dal campeggio autogestito di Rebstock e hanno percorso quattro chilometri  fino al centro cittadino, aggirando innumerevoli presidi di polizia, certo meno aggressiva dello scorso anno, ma onnipresente in gran numero.
Giunti alle sette sotto la Eurotower, il grattacielo sede della BCE, si sono disposti in sei differenti blocchi ad altrettanti incroci, strategici per l’accesso agli uffici. Qui l’immagine della Banca Centrale, cioè di uno dei tre vertici della Troika al comando della presente governance e dei processi di integrazione europea, era quella di un fortino assediato. Prima ancora che dai contestatori, la torre era circondata da un perimetro di transenne antisfondamento e da un robusto schieramento di poliziotti in tenuta antisommossa, arrivati da tutta la Germania.
E mentre alcune banche avevano già prudentemente concesso ai propri dipendenti un giorno di ferie supplementare, per gli sparuti impiegati di Mr. Draghi che si affacciavano nei dintorni della Neue Mainzer strasse non c’era niente da fare. Fermamente, ma cortesemente, venivano invitati a tornarsene a casa.
Inevitabile il nervosismo delle forze di polizia, nonostante numerose mobilitazioni e l’attivazione dell’opinione pubblica avessero garantito, negli ultimi mesi, la formale conquista del diritto a manifestare tutelato dalla Grundgesetz tedesca. C’è stato il provocatorio tentativo di fermare alcuni attivisti, isolandoli e strappandoli ai blocchi, così come quando i manifestanti, soprattutto dei Centri sociali italiani, si sono avvicinati agli sbarramenti premendo con forza su di essi, sono partite piccole cariche condite dall’irrorazione di micidiale spray al peperoncino. Cui, ironicamente, ha fatto da controcanto uno slogan di nuovo conio: “aglio, olio e peperoncino, contro l’austerity e per il reddito”.
Ma, nel complesso, è stata la determinazione dei partecipanti ai blocchi, sotto una pioggia battente, ad avere la meglio e a paralizzare per un giorno nei fatti - altro che “protesta simbolica” - il cuore pulsante della grande finanza europea, trasformando la “Gotham City dell’Euro” in una ghost town popolata di grattacieli vuoti, lampeggianti blu e migliaia di attivisti che sciamavano in cortei liberi e selvaggi.
Conclusa così verso mezzogiorno quella che era stata definita la “prima onda” della protesta, i blocchi si sono sciolti, riarticolati e ricomposti in tre diverse iniziative, con l’obiettivo di indicare e colpire alcuni “attori” della gestione capitalistica della crisi, che si è tradotta per usare le parole di Karin Zennig - una delle portavoce di Blockupy - in “un gigantesco processo di ristrutturazione dei rapporti di forza tra le classi, che ha ridistribuito in termini sempre più ineguali e polarizzati la ricchezza socialmente prodotta.”
Cinquecento attivisti hanno per ciò circondato in Willy-Brandt-platz la sede della Deutsche Bank, evidenziandone le responsabilità nell’attivo supporto ai processi di privatizzazione di servizi pubblici e beni comuni in Europa, alle speculazioni legate al land grabbing in Africa e, dappertutto, alla produzione e al traffico d’armi. Un combattivo presidio che si è concluso con l’incendio di un gigantesco carro armato di cartapesta, simbolo degli affari bellici della Germania nei cinque continenti.
Contemporaneamente diverse centinaia di manifestanti raggiungevano lo Zeil, la via pedonalizzata dedicata allo shopping nel centro antico di Francoforte, affollata per gli acquisti del venerdì pomeriggio: qui nel mirino erano invece i grandi centri commerciali e i più famosi marchi multinazionali dell’abbigliamento. Gli uni impegnati nel tentativo di cancellare le organizzazioni sindacali e di precarizzare sistematicamente il lavoro al proprio interno. Gli altri colpevoli di sfruttare manodopera a basso costo nel Sud del mondo. E così, in simultanea, un primo gruppo picchettava gli ingressi della catena Karlstad imponendo lo sciopero, un secondo inscenava un sit it davanti alle vetrine del grande mall “My Zeil”, un altro ancora, guidato dagli italiani della Coalizione per Blockupy, chiudeva dopo un corpo a corpo con la polizia il maxi store di Benetton: “non dimentichiamo – spiegava al megafono Luca Tornatore – i millecento operai assassinati in Bangladesh per un euro al giorno di salario e da qui avvertiamo la multinazionale di Treviso che la nostra campagna di boicottaggio diventa internazionale.”
Intanto un migliaio di attivisti, divisi in tre gruppi, riusciva a raggiungere l’Aeroporto Intercontinentale, uno dei più trafficati hub d’Europa, ma anche uno dei principali scali d’imbarco per il respingimento di richiedenti asilo e migranti. “Chiudere l’aeroporto delle deportazioni” si poteva leggere sullo striscione posto alla testa di un corteo interno che ha attraversato il Terminal 1. La polizia però si scatenava con i manifestanti rimasti all’esterno, con qualche carica rabbiosa e fermi isolati.
Una giornata intensissima, in cui “il cuore finanziario d’Europa non ha pulsato”, conclusa da incontri e assemblee nella sede del sindacato DGB e dagli ultimi preparativi per una manifestazione conclusiva che si annuncia per oggi assai partecipata.

tratto dal Manifesto

Turchia - Non si ferma la protesta in piazza partita in difesa del Parco di Gezi

E' iniziato tutto lunedì scorso quando una cinquantina di manifestanti che protestavano pacificamente contro la demolizione di un parco, una delle poche aree verdi del centro, per far spazio alla ricostruzione di una fortezza militare storica dell'epoca ottomana accompagnata da un centro commerciale, sono stati allontanati con violenza dalla polizia.
La violenza usata ha fatto sì che nei giorni seguenti aumentasse il numero dei manifestanti. Alla protesta si sono associati deputati dell'opposizione, scrittori, artisti ed intellettuali.
In migliaia hanno occupato il Parco Gezi, con tende, slogans e canti. La polizia ha attaccato l'acampada con inaudita violenza: “ci hanno attaccato con idranti e gas lacrimogeni, quando c'erano migliaia di persone nel parco” hanno dichiarato i manifestanti.
Ci sono stati più di 100 feriti, più di sessanta arrestati, tra cui giornalisti e deputati. 
I manifestanti dicono che il Parco è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso contro le decisioni del governo. C'è chi parla di "primavera turca" mentre i manifestanti continuano a tornare in piazza nonostante le cariche della polizia.
Nuovi scontri nella zona centrale della città anche oggi. La tag “resistenza per il Parco Gezi” ha iniziato a circolare in twitter e le proteste ci sono state anche in altre città del paese.
Le ragioni della protesta sono sintetizzate nelle dichiarazioni in alcuni giornali: “Mai sentita una cosa del genere: è uno scherzo. Che cosa vogliono da questo bellissimo parco? Tutto intorno a Taksim è pieno di centri commerciali. Perché vogliono privatizzare anche qui? Tutto il Paese è stato privatizzato, noi condanniamo questo governo”.
Dietro alla protesta la critica alle politiche del governo per le privatizzazioni, le devastazioni ambientali, le politiche di austerità tanto è vero che la presenza in piazza non si ferma.
Una protesta forte, moderna, europea in questo paese modificato negli ultimi anni in particolare nelle aree urbane.

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!