domenica 27 settembre 2015

Messico - Per il dolore, per la rabbia, per la verità, per la giustizia


PER IL DOLORE, 
PER LA RABBIA,

PER LA VERITA’, 
PER LA GIUSTIZIA

Settembre 2015

Compagne, compagnei e compagni della Sexta del Messico e del Mondo:


Sorelle e fratelli dei popoli della Terra:



Sa il nostro collettivo cuore, di prima e di ora, che il nostro dolore non è lamento sterile.

Sa che la nostra rabbia non è sfogo inutile.

Sappiamo che siamo ciò che siamo, che i nostri dolori e rabbie nascono e si alimentano a partire da menzogne e ingiustizie.

Perché chi sta di sopra ai danni di noi che siamo ciò che siamo, mente come modalità di far politica e adorna la morte, la sparizione forzata, il carcere, la persecuzione e l’assassinio con lo scandalo della sua corruzione.

E’ criminale per legge e senza vergogna chi sopra sta, al di là del colore della sua politica. Al di là che pretenda di nascondersi dietro a un cambio di nome e di bandiera.

Sempre lo stesso volto, la stessa superbia, la stessa ambizione e la stessa stupidità.

Come se facendo sparire e assassinando volessero anche far sparire e assassinare la memoria.

Da sopra e da coloro che lì annidano le loro perversioni e bassezze, riceveremo soltanto la menzogna come salario e l’ingiustizia come stipendio.

Puntuali giungono l’ingiustizia e la menzogna, tutti i giorni, a tutte le ore, in tutti i luoghi.

Non li sazia il sottrarci lavoro, vita, terra, natura.

Ci rubano anche chi è con noi: figli, figlie, sorelle, fratelli, padri, madri, familiari, compagni, amiche e amici.

Perseguita chi sopra sta. Incarcera. Sequestra. Fa scomparire. Uccide.

Non pone fine soltanto ai corpi, alle vite.

Distrugge anche storie.

Sulla smemoratezza costruisce chi sta sopra la sua impunità.

L’oblio è il giudice che non solo lo assolve, ma lo premia pure.

Perciò, e per altro, i nostri dolori e rabbie cercano la verità e la giustizia.

Presto o tardi impariamo che non si trovano da nessuna parte, che non c’è libro, né discorso, né sistema giuridico, né istituzione, né promessa, né tempo, né luogo per esse.

Che bisogna costruirle, impariamo.

Come se il mondo non fosse ancora completo, come se un vuoto gli ferisse il ventre, lacerato il cuore del colore che siamo, della Terra.

Così impariamo che senza verità e senza giustizia, non c’è giorno completo né notte. Non trova mai pace il calendario, non riposa la geografia.

In molte lingue, idiomi, segni, nominiamo chi manca.

E ogni dolore e ogni rabbia prende un nome, un volto, una storia, un vuoto che fa male e indigna.

Il mondo e la sua storia si riempiono così di assenze.

E queste assenze si fanno mormorio, parola forte, grido, ululato.

Non gridiamo per lamento. Non piangiamo di pena. Non mormoriamo per rassegnazione.

E’ perché chi manca trovi la strada del ritorno.

Perché sappiano che ci sono, anche se mancano.

Perché non dimentichino che non dimentichiamo.

Per questo: per il dolore, per la rabbia, per la verità, per la giustizia.

Per Ayotzinapa e tutti gli Ayotzinapa che feriscono i calendari e le geografie di sotto.

Per questo la resistenza.

Per questo la ribellione.

Perché arriverà il tempo in cui pagheranno tutto ciò che ci devono.

Pagherà chi ha perseguitato, pagherà chi ha incarcerato, pagherà chi ha picchiato e torturato. Pagherà chi ha imposto la disperazione della sparizione forzata. Pagherà chi ha ucciso.

Perché il sistema che ha creato, alimentato, coperto e protetto il crimine che si veste di malgoverno, sarà distrutto. Non imbellettato, non riformato, non modernizzato: demolito, distrutto, terminato, sepolto sarà.

Per questo in questo momento il nostro messaggio non è di consolazione né di rassegnazione per chi è addolorato per una o molte assenze.

Di rabbia è il nostro messaggio, di accoramento.

Perché conosciamo lo stesso dolore.

Perché abbiamo nelle viscere la stessa rabbia.

Perché, essendo differenti, così ci assomigliamo.

Per questo la nostra resistenza, per questo la nostra ribellione.

Per il dolore e la rabbia.

Per la verità e la giustizia.


Per questo:
Non claudicare. Non vendersi. Non arrendersi.

Per questo:

Verità e Giustizia!


Dalle montagne del sudest messicano

Subcomandante Insurgente Moisés                            Subcomandante Insurgente Galeano



In un angolo del pianeta chiamato “Terra”, settembre 2015
Questo 26 settembre, migliaia di zapatisti, bambini, bambine, giovani, donne, uomini, altrei, anziani e anziane, vivi e morti, manifesteranno nei nostri territori per abbracciare in questo modo tutte le persone che sentono dolore e rabbia a causa del carcere, della sparizione e della morte imposti da chi sta sopra.

Le abbracceremo anche perché così ci abbracceremo noi zapatisti.

E così chiamiamo tutte le persone oneste e integre del pianeta perché facciano lo stesso, nei loro calendari e geografie, secondo i loro tempi e modi.

Perché finché si vorrà supplire con le menzogne e i raggiri alla mancanza di verità e giustizia, l’umanità continuerà a essere solo una smorfia grottesca sulla faccia della Terra.


Traduzione a cura dell’Associazione Ya Basta! Milano

domenica 13 settembre 2015

Kurdistan - Kobane. Partita dall’Italia la prima carovana internazionale

E’ iniziata la Carovana Internazionale per Kobane. Un’iniziativa a cui parteciperanno attivisti, esponenti di sindacati e partiti da tutta Europa per affermare che non si può più attendere: il confine tra la Turchia e la zona della Siria in cui si trova Kobane va aperto.

La Carovana arriva in Turchia in giorni molto tesi caratterizzati dagli attacchi alla popolazione civile curda e dalla scelta di Erdogan di continuare i bombardamenti contro il PKK in Iraq. Siamo nello scenario che si avvicina ai primi di novembre, data delle elezioni e il "sultano" cerca di far di tutto, creando un clima di paura e tensione, per riguadagnare i voti persi alle ultime elezioni. Una situazione quella turca che si inserisce in un quadrante geopolitico complesso dove, come vediamo in questi giorni, anche l’esodo di chi sfugge dalle guerre diventa occasione di giocarsi un ruolo internazionale e dove il muoversi delle potenze vecchie e nuove configura alleanze e scontri, come sta succedendo sulla questione dell’intervento russo a fianco di Assad.
Per seguire la cronaca della carovana vai a: www.tpo.bo.it - Uikionlus
Seconda giornata degli attivisti di Ya Basta! Bologna sul confine turco-siriano, verso la Carovana Internazionale in Kurdistan.
La delegazione di Ya Basta Bologna si trova in Turchia per consegnare un carico di materiale sanitario alla popolazione della città di Kobane nell’ambito della Carovana Internazionale in Kurdistan e per monitorare il progetto Rojava Playgrounds in collaborazione con la Municipalità della città di Suruç.
Suruç 10 settembre 2015
Sono sette giorni che la città curda di Cizre è sotto assedio da parte dell’esercito turco.
I cecchini turchi posti sui tetti delle case aprono il fuoco sui civili ferendo donne, bambini e chiunque abbia tentato di violare il coprifuoco al fine di trovare qualcosa da mangiare.
“Non c’è acqua, né elettricità da una settimana; i forni sono stati chiusi e non è possibile uscire da casa. Hanno interrotto tutte le vie di comunicazione. Chi è lì riesce a postare foto e video sui social-network solo attraverso i propri cellulari, ma quando bloccheranno anche queste connessioni non saremo più in grado di avere notizie di cosa sta accadendo”.
Nel frattempo Demirtas (copresidente di HDP) ed una delegazione di parlamentari del suo stesso partito sono stati bloccati nelle vicinanze di Cizre. Con una lunga carovana di autobus e auto hanno cercato di entrare nella città per bloccare questo massacro.
Dopo il primo tentativo hanno deciso di continuare la loro marcia a piedi, con la consapevolezza che entrare a Cizre significa lottare per l’umanità. Sono stati attaccati con lanci di gas lacrimogeni.
Ma la determinazione e la tenacia dei cittadini e dei deputati dell’HDP ha permesso proprio in questo momento, mentre scriviamo l’articolo, di rompere l’assedio ed entrare a Cizre.
Municipio nel nord della Mesopotamia, alle sorgenti del Tigre, Cizre è sempre stata una delle roccaforti delle lotte per la rivendicazione dei diritti del popolo curdo.

Dieci giorni fa Cizre aveva dichiarato la propria autonomia confederale mettendo in pratica il confederalismo democratico teorizzato da Ocalan.
 La risposta del governo turco è stata un assedio militare alla città e l’imposizione del coprifuoco.
Nella lunga discussione avvenuta nella sede del DBP, ci confrontiamo anche sulla situazione che vivono le città del confine a ridosso della Siria, impegnate a sostenere la resistenza del Rojava ma anche i contraccolpi di una guerra violentissima. A Suruç negli ultimi mesi, dopo la liberazione di Kobane, i campi profughi si stanno ormai svuotando. La Municipalità ha ancora in gestione tre campi che vedono la presenza di 150 famiglie. Ma tra il grande campo Afad (gestito dal Governo turco) e i molti profughi ancora ospiti nelle case e nei villaggi circostanti, a Suruç sono ancora presenti 45.000 persone, mentre negli ultimi due anni sono state 250.000 le persone che hanno trovato rifugio in questa città curda.
Proprio partendo dal grande sforzo che Suruç ha fatto, gli amministratori del Comune ci chiedono perché l’Europa non accolga e non riconosca il diritto d’asilo a chi fugge dalla Siria. “Quanti bambini come Alan Curdi devono morire ancora perché ci sia una presa di posizione netta e risolutiva dei Paesi dell’Unione Europea affinché si creino corridoi umanitari per evitare in futuro le stragi che abbiamo visto nei nostri mari?”.
Ma con loro non potevamo non parlare della strage del centro culturale Amara. Mehmet Kosti era presente il 20 luglio al momento dell’esplosione del kamikaze e ci spiega perché è stato scelto quel momento per colpire. “Uccidendo 32 ragazzi e ragazze turche, della Federazione Socialista dei Giovani Rivoluzionari venuti a portare solidarietà ai bambini di Kobane si voleva contrastare l’idea delle relazioni solidali tra i popoli. Se invece avessero voluto fare una strage colpendo indistintamente la solidarietà al Rojava avrebbero potuto colpire il giorno prima, quando erano scesi in piazza a Suruç 50mila cittadini in sostegno al Rojava".
Affidiamo la conclusione di questo nostro secondo report alle parole di Mehmet Kosti, coopresidente del Partito Democratico Regionale:
"Il progetto portato avanti dall’HDP mira a dimostrare che diverse culture possono convivere anche nell’ovest della Turchia, e sta riscuotendo successo. In queste regioni s’è infatti riscontrato l’appoggio di turchi, aleviti, sunniti ed altre minoranze. Il risultato positivo di questo progetto sta attirando le poco amichevoli attenzioni di chi invece crede ancora fortemente nello stato nazione a base etnica turca. Attenzioni che si traducono in attacchi alle sedi dell’HDP, ai sostenitori del partito ed indiscriminatamente al popolo curdo in generale., esattamente come trent’anni fa (quando la questione curda era al centro della politica in Turchia con la richiesta di un Kurdistan indipendente).
Oggi il Governo turco sta usando gli stessi metodi, applicazione del coprifuoco in diverse località, tra cui Cizre.
Proprio a Cizre sta avvenendo il più chiaro esempio del massacro di civili nel Kurdistan Turco, la città è assediata da 6 giorni, nessuno può entrare o uscire, si hanno notizie frammentate se non della continua moria di civili e bambini.
Come voi sapete, una delegazione di nostri parlamentari (Hdp) ed una parte di popolazione stanno provando a raggiungere la città a piedi dopo che la polizia ha bloccato i mezzi con cui viaggiavano verso Cizre. Ma anche la marcia a piedi è stata fermata in mezzo alla campagna con gas lacrimogeni e circondando i deputati dell’HDP.
A Cizre non c’è eletticità nè acqua, le farmacie sono chiuse, i forni anche. Riceviamo queste notizie sui social network ma, ovviamente ci sono anche problemi con la connessione ad internet.
La maggior parte degli aggiornamenti arriva tramite l’uso di reti mobili, ma temiamo che con l’interruzione anche di questo servizio le già scarse comunicazioni con l’interno della città s’interromperanno del tutto.
Una delle notizie più strazianti che ci hanno mandato è l’immagine di una madre che per evitare l’avanzare della decomposizione del cadavere di sua figlia l’ha prima protetto con del ghiaccio per poi metterlo in freezer, il tutto perché il fuoco dei cecchini impedisce di seppellire i morti, e ci giungono informazioni che suggeriscono che questo non sia un caso isolato.
Ci sembra che questo sia un attacco all’onore dell’umanità, un crimine contro l’umanità.
E a tutta l’umanità ci rivolgiamo, non a singoli colori, popoli o religioni, ma tutti coloro che lottano per l’umanità e che vogliono difenderla devono far sentire la propria voce in favore di Cizre.
Chi si definisce un essere umano, chi lotta per l’umanità, chi per i diritti fondamentali deve oggi lottare anche per Cizre
Lo stanno facendo le tante persone scese nelle piazze turche, stanno dando voce a quella madre che non riesce a seppellire la sua bambina.
Noi curdi subiamo massacri e torture ma non smetteremo di chiedere la pace.
Anche qui nel Kurdistan turco seguiremo l’esempio della rivoluzione del Rojava, pur continuando a lottare non schiacceremo sotto i nostri piedi la dignità umana e continueremo a difendere la pace, consci che se continueranno a verificarsi attacchi saremmo costretti a difenderci e a dar vita a processi d’ auto organizzazione e di autonomia."

Kobane. In partenza dall’Italia la prima carovana internazionale: la Turchia apra un corridoio umanitario
Angela Mauro - L’Huffington Post | Di Angela Mauro
Una settantina di attivisti italiani più una delegazione internazionale. E’ la prima carovana internazionale per Kobane. O meglio per quell’area di confine a sud-est della Turchia, lungo le frontiere con la Siria. Obiettivo: chiedere al governo turco l’apertura di un corridoio umanitario per Kobane, epicentro della battaglia dei curdi contro l’Isis. Partenza fissata per l’11 Settembre, ritorno il 17 settembre. Nella valigia, anche la speranza di arrivarci a Kobane per portare solidarietà all’esercito curdo. L’iniziativa è stata presentata oggi alla Camera in una conferenza stampa degli attivisti e dei parlamentari di Sel impegnati nell’iniziativa. Viaggio che sa anche di avventura, ora che il governo turco, con l’appoggio internazionale, ha dichiarato guerra ai curdi (formalmente quelli del Pkk) e non solo all’Isis.
La lotta del popolo curdo contro l’Isis dovrebbe essere una battaglia di tutta l’umanità”, dice Mehmet Emin Gulmez, rappresentante della comunità curda a Roma, nell’incontro con i giornalisti. “Vorrei ringraziare gli attivisti italiani, i volontari che sono lì ma soprattutto l’esercito curdo che sta resistendo”. “Chiediamo l’apertura di un corridoio umanitario perché Kobane riceva gli aiuti molto spesso bloccati alla frontiera dai turchi”, spiega Amedeo Ciaccheri, consigliere del Municipio VIII a Roma e rappresentante della rete ‘Rojava calling’ che ha già inviato staffette di volontari e anche personale medico volontario sul confine tra Turchia e Siria. "Se potessimo entrare con gli aiuti umanitari direttamente dalla Turchia impiegheremmo molto meno tempo, invece dobbiamo percorrere migliaia di chilometri in Iraq vicino alle zone controllate dall’Is", spiega anche Domenico Chirico, presidente della Ong "Un ponte per", pure attiva nell’area del Rojava.
La carovana si muove sulla base di un appello internazionale per l’apertura di un corridoio umanitario e per la ricostruzione di Kobane firmato da centinaia di personalità, tra parlamentari, giuristi, professori, associazioni. Il d-day dovrebbe essere il 15 settembre, quando gli attivisti tenteranno di entrare a Kobane per portare gli aiuti. In caso di apertura del ‘gate’ che porta alla città, terranno anche una manifestazione al confine con conferenza stampa. Per il 16 settembre è in programma un incontro con le autorità curde della regione, dall’Hdp (Partito Democratico dei Popoli) al Dtk (il Congresso) e il Dbp (Partito regionale Democratico).

Kurdistan - La KCK invita tutto il popolo del Kurdistan a insorgere dovunque

La KCK invita tutto il popolo del Kurdistan a insorgere dovunque
La Co-Presidenza del Consiglio Direttivo della KCK (Unione delle Comunità del Kurdistan) ha rilasciato una dichiarazione che invita alla resistenza totale contro il crescente terrorismo in corso da parte delle forze di Stato turche nel Kurdistan settentrionale, la regione curda in Turchia.

Sottolineando che il popolo di Cizre dovrebbe essere sostenuto allo stesso modo in cui la resistenza di Kobanê è stata appoggiata, la KCK ha invitato la gente ad agire in linea con l’invito dell’Iniziativa del Popolo del Kurdistan per una lunga Marcia della Libertà a Cizre, mettendo in evidenza il sostegno a questo invito avanzato in solidarietà con il popolo della città, sotto attacco da parte delle forze di Stato turche.

Descrivendo la situazione a Bakurê Kurdistan (settentrionale) e in Turchia come un attacco per far arrendere il popolo curdo, la KCK ha ricordato che tra i 5 e i 6 civili sono stati uccisi ogni giorno durante l’ultimo mese e mezzo, nel corso del quale un certo numero di città della regione sono state demolite e distrutte da attacchi con armi pesanti.

martedì 8 settembre 2015

Messico - Il Rapporto degli Esperti Indipendenti su Ayotzinapa smentisce le versioni del Governo


Mentre in Messico e nel mondo ci si stanno preparando le mobilitazioni del 26 settembre prossimo, ad un anno dall’agguato di Iguala, sta facendo scalpore la presentazione del Rapporto finale curato dal Gruppo Interdisciplinare di Esperti Indipendenti (GIEI), frutto di mesi di ricerca ed indagini, inviato dalla Commissione Interamericana dei Diritti Umani.
La lunga analisi, avvallata dai familiari degli scomparsi, smentisce le versioni ufficiali del governo secondo cui i 43 corpi sarebbero stati bruciati in una discarica e le ceneri gettate nel fiume, ipotesi ampiamente criticata poiché giustifica l’assenza di prove e non fornisce spiegazioni sui mandanti e le motivazioni del crimine, entrambi elementi in cui invece é evidente la pesante responsabilità delle istituzioni e dello Stato.
In secondo luogo, il Rapporto avanza una nuova ipotesi legata all’uso degli autobus di linea per il trasporto di eroina tra lo stato del Guerrero (zona di produzione dell’oppio) e gli USA. Potrebbe dunque essere il controllo degli autobus su cui si spostavano gli studenti, o il loro carico occulto, a motivare la violenza scatenata contro di loro.
A fine luglio l’assassinio del reporter fotografo Ruben Espinosa, dell’attivista Nadia Vera, uccisi e torturati in un appartamento a Città del Messico, insieme a Ysenia Quiroz Alfaro e Nicole Simon e Alejandra, hanno scosso l’opinione pubblica nazionale ed internazionale. Ruben era un reporter e fotografo impegnato in particolare a denunciare la repressione dei movimenti sociali e l’attacco ai giornalisti nello stato di Veracruz Nadia era anch’essa impegnata a sostenere la libertà d’informazione. 
Nello stato di Veracruz, da quando c’è al governo Javier Duarte de Ochoa sono stati ammazzati 14 giornalisti, che si sono aggiunti alla lunga lista che fa del Messico uno dei paesi in cui è più pericolosa l’attività giornalistica, sia ufficiale che come freelance indipendente.

domenica 6 settembre 2015

Kurdistan - YPG dichiara la risoluzione finale della Conferenza sulla resistenza di Kobanê

YPG dichiara la risoluzione finale della Conferenza sulla resistenza di Kobanê
Si è chiusa la conferenza delle YPG sulla resistenza di Kobanê.

Forze militari affiliate al Comando delle YPG di Kobanê, hanno organizzato un una conferenza sulla resistenza nella regione di Kobanê svoltasi con lo slogan “Organizziamoci sulla base della resistenza di Kobanê e guidiamo la costruzione di una Siria democratica.”

215 delegati hanno partecipato alla conferenza tenuta dal comando YPG di Kobanê tra il 23 agosto e il 1 settembre, che ha discusso esclusivamente la dimensione politica, di lotta e organizzativa della resistenza e ha raggiunto importanti decisioni.
La risoluzione finale della conferenza è stata rilasciata sul sito ufficiale YPG, che ha dichiarato:
‘La vittoria della resistenza di Kobanê è diventata la base per il radicamento e l’invincibilità della rivoluzione in Rojava. Allo stesso tempo è diventato un passo significativo nello sviluppo democratico della Rivoluzione siriana.’
Secondo la risoluzione finale la conferenza ha fatto una valutazione sugli sviluppi politici e militari in Medio Oriente, il Kurdistan e la scena internazionale; una constatazione sui problemi organizzativi tattici e militari nel 2014/15 sulla battaglia e la resistenza diKobanê e ha stabilito i punti all’ordine del giorno sulla base della critica, autocritica e delle decisioni prese.

‘La Resistenza di KOBANE è diventata la base per il radicamento e invincibilità della Rivoluzione in Rojava’
La risoluzione finale della conferenza ha sottolineato che il territorio del Medio Oriente è diventato il centro di scontri intensi e allo stesso tempo anche delle possibili soluzioni, nelle quali hanno partecipato attivamente tutte le forze globali, regionali, locali e sociali al processo storico in corso.

I poteri egemonici internazionali continuano a mantenere lo stato di guerra per ristrutturare il Medio Oriente sulla base dei propri interessi, e di prolungare questo periodo attraverso nuovi equilibri e modalità, la risoluzione finale ha dichiarato che le forze sociali democratiche emerse nel corso di questo processo ha combattuto contro la situazione di conflitto nella regione.
Descrivendo la rivoluzione della regione democratica del Rojava come l’unica alternativa emergente per il sistema statale siriano, la risoluzione finale ha inoltre dichiarato che la rivoluzione del Rojava è diventata una rivoluzione che riguarda non solo le popolazioni locali, ma anche tutti i popoli del mondo.

giovedì 20 agosto 2015

Kurdistan - Teniamo alta l’attenzione (non solo sugli accadimenti clamorosi)


di Ivan Grozny
Iskenderpasa è l’antico quartiere della città di Dyarbakir. Abitato esclusivamente da curdi, ospita la Moschea, la biblioteca, un suk colorato, naturalmente dentro le antiche mura. C’è una sola breccia nell’antica fortificazione dovuta all’unico tentativo di distruzione andato a buon fine da parte del governo di Ankara. Una storia di tanti anni fa.
C’è una gigantografia di Ataturk al suo posto che dà sulla piazza principale della città. E vedere in una piazza così grande, in pieno pomeriggio, un elicottero militare “sostare” a mezza altezza sopra le teste delle persone appare un po’ inquietante. Ci si prepara alla sera dove puntualmente come da parecchi mesi ormai ci sono conflitti a fuoco tra la polizia e gli abitanti del quartiere. Siamo nel Kurdistan turco, non in Siria. Dyarbakir è l’antica capitale di questo Paese che non c’è più, il Kurdistan appunto.
Una popolazione di duecentocinquantamila civili e novantamila tra soldati e poliziotti, collocati in un quartiere apposito dove vivono in appartamenti poco lontano dall’aeroporto. E soprattutto in questi giorni, non solo li si trova a ogni incrocio e fuori da ogni porta della città, ma tentano sortite anche a Iskenderpasa. Sassate contrapposte a colpi d’arma da fuoco. Il governo ha varato un piano per il rilancio del turismo in città e sostenendo la pericolosità del quartiere pretenderebbe di sgomberarlo. Ci vivono migliaia di famiglie. E’ chiaro che è un pretesto per forzare ed entrarci.

mercoledì 19 agosto 2015

Messico - Da sopra, mai e poi mai arriveranno la verità e la giustizia.


ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE


MESSICO

16 Agosto 2015

Alla Sexta Nazionale e Internazionale:

Al Congresso Nazionale Indigeno:

A quelle e quelli di sotto nel mondo:

A chi di dovere:

Una volta di più si sottolinea che, da sopra, non arriveranno la verità e la giustizia.

Mai.

E poi mai.

Da sopra bisogna solo aspettarsi simulazione, inganno, impunità, cinismo.

Il criminale di sopra riceverà sempre assoluzione e ricompensa. Perché chi lo giudica è lo stesso che lo paga. Sono gli stessi criminali e giudici. Sono teste velenose della stessa Idra.

E ora ne abbiamo un nuovo esempio.

Come zapatisti che siamo, ci siamo accorti che, belli grassi e contenti, sono tornati alle loro case nel villaggio de La Realidad due degli autori intellettuali dell’assassinio del compagno maestro Galeano. In teoria, sono stati arrestati per l’assassinio del nostro maesto e compagno. Sappiamo già che sono stati dichiarati innocenti dagli stessi che li hanno finanziati e appoggiati: il governo federale e quello statale del Chiapas. L’autodenominato “giudice” Víctor Manuel Zepeda López, del ramo penale di Comitán de Domínguez, Chiapas, il giorno 12 agosto di quest’anno, ha sentenziato che i signori Carmelino Rodríguez Jiménez e Javier López Rodríguez sono innocenti, nonostante essi e i loro complici della CIOAC-Histórica sappiano di essere colpevoli di aver organizzato il crimine. Non sono gli unici, ma lo sono anche loro.

Di nascosto li hanno riportati a La Realidad. Gli hanno detto di non mostrarsi troppo e di essere discreti, ma la superbia di chi si sa impune dinanzi alla giustizia di sopra, gli ha sciolto la lingua. E dichiarano, a chi li voglia ascoltare, che non sono stati arrestati, bensì protetti in una casa in cui hanno ricevuto tutte le attenzioni e le congratulazioni del governo statale di Manuel Velasco e dei leader della CIOAC-Histórica per l’assassinio del maestro Galeano, e che è stato loro detto che avrebbero dovuto aspettare qualche tempo prima di tornare al loro villaggio e “proseguire con ciò che è rimasto in sospeso”.

Ora manca che se ne escano a dichiarare in loro favore i loro complici: Pablo Salazar Mendeguchía, Luis H. Álvarez, Jaime Martínez Veloz, Juan Sabines Guerrero, Manuel Velasco, Manuel Culebro Gordillo, Vicente Fox, Felipe Calderón, Enrique Peña Nieto e Rosario Robles. Queste persone sono alcune di quelle che hanno addomesticato la CIOAC-Histórica e l’hanno convertita in ciò che è ora: una banda paramilitare utile a raccattare voti e assassinare lottatori sociali.

Manca anche che i giornalisti prog li intervistino e li presentino come vittime del “feroce” Galeano (lui solo contro più di due dozzine di criminali cioaquisti), rieditino la menzogna di uno scontro, pubblichino le sue foto contraffatte, e riscuotano con la mano destra il servizio prestato, automezzi con autista inclusi, mentre nei loro media esaltano il “grande” sviluppo del sudorientale stato messicano del Chiapas e, con la mano sinistra, celebrano il loro “impegno nelle lotte sociali”.

Ma…

Come zapatisti che siamo, guardiamo e ascoltiamo non soltanto la nostra rabbia, il nostro risentimento, il nostro odio contro chi là sopra si sente padrone e signore di vite e destini, di terre e sottosuoli, e contro chi si vende, con i suoi movimenti e organizzazioni, tradendo la propria storia e i propri principi.

Come zapatisti che siamo, guardiamo e ascoltiamo anche altri dolori, altre rabbie, altri odi.

Guardiamo e ascoltiamo il dolore e la rabbia, che si fanno reclamo nei familiari di migliaia di desaparecid@se assassinati nazionali e migranti.

Guardiamo e ascoltiamo la tenace ricerca di giustizia dei familiari dei bambini e delle bambine assassinati nell’asilo ABC in Sonora.

Guardiamo e ascoltiamo la rabbia che si fa degno e ribelle sciopero della fame delle e degli anarchici arrestati in Messico e in altre parti del mondo.

Guardiamo e ascoltiamo la rabbia nei passi instancabili dei familiari dei 47assenti di Ayotzinapa.

Guardiamo e ascoltiamo la rabbia nel popolo fratello Nahua di Ostula, aggredito dall’esercito.

Guardiamo e ascoltiamo la rabbia nel popolo fratello Ñahtó di San Francisco Xochicuautla per la spoliazione dei suoi boschi.

Guardiamo e ascoltiamo la rabbia del popolo fratello Yaqui per gli arrestati ingiustamente e per il saccheggio sfacciato del suo territorio.

Guardiamo e ascoltiamo la rabbia per la farsa che è l’indagine per l’assassinio di Olivia Alejandra Negrete Avilés, Yesenia Atziry Quiroz Alfaro, Nadia Dominicque Vera Pérez, Mile Virginia Martin Gordillo y Rubén Espinosa Becerril, a Città del Messico.

Guardiamo e ascoltiamo la rabbia degli insegnanti democratici che resistono alla guerra mediatica, poliziesca e militare di cui soffrono per il delitto di non arrendersi.

Guardiamo e ascoltiamo l’indignazione di chi, nel nord sconvolto e brutale, è attaccato per il colore della propria pelle e per tale colore riceve una sentenza di condanna.

Guardiamo e ascoltiamo la rabbia e il dolore per le donne scomparse, assassinate per il delitto di essere donne; per le diverse e i diversi attaccati perché il Potere non tollera quel che non rientra nel suo ristretto modo di pensare; per l’infanzia che è annullata senza che nemmeno gli venga dedicata una cifra nelle statistiche della macroeconomia.

Guardiamo e ascoltiamo che si ricevono solo menzogne e beffe da chi dice di amministrare la giustizia e in realtà amministra soltanto l’impunità e fomenta il crimine.

Guardiamo e ascoltiamo dappertutto le stesse promesse di verità e giustiza, e le stesse menzogne. Non cambiano più nemmeno le parole, come ci fosse già uno scritto che leggessero, e male, tutti quelli di sopra.

E’ ormai il tempo in cui, quando chi sta sotto chiede perché lo si attacca, la risposta di chi sta sopra è “per essere ciò che sei“.

Perché in questo mondo che compatiamo, il criminale è libero e il giusto è incarcerato. Chi ammazza è premiato e chi muore è calunniato.

Ma guardiamo e ascoltiamo che ogni volta sono di più le voci che non si fidano, che non lasciano fare, che si ribellano.

Noi, come zapatiste e zapatisti che siamo, non ci fidavamo prima, né ci fidiamo ora, né ci fideremo poi di chi sta sopra, qualunque sia il colore della sua bandiera, qualunque sia il suo modo di parlare, qualunque sia la sua razza. Se sta di sopra, ci sta perché opprime chi sta sotto.

Non è di parola chi sta sopra, non ha onore, non ha vergogna, non ha dignità.

Da sopra, mai e poi mai arriveranno la verità e la giustizia.

Dovremo costruirle dal basso. E allora il criminale pagherà finché saranno pareggiati i conti.

Perché ciò che non sanno di sopra, è che ogni crimine impunito non fa che esacerbare l’odio e la rabbia.

E ogni ingiustizia commessa non fa che aprire la strada affinché quell’odio e quella rabbia si organizzino.

E sulla bilancia dei nostri dolori, peseremo quel che ci devono.

E presenteremo il conto… e lo incasseremo.

Allora avremo, sì, la verità e la giustizia. Non come un’elemosina di sopra, ma come una conquista di sotto.

Il carcere sarà allora per i criminali e non per i giusti.

E la vita, degna, giusta e in pace, sarà per tutte e tutti.

Questo, solo questo.

Dalle montagne del Sudest Messicano

Subcomandante Insurgente Moisés                             Subcomandante Insurgente Galeano

Messico, agosto 2015



Traduzione a cura dell’Associazione Ya Basta! Milano

sabato 15 agosto 2015

Messico: “Non ci abitueremo alla violenza”

Dal Chiapas il discorso della madre di Nadia rivolto al governo messicano, agli investigatori e alla società. Tante le perplessità e le domande circa la morte della figlia, di Rubén Espinosa e di altre tre donne a Città del Messico.

La nostra Nadia, “in difesa della memoria”
Mirtha Luz Pérez Robledo
DICHIARAZIONE PUBBLICA
AL GOVERNO FEDERALE
AL GOVERNO DEL DF
AL GOVERNO DELLO STATO DI VERACRUZ
ALLE ISTITUZIONI INCARICATE DELLA PROTEZIONE DEI DIRITTI UMANI
ALLA SOCIETÀ MESSICANA
ALLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE
Cosa si può dire quando ti hanno rapito il cuore? Le parole si rompono, si disperdono. Non sai se ciò che è successo corrisponda davvero a ciò che senti. Va via la parola amore. Va via la parola generosità. Vanno via le parole con cui abitualmente parli, operi, ti comporti, ti costruisci. Vanno via le parole che ti abitano e smetti di abitare le parole. Allora rimani muta, pietrificata, immobile, annullata, umiliata, si cancella il tuo orizzonte, ti cancelli, poco a poco cominci a cancellare te stesso.
1. La tragedia
Il pomeriggio del giorno sabato primo agosto, attraverso i mezzi di comunicazione, e non delle autorità, abbiamo saputo dei tragici fatti in cui ha perso la vita la nostra cara Nadia insieme ad altre 4 persone. Nadia Dominique Vera Pérez viveva dal febbraio del 2015 nell’appartamento 401 dell’edificio ubicato nella strada Luz Saviñon 1909, della colonia (zona) Navarte in cui avvennero gli incresciosi fatti. Nadia era arrivata a Città del Messico dopo aver vissuto 12 anni nella città di Xalapa, perché “non si sentiva più sicura”.
Lei, stava per andarsene alla Città di Cuernavaca per un’offerta di lavoro. Se ne sarebbe andata il giorno domenica 2 agosto e infatti lo avevo detto ai suoi amici e familiari il mercoledì 29 luglio. Anche le ragazze che vivevano lì stavano per lasciare l’appartamento.
2. Chi era Nadia Dominique Vera Pérez?
Nadia è nata a Comitán, Chiapas, l’8 febbraio 1983. Nel 2001 iniziò a studiare nella Facoltà di Scienze sociali della UNACH della città di San Cristóbal de las Casas, che abbandonò per continuare gli studi a Xalapa nella Facoltà di Antropologia dell’Universidad Veracruzana.
Nadia era direttrice, produttrice e promotrice culturale in Messico, specialmente nel campo delle arti sceniche. La sua attività culturale fu sempre legata alla difesa dei diritti umani, della libertà di espressione e dei diritti degli animali. Appoggiò anche il movimento #YoSoy132, il magistero, nella difesa contro le aggressioni a giornalisti, il Comitato Universitario di Lotta dell’Universidad Veracruzana, quello in difesa per il petrolio, quello dei 43 normalisti scomparsi ad Ayotzinapa.
Nadia praticava un’attività politica molto energica a favore dei diritti umani a partire dalla cultura e l’arte. Queste due attività furono fondamentali per lei e le unì in ogni passo della sua vita. Svolse l’attività di produttrice generale e direttrice di diversi festival, attività nazionali e internazionali. Credeva fermamente nel potenziale delle arti per la trasformazione sociale del Messico e agiva di conseguenza. Nadia era anche, è, nostra figlia, nostra sorella, zia, cugina; un pezzo del nostro cuore.
3. Il proseguimento delle indagini
Al dolore per la perdita di Nadia, la violenza che dovette subire, si somma la violenza istituzionale quando constatiamo che manca limpidezza nella gestione del caso da parte del Procura Generale della Giustizia del Distretto Federale:
Fin dall’inizio l’informazione si è diffusa in modo extraufficiale, frammentata e contraddittoria attraverso i mezzi di comunicazione e il Procura non si è esposto per pronunciarsi su questo punto.
Si dice…
Che Nadia era fidanzata del reporter Rubén Espinosa, cosa falsa in quanto Nadia e Rubén erano amici e si conobbero quando entrambi vivevano a Xalapa, Veracruz, e collaborarono nel Festival 4X4.
Che avevano assassinato il reporter Rubén Espinosa e 4 donne, senza darci l’informazione completa di chi erano le vittime, nonostante fossero state trovate nel luogo in cui vivevano.
Che un testimone dichiarò che le vittime avevano consumato una festa con i loro carnefici. Quasi subito questa informazione è stata smentita e si è passati a informare che i fatti accaddero tra le 14 e 15, enfatizzando che Nadia e Rubén erano stati in un bar all’alba.
Che le altre vittime erano Yesenia Quiroz, truccatrice, Olivia Alejandra Negrete Avilés, collaboratrice domestica e, poi, una cittadina colombiana della quale si confusero nome e foto fintanto che, solo qualche giorno dopo, si conobbe la sua identità, si trattava di Mile Virgina Martin. Cioè, si enfatizzarono occupazione, nazionalità, sesso e abitudini delle vittime, contribuendo a stigmatizzarle.
Che le telecamere dell’edificio non funzionavano ma che ci si affidava a telecamere vicine. Tuttavia, in seguito è stato reso noto un video che mostrava l’uscita dei presunti assassini dall’appartamento, ma non il loro arrivo.
Che gli assassini fuggirono in un’auto modello Mustang rossa che fu abbandonata a Coyoacán, con varie contraddizioni sulla proprietà del suddetto veicolo e la probabile connessione con attività illecite in anni precedenti.
Che tutte le vittime furono assassinate da un proiettile di arma da fuoco e che si utilizzò un cuscino per silenziare il rumore.
Che filtrarono, attraverso i mezzi di comunicazione, fotografie sullo stato in cui versavano le vittime, ferendo ancora di più la loro memoria e quella delle famiglie.
Per quanto precedentemente detto, e alla luce del nostro diritto alla verità e giustizia in quanto parenti di Nadia, abbiamo molte domande per il Procura della Giustizia del DF, istituzione dalla quale aspettiamo ancora risposte:
Perché si afferma che i fatti avvennero ad un’ora (3 del pomeriggio) e nella parte forense si afferma che il decesso avvenne alle 21?
Quali dichiarazioni rilevanti hanno fatto i testimoni chiave sul caso?
Perché l’attività di Nadia come attivista non è contemplata come un fatto che la collocava in situazione di vulnerabilità?
Perché non si è preso in considerazione il contesto di violenza e insicurezza, oltre che l’aggressione diretta da parte dello Stato di Veracruz a gruppi studenteschi e attivisti a cui Nadia apparteneva?
Qual è la spiegazione di tanto accanimento contro le vittime?
Cosa implica il fatto che l’arma utilizzata nel crimine sia stata usata per la prima volta e sia un’arma con silenziatore?
Perché si fanno filtrare informazioni confidenziali ai mezzi di comunicazione se con ciò si mettono in pericolo i familiari delle vittime?
Perché ad amici e parenti delle vittime non è stato permesso fare dichiarazioni che possano apportare maggiori informazioni?
Perché si è data priorità al movente del furto e si sono minimizzate altre piste investigative?
Perché ai testimoni chiave è stato permesso raccogliere i loro beni, alterando così la scena del crimine?
Perché nessuna autorità si è messa in comunicazione con noi per darci informazioni e sostegno?
Nulla ci restituirà la nostra Nadia. Alle altre famiglie nessuno restituirà i loro cari, ma crediamo che conoscere la verità possa restituirci un poco di fiducia nelle istituzioni; diversamente si creerà un clima di scetticismo più forte e, ancora più grave, un’impunità galoppante che lascia la società indifesa.
Per quanto detto finora, ci affidiamo alla Legge Generale delle Vittime, specialmente per ciò che concerne la verità di quanto accaduto nei fatti in cui furono violati i diritti umani di Nadia e delle altre dirette vittime, come quelli dei parenti in qualità di vittime indirette, motivi per cui le autorità dovranno informare dei risultati delle indagini.
Chiediamo:
Che nelle indagini circa i fatti che porta avanti il Procura ci si attenga agli standard più alti in quanto a rispetto dei diritti umani, garantendo la sicurezza dei parenti delle vittime, così come degli attivisti e difensori dei diritti umani e gruppi studenteschi.
Che si permetta ai rappresentanti legali delle famiglie l’accesso all’informazione circa gli sviluppi e del caso e non ci sia fuga di notizie che provocano danni ancora più grandi alle vittime e ai suoi familiari.
Che le indagini sui fatti si compiano in modo esaustivo, senza tralasciare nessuna pista investigativa, senza scartare quella delle minacce denunciate da Rubén e Nadia.
Che si seguano i protocolli investigativi, evitando di mettere in rischio la sicurezza delle vittime indirette, così come dei testimoni del caso.
Che si permetta raccogliere gli effetti personali delle vittime, seguendo i protocolli di sicurezza, così come il Procura l’ha già permesso a persone che sono testimoni chiave.
Questi fatti ci distruggono come famiglia e distruggono le famiglie delle vittime e, in un contesto in cui violenza e impunità sono state una costante, distruggono anche tutta la società messicana.
Infine, vogliamo mostrarci solidali con le famiglie di Olivia Alejandra, Yesenia Quiroz, Mile Virginia e Rubén Espinosa, lo stesso dolore ci unisce; inoltre ringraziamo di cuore la solidarietà degli amici che da varie parti del Paese e del Mondo ci abbracciano; le persone che fanno parte di organizzazioni civili e coloro i quali ci hanno manifestato sostegno.
La loro solidarietà è ciò che ci mantiene in piedi di fronte a tanto dolore. Abbiamo bisogno di restare uniti per esigere un’accurata ricerca investigativa sui fatti, motivo per cui esortiamo a restare attenti e vigilare sul corso di tali indagini. Non ci abitueremo alla violenza.
FAMIGLIA DI NADIA VERA PÉREZ
SAN CRISTÓBAL DE LAS CASAS, CHIAPAS
10 Agosto 2015

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!