lunedì 3 ottobre 2016

Colombia - Al referendum sugli accordi di pace vince il NO

Si è svolto il referendum con cui il popolo colombiano avrebbe dovuto ratificare gli accordi di pace sottoscritti a L'Avana.

Con oltre il 60% di astenuti e uno scarto di 65 mila voti a favore del NO il popolo colombiano ha rigettato la possibilità di mettere una parola definitiva al conflitto che da oltre 50 anni contrappone le FARC e i vari governi che si sono succeduti alla guida del paese. Si apre una fase delicata per uscire da una situazione così pericolosa per la pace nel paese. Le prime dichiarazioni del presidente Santos sono state: "Non mi arrendo, continuerò a ricercare le soluzioni per una pace definitiva. "Il cessate il fuoco è bilaterale e definitivo, cercherò la pace fino all'ultimo giorno del mio mandato". Il presidente ha annunciato l'invio all'Avana di un gruppo di negoziatori per informare i rappresentanti della guerrigliea sulla situazione e per cercare una via d'uscita alla crisi. Nel frattempo le FARC-EP hanno rilasciato il seguente comunicato
Le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia - Esercito del Popolo, FARC-EP, lamentano profondamente che il potere distruttivo di coloro che seminano odio e rancore abbia influito nell'opinione della popolazione colombiana.
Col risultato di oggi, sappiamo che la nostra sfida come Movimento Politico è ancora più grande ed esige essere più forti per costruire la pace stabile e duratura.
Le FARC-EP mantengono la loro volontà di pace e reiterano la loro disposizione a usare solamente la parola come arma per costruire il futuro.
Al popolo colombiano che sogna la pace che conti su noi.

domenica 2 ottobre 2016

Stati Uniti - La rivolta dei Lakota Sioux contro «il serpente nero»


La rivolta dei Lakota Sioux contro «il serpente nero»
(Foto di Democracy Now)
«Mni wiconi» cioè l’acqua è vita: tentativo di bloccare un oleodotto che costa circa 4 miliardi di dollari

di Marco Cinque (*)
Una nuova guerra, subdola e silenziosa, è iniziata contro i popoli nativi del Nord America, sia in Canada sia negli Usa: la guerra dell’acqua e del petrolio, dichiarata dalle multinazionali, in particolare dalla compagnia Enbridge, che in nome del progresso e dei profitti sta mettendo a repentaglio la stessa terra, i fiumi e le risorse necessarie per sopravvivere in quei territori.
La realizzazione di un gigantesco oleodotto, il Dapl (Dakota Access Pipeline), definito emblematicamente «serpente nero», che prevede l’attraversamento di quattro stati, tra cui il North Dakota, passerà anche sotto il fiume Missouri e diversi altri corsi d’acqua, minacciando seriamente l’incolumità di milioni di persone, tra cui gli indigeni della nazione Hunkpapa Lakota di Standing Rock.
L’oleodotto è un progetto che costa circa 4 miliardi di dollari e che dovrebbe portare 470mila barili di petrolio al giorno, dai giacimenti petroliferi della parte occidentale del North Dakota fino all’Illinois, dove sarebbe collegato con altre condotte. Le proteste dei Lakota sono iniziate già dallo scorso aprile ed hanno coinvolto diverse altre tribù (Cheyenne, Arapaho, Crow) trasformandosi nel più grande raduno permanente dai tempi della storica occupazione di Wounded Knee, nel 1973. All’allargamento della rivolta, ferma ma pacifica, purtroppo c’è stata una risposta repressiva e violenta da parte della polizia, con pestaggi, arresti indiscriminati di più di 40 nativi e persino l’utilizzo di cani da combattimento aizzati anche contro donne e bambini. Tra gli arrestati spiccano i nomi del presidente tribale Dave Archambault II e quello del consigliere tribale Dana Wasinzi, rei di aver oltrepassato il cordone di sicurezza degli agenti. E’ emblematico il fatto che, ancora oggi, esponenti delle tribù amerindie vengano arrestati per violazione di domicilio della loro stessa terra.
Nella dichiarazione congiunta «No Keystone XL Pipeline Will Cross Lakota Lands», i movimenti indigeni Honor the Heart, Oglala Sioux Nation, Owe Aku e Protect the Sacred, si rivolgono direttamente al presidente degli Stati uniti, Barack Obama: «La Oglala Lakota Nation ha assunto la leadership dicendo «no» alla Keystone XL Pipeline. Ha fatto ciò che è giusto per la terra, per il suo popolo ed ha invitato i suoi leader ad alzarsi in piedi e proteggere le loro terre sacre. E hanno detto che il KXL non deve attraversare il territorio che si estende oltre i confini della Riserva. I loro cavalli sono pronti. Così come lo sono i nostri. Noi siamo con la Nazione Lakota, siamo al loro fianco per proteggere l’acqua sacra, stiamo con loro perché gli stili di vita indigeni basati sulla terra non siano danneggiati da un oleodotto nocivo e tossico. Riconoscendo la responsabilità di proteggere Madre Terra, i popoli indigeni non permetteranno che questo oleodotto attraversi le nostre aree protette dal Trattato».

venerdì 30 settembre 2016

Ecuador - Per il petrolio sarà distrutta Yasuni



“It’s the start of a new era for Ecuadorean oil. In this new era, first comes care for the environment and second responsibility for the communities and the economy, for the Ecuadorean people”

Jorge Glasvice vicepresidente dell’Ecuador

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Fa male al cuore. In Ecuador, nel cuore della foresta amazzonica hanno iniziato a trivellare. Per ora saranno 3.000 barili al giorno. Nel 2022 si arriverà a 300.000.   
Siamo a Tiputini C, il primo di duecento pozzi di petrolio programmati al confine con l’area ITT  (Ishpingo, Tambococha, Tiputini) e dentro nel parco nazionale dell’Ecuador Yasuni a pochi chilometri dal confine con il Perù. Lo Yasuni è una biosfera in teoria protetta dall’Unesco con una grande biodiversità fatta di numerose specie di uccelli, anfibi, insetti e alberi. Secondo Amazon Watch ci sono qui in un ettaro più specie che in tutti gli Usa e il Canada messi assieme. Nello Yasuni ci sono specie che sono riuscite a sopravvivere dai tempi glaciali.

 di Maria Rita D’Orsogna

Bayer prende Monsanto. Ma cosa c’è dietro l’acquisizione?


Gli scenari globali dopo che ChemChina ha preso Syngenta, Dow Chemical si è fusa con DuPont


Con un’operazione da 66 miliardi di dollari la Bayer ha inglobato Monsanto.
Il gruppo farmaceutico tedesco, colosso indiscusso del settore, ha ufficializzato l’accordo con il leader delle sementi e dei pesticidi, con un’offerta pari a 128 dollari per azione.
Stiamo parlando di quella che viene definita una tra le più grandi operazioni degli ultimi tempi che porterà al controllo del 24 % del mercato dei pesticidi e il 29 % di quello dei semi.
Una fusione che porterà alla già controversa Bayer anche la dote Monsanto: sementi biotech e Roundup, il pesticida a base di glifosato, al centro delle polemiche per gli effetti sulla salute. 
Ma questa mossa non può essere analizzata senza guardare alle altre fusioni che interessano le Sei Grandi Corporation agrochimiche transnazionali che hanno dominato il mercato delle sementi e dei pesticidi e cioè BASF, Bayer, Dow, DuPont, Monsanto e Syngenta a cui vanno aggiunti i nuovi colossi come la ChemChina o la Deere & Company, una delle principali aziende al mondo produttrice di macchine agricole. 
Stiamo parlando di un mercato che vale 65 miliardi di dollari in agrochimici, semi e biotecnologie solo riferendosi alle Sei Grandi Corporations. Ovvero il 75% del mercato mondiale di agrochimici, il 63% del mercato mondiale di semi, il 75% di tutta la ricerca privata nel settore di semi e pesticidi.
Ma perché tutto questo sommovimento?
In gioco c’è il futuro della produzione agricola globale.
Stiamo parlando di sementi, pesticidi e di OGM, ma anche di controllo del software basato su tecnologia e raccolta dei dati, monitoraggio attraverso i satelliti, uso dei droni.
Una nuova fase dell’agrobusiness globale basata sul groviglio letale tra rami industriali delle macchine agricole, sementi, fertilizzanti e agrochimici coadiuvati da una potente iniezione di tecnologia. 

giovedì 29 settembre 2016

Canada - Mohawk Nation

REPORTAGE DAL CANADA, DOVE LA NAZIONE INDIGENA RESISTE ALL’OBLIO, TRA BATTAGLIE AMBIENTALI E TRADIZIONI MILLENARIE
di Francesco Martone *
E’ un giorno d’agosto di pioggia intensa, battente. A Montreal si teneva il Forum Sociale Mondiale, il primo mai fatto in un paese del cosiddetto “Nord” del mondo, come se una categoria geografica ormai consunta possa esaurire la portata di dinamiche e i meccanismi di inclusione, ed esclusione, di sfruttamento e invasione che caratterizzano ormai l’assalto ai “commons” ed ai diritti dei popoli in ogni parte del mondo.
Nella città francofona i movimenti studenteschi fecero la storia, quando – sulla scia di “Occupy” e dei movimenti degli Indignados e delle Primavere Arabe – lanciarono la loro di primavera dell’”acero”, la Maple Spring che portò decine di migliaia di persone in piazza.
Una rivolta nel nord algido del Canada, paese che oggi ci vorrebbe agganciati attraverso un accordo commerciale quale il CETA, e che proprio a Montreal vede il fulcro delle attività ed il cervello pensante delle strategie delle principali multinazionali del settore petrolifero mondiale.
UN’ENORME AUDITORIUM ED UN PARCO A TEMA AMBIENTALISTA SPONSORIZZATO DALLA RIO TINTO ZINC CE LO RICORDANO. UN SUD DI DECINE E DECINE DI “HOMELESS”, DISTRUTTI DALL’ALCOL, CHE VENGONO DALLA GELIDA NUNAVUT, IL PAESE DEGLI ESCHIMESI, GLI INUIT. E POI LORO, I MOHAWK, DISCENDENTI DI UN POPOLO GUERRIERO, SPESSO E VOLENTIERI SUL PIEDE DI GUERRA PER DIFENDERE LE LORO TERRE.
Ieri da un progetto di campo da golf, ieri l’altro per proteggere le acque del San Lorenzo dagli sversamenti tossici delle fogne di Montreal, oggi per interdire la strada ad un oleodotto.
A separare Montreal dalla comunità Mohawk di Kahnawake è un ponte eretto in ricordo del governatore del Quebec, Honoré Mercier. Opera di ingegneria che suggella la collaborazione tra i Mohawk e i costruttori canadesi. Un ponte che unisce, ma che può anche separare, quando viene occupato dalle comunità dell’altra sponda per far valere i propri diritti.
Attraversiamo il Mercier Bridge ed arriviamo dall’altra parte, una lingua di terra percorsa da un rettilineo lungo il quale si affacciano innumerevoli botteghe, le insegne fluorescenti di marche improbabili di sigarette. E’ la produzione di sigarette una delle principali fonti di entrate per la comunità, assieme al lavoro di manutenzione del ponte, essendo i Mohawk espertissimi ed abilissimi edili.
SI NARRA CHE POSSANO CAMMINARE SULLE TRAVI DI ACCIAIO SOSPESE NEL VUOTO SENZA SOFFRIRE DI VERTIGINI, APPOLLAIATI SU SCHELETRI DI GRATTACIELI CHE COSTELLANO LA “SKYLINE” DI MANHATTAN. LA STORIA DI KAHNAWAKE E DELLA COMUNITÀ “SORELLA” DI KAHNATASAKE AFFONDA LE RADICI NEL PASSATO COLONIALE, E SI RIPROPONE COME SEGNO TANGIBILE DI UNA LOTTA MILLENARIA PER L’AUTODETERMINAZIONE E LA DIGNITÀ.
Una schiera di villette smontate di sana pianta e ricostruite al di là della strada che al di qua i canadesi decisero di punto in bianco di cementificare la sponda del fiume, cacciando via chi da tempo immemorabile ci viveva e ne viveva. Poi gli edifici delle istituzioni di governo della comunità, quelle imposte dal governo canadese, fredde, e squadrate, senza anima, e la longhouse, di legno, quella che rappresenta la vera anima della comunità.

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!