sabato 10 ottobre 2015

Turchia - Sangue elettorale

di Ivan Grozny

69 morti, più di 100 feriti. 

A poche settimane dalla tornata elettorale del 1 Novembre la situazione in Turchia è questa. Una campagna elettorale macchiata di sangue. 

In migliaia anche questa volta si sono dato appuntamento per manifestare un grande desiderio di pace, ad Ankara; si sono invece ritrovati in un inferno. 

Chi è sopravvissuto a questa mattanza racconta di scene drammatiche e di corpi sventrati dai due ordigni. Un terzo che è stato ritrovato non è fortunatamente esploso. 

La manifestazione era stata indetta dai sindacati di sinistra DISK e KESK, appoggiati da HDP. Hanno risposto all'appello persone da tutto il Paese provenienti da tante città. C’erano turchi e curdi insieme, com'è stato per Soruc a fine luglio.


L’obiettivo dei manifestanti che si sono dato appuntamento alle 10 in una delle piazze principali della città era proprio quello di chiedere al governo Erdogan di interrompere immediatamente il bombardamento delle città curde in Turchia. 

E proprio qualche giorno fa il KCK, partito di riferimento per i combattenti del PKK, dichiara il cessate il fuoco appellandosi ai militanti chiedendo loro di non attaccare a meno di non essere stati aggrediti. Quanto accaduto oggi potrebbe innescare pericolose ritorsioni ma immediatamente dopo l’attentato, lo stesso KCK ha fatto intendere che non cambia la sua posizione. Anche negli anni ottanta e novanta obiettivo di questi attentati erano i turchi che appoggiavano non solo i curdi ma un certo tipo di auspicato cambiamento nella politica e nella società turca.

giovedì 8 ottobre 2015

Kurdistan - 9 Ottobre una giornata nera per le curde e i curdi in tutto il mondo

…la storia
Il 9 ottobre, Abdullah Öcalan, il più importante rappresentante politico delle curde e dei curdi è stato costretto a lasciare il Medio Oriente da un’alleanza regionale e internazionale nella quale era coinvolta anche l’Europa. Ne è seguita un’odissea per tutto il mondo che nel febbraio 1999 è finita con la sua deportazione dal Kenya in Turchia, in violazione del diritto internazionale. Da allora Öcalan si trova agli arresti in condizioni di durissimo isolamento sull’isola carcere di Imrali. Lo stato turco alla fine del 2012, per via della resistenza curda e di altri sviluppi, è stato costretto ad avviare nuovamente trattative con Öcalan. Con la pubblicazione delle sue lettere il 21 marzo 2013, 2014 e 2015 la questione curda in Turchia è entrata in una nuova fase. A questi appelli per una trattativa per la pace e la democrazia è seguito un processo negoziale di quasi tre anni.

…il presente
Ma quando è diventato chiaro che il processo di pace avrebbe portato risultati, il presidente turco Erdogan ha modificato il suo atteggiamento e si è impegnato attivamente per fermare le trattative di pace in corso, attraverso l’isolamento in carcere di Öcalan. Questo in diretto contrasto con la dichiarazione del Presidente Öcalan per una soluzione pacifica della questione curda in Turchia. Successivamente, oltre al divieto di ricevere visite dai suoi avvocati in essere dal luglio 2011, sono state vietate anche tutte le altre visite e anche il contatto con il mondo esterno è stato completamente interrotto dal 5 aprile 2015.
La strategia del governo dell’AKP mostra la mancanza della volontà di affrontare la questione curda nel paese. Prosegue piuttosto una politica consapevole di annientamento del popolo curdo con mezzi militari. In effetti dalla fine del processo di pace da parte di Erdogan il 24 luglio 2015, si sta sviluppando una nuova guerra contro i curdi. Da questa data le montagne, i villaggi e i territori curdi sono stati oggetto di quotidiani attacchi e bombardamenti. Da allora le unità speciali turche con il sostegno dell’esercito turco hanno dichiarato lo stato di emergenza in molte città curde. Uccisioni extragiudiziali sono quotidianamente all’ordine del giorno nella regione. Alla popolazione del Kurdistan settentrionale non resta che opporre resistenza.
Öcalan è una figura chiave per la soluzione della questione curda per tutti e quattro gli stati e quindi per la stabilità, la pace e la democrazia nella regione. Le trattative devono riprendere e perché ci siano i passaggi necessari per un cessate il fuoco bilaterale, anche la Comunità Internazionale deve attivarsi. Ma una pace duratura può essere realizzata solo se Abdullah Öcalan è libero.

…il futuro
Anche in futuro il popolo curdo continuerà la sua instancabile lotta per la pace, la libertà e la democrazia.

Nel 17° anniversario del 9 ottobre chiediamo:

Libertà e Democrazia nel Medio Oriente!

Pace in Kurdistan!
Libertà per Öcalan


tratto da UIKI 

martedì 6 ottobre 2015

Arabia Saudita - Ali al Nimr, 20 anni, condannato a decapitazione, crocifissione e putrefazione del corpo


"E’ una vicenda che ho seguito con apprensione e dolore, la comunità internazionale deve fare di tutto per ottenere la liberazione dell’attivista saudita. Mi rendo conto che spesso ci sono interessi in gioco, ma la promozione dei diritti umani deve essere sempre anteposta a tutto".

Lina Ben Mhenni, blogger tunisina



Ali al-Nimr ha vent'anni.
E’ stato condannato alla decapitazione, crocifissione e putrefazione del corpo.

I giudici di appello della Corte penale speciale e della Corte suprema dell’Arabia Saudita hanno confermato la sentenza di condanna a morte emessa dal tribunale penale speciale di Gedda per la “partecipazione a manifestazioni antigovernative” a Qatif, cittadina nella parte orientale del regno, quando Ali aveva appena diciassette anni.

La condanna è frutto di una confessione estorta al ragazzo sotto tortura.


Ali è nipote di un eminente religioso sciita indipendente e oppositore del regime dell’Arabia Saudita, Sheikh Nimr Baqir al-Nimr, arrestato l’8 luglio del 2012 e anch'egli condannato a morte, il 15 ottobre del 2014.


Può essere messo a morte appena il re Salman ratifica la condanna.

In tutto il mondo ci si sta mobilitando per chiedere che questa ennesima barbarie, in un paese che viola sistematicamente i diritti umani, la libertà delle donne, venga bloccata.
Ma si sa i capitali ingenti dell’Arabia, accumulati sui profitti dell’oro nero ed oggi ramificati in tutti i settori della finanza, ne fanno un partner intoccabile. Per questo nessun paese si sta muovendo per stigmatizare, anzi neppure vagamente criticare, la violenza sistemica del regime saudita.


Anzi, con macabro tempismo intanto le Nazioni Unite hanno nominato l’ambasciatore saudita, Faisal bin Hassan Trad, a capo del Consiglio per i diritti umani dell’Onu nel 2016,

Amnesty International ha lanciato un appello che è possibile firmare, per  rompere il silenzio e chiedere l’annullamento della sentenza.

Segui le mobilitazioni in twitter

Stiamo parlando di un paese che detiene il record mondiale delle esecuzioni capitali, che tranquillamente è considerato un alleato dell’occidente e non solo.

Da Amnesty International
LA PENA DI MORTE IN ARABIA SAUDITA

L’Arabia Saudita è tra i paesi che eseguono il più alto numero di sentenze: dal 1985 al 2005 sono state messe a morte oltre 2200 persone; da gennaio ad agosto 2015, almeno 130 esecuzioni.
Violando la Convenzione sui diritti dell’infanzia e il diritto internazionale, ha messo a morte persone per reati commessi quando erano minorenni.
Spesso i processi per reati capitali sono tenuti in segreto e sono sommari e iniqui, senza l’assistenza e la rappresentanza legale durante le varie fasi della detenzione e del processo. Gli imputati possono essere condannati sulla base di confessioni estorte con torture e maltrattamenti, coercizione e raggiri.

Le tensioni tra la comunità sciita e le autorità saudite sono cresciute dal 2011, quando sono cresciute le manifestazioni contro gli arresti e le vessazioni di sciiti che svolgevano preghiere collettive e violavano il divieto di costruire moschee sciite.
Le autorità saudite hanno risposto con la repressione di chi era sospettato di partecipare o sostenere o esprimere opinioni critiche verso lo stato. I manifestanti sono stati trattenuti senza accusa e in isolamento per giorni o settimane e sono stati segnalati maltrattamenti e torture.
Dal 2011, quasi 20 persone collegate alle proteste sono state uccise e centinaia incarcerate.

domenica 27 settembre 2015

Messico - Per il dolore, per la rabbia, per la verità, per la giustizia


PER IL DOLORE, 
PER LA RABBIA,

PER LA VERITA’, 
PER LA GIUSTIZIA

Settembre 2015

Compagne, compagnei e compagni della Sexta del Messico e del Mondo:


Sorelle e fratelli dei popoli della Terra:



Sa il nostro collettivo cuore, di prima e di ora, che il nostro dolore non è lamento sterile.

Sa che la nostra rabbia non è sfogo inutile.

Sappiamo che siamo ciò che siamo, che i nostri dolori e rabbie nascono e si alimentano a partire da menzogne e ingiustizie.

Perché chi sta di sopra ai danni di noi che siamo ciò che siamo, mente come modalità di far politica e adorna la morte, la sparizione forzata, il carcere, la persecuzione e l’assassinio con lo scandalo della sua corruzione.

E’ criminale per legge e senza vergogna chi sopra sta, al di là del colore della sua politica. Al di là che pretenda di nascondersi dietro a un cambio di nome e di bandiera.

Sempre lo stesso volto, la stessa superbia, la stessa ambizione e la stessa stupidità.

Come se facendo sparire e assassinando volessero anche far sparire e assassinare la memoria.

Da sopra e da coloro che lì annidano le loro perversioni e bassezze, riceveremo soltanto la menzogna come salario e l’ingiustizia come stipendio.

Puntuali giungono l’ingiustizia e la menzogna, tutti i giorni, a tutte le ore, in tutti i luoghi.

Non li sazia il sottrarci lavoro, vita, terra, natura.

Ci rubano anche chi è con noi: figli, figlie, sorelle, fratelli, padri, madri, familiari, compagni, amiche e amici.

Perseguita chi sopra sta. Incarcera. Sequestra. Fa scomparire. Uccide.

Non pone fine soltanto ai corpi, alle vite.

Distrugge anche storie.

Sulla smemoratezza costruisce chi sta sopra la sua impunità.

L’oblio è il giudice che non solo lo assolve, ma lo premia pure.

Perciò, e per altro, i nostri dolori e rabbie cercano la verità e la giustizia.

Presto o tardi impariamo che non si trovano da nessuna parte, che non c’è libro, né discorso, né sistema giuridico, né istituzione, né promessa, né tempo, né luogo per esse.

Che bisogna costruirle, impariamo.

Come se il mondo non fosse ancora completo, come se un vuoto gli ferisse il ventre, lacerato il cuore del colore che siamo, della Terra.

Così impariamo che senza verità e senza giustizia, non c’è giorno completo né notte. Non trova mai pace il calendario, non riposa la geografia.

In molte lingue, idiomi, segni, nominiamo chi manca.

E ogni dolore e ogni rabbia prende un nome, un volto, una storia, un vuoto che fa male e indigna.

Il mondo e la sua storia si riempiono così di assenze.

E queste assenze si fanno mormorio, parola forte, grido, ululato.

Non gridiamo per lamento. Non piangiamo di pena. Non mormoriamo per rassegnazione.

E’ perché chi manca trovi la strada del ritorno.

Perché sappiano che ci sono, anche se mancano.

Perché non dimentichino che non dimentichiamo.

Per questo: per il dolore, per la rabbia, per la verità, per la giustizia.

Per Ayotzinapa e tutti gli Ayotzinapa che feriscono i calendari e le geografie di sotto.

Per questo la resistenza.

Per questo la ribellione.

Perché arriverà il tempo in cui pagheranno tutto ciò che ci devono.

Pagherà chi ha perseguitato, pagherà chi ha incarcerato, pagherà chi ha picchiato e torturato. Pagherà chi ha imposto la disperazione della sparizione forzata. Pagherà chi ha ucciso.

Perché il sistema che ha creato, alimentato, coperto e protetto il crimine che si veste di malgoverno, sarà distrutto. Non imbellettato, non riformato, non modernizzato: demolito, distrutto, terminato, sepolto sarà.

Per questo in questo momento il nostro messaggio non è di consolazione né di rassegnazione per chi è addolorato per una o molte assenze.

Di rabbia è il nostro messaggio, di accoramento.

Perché conosciamo lo stesso dolore.

Perché abbiamo nelle viscere la stessa rabbia.

Perché, essendo differenti, così ci assomigliamo.

Per questo la nostra resistenza, per questo la nostra ribellione.

Per il dolore e la rabbia.

Per la verità e la giustizia.


Per questo:
Non claudicare. Non vendersi. Non arrendersi.

Per questo:

Verità e Giustizia!


Dalle montagne del sudest messicano

Subcomandante Insurgente Moisés                            Subcomandante Insurgente Galeano



In un angolo del pianeta chiamato “Terra”, settembre 2015
Questo 26 settembre, migliaia di zapatisti, bambini, bambine, giovani, donne, uomini, altrei, anziani e anziane, vivi e morti, manifesteranno nei nostri territori per abbracciare in questo modo tutte le persone che sentono dolore e rabbia a causa del carcere, della sparizione e della morte imposti da chi sta sopra.

Le abbracceremo anche perché così ci abbracceremo noi zapatisti.

E così chiamiamo tutte le persone oneste e integre del pianeta perché facciano lo stesso, nei loro calendari e geografie, secondo i loro tempi e modi.

Perché finché si vorrà supplire con le menzogne e i raggiri alla mancanza di verità e giustizia, l’umanità continuerà a essere solo una smorfia grottesca sulla faccia della Terra.


Traduzione a cura dell’Associazione Ya Basta! Milano

domenica 13 settembre 2015

Kurdistan - Kobane. Partita dall’Italia la prima carovana internazionale

E’ iniziata la Carovana Internazionale per Kobane. Un’iniziativa a cui parteciperanno attivisti, esponenti di sindacati e partiti da tutta Europa per affermare che non si può più attendere: il confine tra la Turchia e la zona della Siria in cui si trova Kobane va aperto.

La Carovana arriva in Turchia in giorni molto tesi caratterizzati dagli attacchi alla popolazione civile curda e dalla scelta di Erdogan di continuare i bombardamenti contro il PKK in Iraq. Siamo nello scenario che si avvicina ai primi di novembre, data delle elezioni e il "sultano" cerca di far di tutto, creando un clima di paura e tensione, per riguadagnare i voti persi alle ultime elezioni. Una situazione quella turca che si inserisce in un quadrante geopolitico complesso dove, come vediamo in questi giorni, anche l’esodo di chi sfugge dalle guerre diventa occasione di giocarsi un ruolo internazionale e dove il muoversi delle potenze vecchie e nuove configura alleanze e scontri, come sta succedendo sulla questione dell’intervento russo a fianco di Assad.
Per seguire la cronaca della carovana vai a: www.tpo.bo.it - Uikionlus
Seconda giornata degli attivisti di Ya Basta! Bologna sul confine turco-siriano, verso la Carovana Internazionale in Kurdistan.
La delegazione di Ya Basta Bologna si trova in Turchia per consegnare un carico di materiale sanitario alla popolazione della città di Kobane nell’ambito della Carovana Internazionale in Kurdistan e per monitorare il progetto Rojava Playgrounds in collaborazione con la Municipalità della città di Suruç.
Suruç 10 settembre 2015
Sono sette giorni che la città curda di Cizre è sotto assedio da parte dell’esercito turco.
I cecchini turchi posti sui tetti delle case aprono il fuoco sui civili ferendo donne, bambini e chiunque abbia tentato di violare il coprifuoco al fine di trovare qualcosa da mangiare.
“Non c’è acqua, né elettricità da una settimana; i forni sono stati chiusi e non è possibile uscire da casa. Hanno interrotto tutte le vie di comunicazione. Chi è lì riesce a postare foto e video sui social-network solo attraverso i propri cellulari, ma quando bloccheranno anche queste connessioni non saremo più in grado di avere notizie di cosa sta accadendo”.
Nel frattempo Demirtas (copresidente di HDP) ed una delegazione di parlamentari del suo stesso partito sono stati bloccati nelle vicinanze di Cizre. Con una lunga carovana di autobus e auto hanno cercato di entrare nella città per bloccare questo massacro.
Dopo il primo tentativo hanno deciso di continuare la loro marcia a piedi, con la consapevolezza che entrare a Cizre significa lottare per l’umanità. Sono stati attaccati con lanci di gas lacrimogeni.
Ma la determinazione e la tenacia dei cittadini e dei deputati dell’HDP ha permesso proprio in questo momento, mentre scriviamo l’articolo, di rompere l’assedio ed entrare a Cizre.
Municipio nel nord della Mesopotamia, alle sorgenti del Tigre, Cizre è sempre stata una delle roccaforti delle lotte per la rivendicazione dei diritti del popolo curdo.

Dieci giorni fa Cizre aveva dichiarato la propria autonomia confederale mettendo in pratica il confederalismo democratico teorizzato da Ocalan.
 La risposta del governo turco è stata un assedio militare alla città e l’imposizione del coprifuoco.
Nella lunga discussione avvenuta nella sede del DBP, ci confrontiamo anche sulla situazione che vivono le città del confine a ridosso della Siria, impegnate a sostenere la resistenza del Rojava ma anche i contraccolpi di una guerra violentissima. A Suruç negli ultimi mesi, dopo la liberazione di Kobane, i campi profughi si stanno ormai svuotando. La Municipalità ha ancora in gestione tre campi che vedono la presenza di 150 famiglie. Ma tra il grande campo Afad (gestito dal Governo turco) e i molti profughi ancora ospiti nelle case e nei villaggi circostanti, a Suruç sono ancora presenti 45.000 persone, mentre negli ultimi due anni sono state 250.000 le persone che hanno trovato rifugio in questa città curda.
Proprio partendo dal grande sforzo che Suruç ha fatto, gli amministratori del Comune ci chiedono perché l’Europa non accolga e non riconosca il diritto d’asilo a chi fugge dalla Siria. “Quanti bambini come Alan Curdi devono morire ancora perché ci sia una presa di posizione netta e risolutiva dei Paesi dell’Unione Europea affinché si creino corridoi umanitari per evitare in futuro le stragi che abbiamo visto nei nostri mari?”.
Ma con loro non potevamo non parlare della strage del centro culturale Amara. Mehmet Kosti era presente il 20 luglio al momento dell’esplosione del kamikaze e ci spiega perché è stato scelto quel momento per colpire. “Uccidendo 32 ragazzi e ragazze turche, della Federazione Socialista dei Giovani Rivoluzionari venuti a portare solidarietà ai bambini di Kobane si voleva contrastare l’idea delle relazioni solidali tra i popoli. Se invece avessero voluto fare una strage colpendo indistintamente la solidarietà al Rojava avrebbero potuto colpire il giorno prima, quando erano scesi in piazza a Suruç 50mila cittadini in sostegno al Rojava".
Affidiamo la conclusione di questo nostro secondo report alle parole di Mehmet Kosti, coopresidente del Partito Democratico Regionale:
"Il progetto portato avanti dall’HDP mira a dimostrare che diverse culture possono convivere anche nell’ovest della Turchia, e sta riscuotendo successo. In queste regioni s’è infatti riscontrato l’appoggio di turchi, aleviti, sunniti ed altre minoranze. Il risultato positivo di questo progetto sta attirando le poco amichevoli attenzioni di chi invece crede ancora fortemente nello stato nazione a base etnica turca. Attenzioni che si traducono in attacchi alle sedi dell’HDP, ai sostenitori del partito ed indiscriminatamente al popolo curdo in generale., esattamente come trent’anni fa (quando la questione curda era al centro della politica in Turchia con la richiesta di un Kurdistan indipendente).
Oggi il Governo turco sta usando gli stessi metodi, applicazione del coprifuoco in diverse località, tra cui Cizre.
Proprio a Cizre sta avvenendo il più chiaro esempio del massacro di civili nel Kurdistan Turco, la città è assediata da 6 giorni, nessuno può entrare o uscire, si hanno notizie frammentate se non della continua moria di civili e bambini.
Come voi sapete, una delegazione di nostri parlamentari (Hdp) ed una parte di popolazione stanno provando a raggiungere la città a piedi dopo che la polizia ha bloccato i mezzi con cui viaggiavano verso Cizre. Ma anche la marcia a piedi è stata fermata in mezzo alla campagna con gas lacrimogeni e circondando i deputati dell’HDP.
A Cizre non c’è eletticità nè acqua, le farmacie sono chiuse, i forni anche. Riceviamo queste notizie sui social network ma, ovviamente ci sono anche problemi con la connessione ad internet.
La maggior parte degli aggiornamenti arriva tramite l’uso di reti mobili, ma temiamo che con l’interruzione anche di questo servizio le già scarse comunicazioni con l’interno della città s’interromperanno del tutto.
Una delle notizie più strazianti che ci hanno mandato è l’immagine di una madre che per evitare l’avanzare della decomposizione del cadavere di sua figlia l’ha prima protetto con del ghiaccio per poi metterlo in freezer, il tutto perché il fuoco dei cecchini impedisce di seppellire i morti, e ci giungono informazioni che suggeriscono che questo non sia un caso isolato.
Ci sembra che questo sia un attacco all’onore dell’umanità, un crimine contro l’umanità.
E a tutta l’umanità ci rivolgiamo, non a singoli colori, popoli o religioni, ma tutti coloro che lottano per l’umanità e che vogliono difenderla devono far sentire la propria voce in favore di Cizre.
Chi si definisce un essere umano, chi lotta per l’umanità, chi per i diritti fondamentali deve oggi lottare anche per Cizre
Lo stanno facendo le tante persone scese nelle piazze turche, stanno dando voce a quella madre che non riesce a seppellire la sua bambina.
Noi curdi subiamo massacri e torture ma non smetteremo di chiedere la pace.
Anche qui nel Kurdistan turco seguiremo l’esempio della rivoluzione del Rojava, pur continuando a lottare non schiacceremo sotto i nostri piedi la dignità umana e continueremo a difendere la pace, consci che se continueranno a verificarsi attacchi saremmo costretti a difenderci e a dar vita a processi d’ auto organizzazione e di autonomia."

Kobane. In partenza dall’Italia la prima carovana internazionale: la Turchia apra un corridoio umanitario
Angela Mauro - L’Huffington Post | Di Angela Mauro
Una settantina di attivisti italiani più una delegazione internazionale. E’ la prima carovana internazionale per Kobane. O meglio per quell’area di confine a sud-est della Turchia, lungo le frontiere con la Siria. Obiettivo: chiedere al governo turco l’apertura di un corridoio umanitario per Kobane, epicentro della battaglia dei curdi contro l’Isis. Partenza fissata per l’11 Settembre, ritorno il 17 settembre. Nella valigia, anche la speranza di arrivarci a Kobane per portare solidarietà all’esercito curdo. L’iniziativa è stata presentata oggi alla Camera in una conferenza stampa degli attivisti e dei parlamentari di Sel impegnati nell’iniziativa. Viaggio che sa anche di avventura, ora che il governo turco, con l’appoggio internazionale, ha dichiarato guerra ai curdi (formalmente quelli del Pkk) e non solo all’Isis.
La lotta del popolo curdo contro l’Isis dovrebbe essere una battaglia di tutta l’umanità”, dice Mehmet Emin Gulmez, rappresentante della comunità curda a Roma, nell’incontro con i giornalisti. “Vorrei ringraziare gli attivisti italiani, i volontari che sono lì ma soprattutto l’esercito curdo che sta resistendo”. “Chiediamo l’apertura di un corridoio umanitario perché Kobane riceva gli aiuti molto spesso bloccati alla frontiera dai turchi”, spiega Amedeo Ciaccheri, consigliere del Municipio VIII a Roma e rappresentante della rete ‘Rojava calling’ che ha già inviato staffette di volontari e anche personale medico volontario sul confine tra Turchia e Siria. "Se potessimo entrare con gli aiuti umanitari direttamente dalla Turchia impiegheremmo molto meno tempo, invece dobbiamo percorrere migliaia di chilometri in Iraq vicino alle zone controllate dall’Is", spiega anche Domenico Chirico, presidente della Ong "Un ponte per", pure attiva nell’area del Rojava.
La carovana si muove sulla base di un appello internazionale per l’apertura di un corridoio umanitario e per la ricostruzione di Kobane firmato da centinaia di personalità, tra parlamentari, giuristi, professori, associazioni. Il d-day dovrebbe essere il 15 settembre, quando gli attivisti tenteranno di entrare a Kobane per portare gli aiuti. In caso di apertura del ‘gate’ che porta alla città, terranno anche una manifestazione al confine con conferenza stampa. Per il 16 settembre è in programma un incontro con le autorità curde della regione, dall’Hdp (Partito Democratico dei Popoli) al Dtk (il Congresso) e il Dbp (Partito regionale Democratico).

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!