lunedì 23 febbraio 2015

Kurdistan - Salman, il ragazzo curdo di Novara morto in Iraq per combattere l’Isis

Aveva ottenuto l’asilo politico ed era stato 
assunto come operaio da una cooperativa. 
Lavoro, famiglia, amici. Salman Talan, 
curdo di nazionalità turca, in Italia aveva 
trovato tutto. Il richiamo dei fratelli curdi in 
lotta contro l’Isis, però, è stato più forte, e alla 
fine l’ha portato a morire in Iraq. Salman, 
nome di battaglia Erdal Welat («la mia terra») viveva tra Milano e Trecate, in 
provincia di Novara, dove abitano ancora due dei suoi cinque fratelli. Un anno fa ha
deciso di abbandonare la sua nuova vita e partire. Ha lasciato solo una lettera: «Nessuno 
mi ha obbligato.
Vado a combattere contro l’Isis perché la mia famiglia possa scrivere nella sua lingua». 
Poche parole ai genitori per spiegare la partenza. Per dodici mesi nessuno ha saputo più 
nulla di lui. Finché, il 27 gennaio scorso, i familiari hanno ricevuto la notizia della sua morte. 
«È stato colpito da un cecchino dell’Isis a Shingal (nome curdo per il monte Sinjar), in Iraq 
- racconta il fratello Sahin -. Il proiettile ha trapassato il cranio da sinistra a destra. Dopo 
di lui hanno ucciso un suo amico».  

Il lavoro in stamperia  
Nelle ultime foto pubblicate su Facebook Salman ha un viso lungo, serio, da uomo. Indossa 
una tuta mimetica e ha il fucile tra le braccia. In realtà Salman era un ragazzo di 24 anni. 
Era giunto in Italia giovanissimo insieme a mamma, papà e cinque fratelli, in fuga da una 
Turchia che non gradiva le loro simpatie per il Pkk di Ocalan. Aveva fatto vari lavoretti ma 
negli ultimi tempi si era sistemato in una stamperia. Sveglia presto, i turni, un’esistenza come 
tante. «Lavorava con me - aggiunge il fratello -. Era un ragazzo sensibile, sempre attento agli 
altri: se vedeva un rom o un altro immigrato cercava di aiutarli».  

Attivista politico  

venerdì 20 febbraio 2015

Kurdistan - Faccia a faccia con le combattenti di Kobane: “Noi, madri di tutta l’umanità”

Faccia a faccia con le combattenti di Kobane: “Noi, madri di tutta l’umanità”Cinque combattenti curde raccontano la loro esperienza nella difesa della città di Kobane, rivelando sogni e rinunce, raccontando la brutalità della guerra contro le truppe del Califfato, i loro sacrifici e le loro speranze.

Kobane è libera, ma deve fare i conti con la ricostruzione. 
L’80% della città è distrutta e su 525,000 abitanti, solo 25,000 sono rimasti sul territorio, gli altri sono dispersi tra i campi profughi della Turchia e degli altri paesi limitrofi. Per aiutarli a tornare a casa è necessario bonificare la città e ricostruirla.

Per questo il governatore Enwer Muslim ha rivolto un appello alla comunità internazionale, affinché vengano inviati gli aiuti necessari (le coordinate per gli aiuti sono: Mezzaluna Rossa Kurdistan Italia Onlus. IBAN: IT63P0335901600100000132226. Causale: Ricostruzione Kobane). 

Nel frattempo, i tre volontari italiani che dalla Sicilia hanno raggiunto il Rojava, dopo diversi giorni di attesa nel territorio di Kobane, sono riusciti a incontrare le donne curde combattenti, i cui volti rimbalzano nei media di tutto il mondo. Di seguito, riportiamo la conversazione svolta nella base operativa delle YPJ con cinque combattenti:

Perché hai fatto questa scelta di entrare nelle YPJ?
“Perché le donne sono sofferenti. Vediamo la sofferenza delle donne non solo qui ma anche nei vostri Paesi. Noi lottiamo per tutte le donne del mondo. Io in particolare sono nata in Germania, sono stata in giro per l’Europa e in uno di questi Paesi ho fatto giorni di reclusione in prigione per motivi politici. Poi ho deciso di venire qui in Kurdistan e anche le mie amiche sono tutte venute qui. Ho letto gli scritti di Öcalan e dopo ciò ho assunto uno sguardo più globale riguardo la situazione politica in generale e delle donne in particolare”.


Perché sei venuta in Kurdistan?
“Perché voglio la rivoluzione”.



BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!