mercoledì 25 aprile 2018

America Latina - Insurrezioni silenziose

Una giovane indigena nasa della regione andina nel sud-ovest della Colombia. Foto el tiempo.com

di Raúl Zibechi

I grandi cambiamenti cominciano sempre da piccoli movimenti invisibili agli analisti che stanno in alto e ai grandi media, come segnala uno dei comunicati dello zapatismo. Prima che migliaia di persone occupino i grandi viali succedono processi sotterranei, dove gli oppressi “saggiano” le sollevazioni che dopo rendono visibili negli eventi di massa che l’accademia chiama movimenti sociali.

Quei cambiamenti succedono nella vita quotidiana, sono prodotti da gruppi di persone che hanno delle relazioni dirette tra di loro, non sono facili da scoprire e non sappiamo mai se si trasformeranno in azioni di massa. Nonostante ciò, nonostante le difficoltà, è possibile intuire che qualcosa sta cambiando se aguzziamo i sensi.

Qualcosa di questo genere sembra star succedendo in alcuni paesi dell’America Latina. Un compagno brasiliano ha considerato, durante un incontro di geografi con i movimenti sociali (Simposio Internazionale di Geografia Agraria – SINGA), che in questo paese siamo di fronte ad una “insurrezione silenziosa”. L’intuizione si basa su fatti reali. Nel seno dei movimenti sociali e negli spazi più poveri della società, le donne e i giovani, sono protagonisti di cambiamenti, si stanno spostando dal luogo assegnato loro dallo stato e dal mercato.

I veri movimenti sono quelli che modificano il luogo delle persone nel mondo, quando si muovono in collettivi e strappano le tessiture della dominazione. A questo punto, si deve mettere a verbale che non c’è una relazione diretta o meccanica di causa-effetto, giacché nelle relazioni umane le predizioni non sono possibili per la complessità che contengono e per l’interazione di una molteplicità di soggetti.

Negli ultimi anni ho potuto osservare questa tendenza di cambiamenti silenziosi all’interno di vari movimenti. Tra gli indigeni del sud della Colombia, gruppi di giovani nasa e misak ri-intraprendono la lotta per la terra che era stata paralizzata dalle direzioni, focalizzate sull’ampliamento delle relazioni con lo stato che fornisce loro abbondanti risorse. Qualcosa di simile sembra stare succedendo nel sud del Cile, dove una nuova generazione mapuche affronta la repressione statale con rinnovate forze.
Donne mapuche in Cile. Foto: http://www.cooperativa.cl


Tra i movimenti contadini consolidati, dove esistono potenti strutture di direzione, donne e giovani stanno intraprendendo dibattiti e proposte di nuovo tipo, che includono la mobilitazione e l’organizzazione delle persone che si definiscono LGTB (lesbiche, gay, transessuali e bisessuali).
Osserviamo anche un crescente attivismo in seno ai movimenti tradizionali dei militanti neri che costruiscono quilombos  e palenques (1), ma anche nelle università, come si può apprezzare nelle accademie brasiliane e colombiane dove aprono propri spazi.

Durante la “escuelita” ci hanno spiegato che la metà degli zapatisti hanno meno di 20 anni, una cosa che abbiamo potuto apprezzare. La partecipazione delle donne giovani è notevole. Coloro che hanno partecipato agli incontri di arte e scienza convocati dall’EZLN mettono in evidenza questa realtà. In altri movimenti appare l’organizzazione di bambini e bambine con assemblee che escludono i più grandi.

Che riflessioni possiamo fare su questa insurrezione silenziosa, che abbraccia tutta la società e in modo particolare i movimenti antisistema?  Senza pretendere di esaurire un dibattito incipiente, propongo tre considerazioni.

La prima è che le ribellioni in corso delle donne, dei popoli neri e indigeni e dei giovani di tutti i settori popolari, stanno avendo un impatto all’interno dei movimenti. Da un lato, stanno producendo un necessario ricambio generazionale senza allontanare i fondatori. Dall’altro, quel ricambio va accompagnato da modi di fare e di esprimersi che tendono a modificare l’azione politica verso direzioni che, per lo meno chi scrive queste righe, non è capace di definire con chiarezza.

La seconda è di carattere qualitativo, strettamente relazionata con la precedente. L’irruzione giovanile/femminile è portatrice di domande e culture elaborate all’interno dei movimenti, con sue proprie caratteristiche. Le donne in basso, per esempio, non innalzano il classico discorso femminista, né quello dell’uguaglianza né quello della differenza, ma qualcosa di nuovo che non mi azzardo a concettualizzare, anche se ci sono coloro che menzionano femminismi comunitari, neri, indigeni e popolari.
Il desiderio dei giovani zapatisti di mostrare le loro musiche e danze, è qualcosa di più di una questione artistica, allo stesso modo delle loro domande sulla scienza. In alcuni casi, come il mapuche o il nasa, si possono osservare cambiamenti che, da fuori, possiamo valutare come una radicalizzazione che non si focalizza solo sulle forme dell’azione politica, ma anche nel recupero di tradizioni di lotta che erano state quasi abbandonate dai loro anziani.

La terza, e forse la più importante, è che l’irruzione di quelli in basso, giovani e donne, va profilando un’altra concezione di rivoluzione, che si allontana dalla tradizionale teoria della rivoluzione di stampo leninista. Qui appare un’altra questione: come si fa politica in chiave quilombo/palenque? Come è la politica in chiave donna? Non mi riferisco alla partecipazione delle donne e dei giovani in basso nelle strutture già esistenti.

Le risposte le daranno gli stessi popoli, che stanno aprendo nuovi cammini, anche se l’analista in alto tende sempre a vederli con occhi e concetti del passato. Si tratta di costruire più che di occupare le istituzioni esistenti. Si vanno creando mondi nuovi o società nuove, se si vogliono nominare con i concetti di prima: poteri propri, giustizia propria in base, molte volte, a tradizioni e in altre al senso comune dei popoli; sanità, educazione e modi di occupare lo spazio in base a logiche non capitaliste.
Il mondo, il nostro mondo, sta cambiando in modo accelerato. Rifiutare quei cambiamenti, sarebbe come annullare la capacità trasformatrice che sta sotterrando il capitalismo ed erigendo un mondo nuovo sulle sue macerie.

(1) Oggi vengono definiti nuovamente con questi nomi, e con diversi altri ancora, alcuni spazi comunitari che assumono, in modo molto vario e anche molto diverso tra loro, alcune delle caratteristiche di esperienze di resistenza storica al dominio coloniale come le comunità di schiavi africani fuggiti dalle piantagioni in Brasile o i luoghi isolati e difendibili dove si rifugiavano gli schiavi neri fuggitivi a Cuba. Per approfondimenti si può leggere, tra l’altro, qui e qui (ndt)

Traduzione: Comitato Carlos Fonseca, che ringraziamo molto

Fonte: La Jornada
tratto da Comune.info

martedì 24 aprile 2018

Messico - Nuovo Comandante del CCRI-EZLN


Pablo González Casanova diventa il comandante Pablo Contreras. Gli zapatisti lo hanno così battezzato per il suo pensiero critico e indipendente.  Il 1º marzo scorso alla presentazione di una sua opera alla Fiera Internazionale del Libro, Casanova aveva così risposto alla domanda di quale fosse la sua ricetta per vivere con tanta forza intellettuale: Lottare ed amare. Questo 21 aprile, come comandante del CCRI-EZLN, ha ratificato nuovamente la sua vocazione di lottare ed amare.
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González Casanova è il nuovo comandante Pablo Contreras
Gli zapatisti lo hanno così battezzato per il suo pensiero critico e indipendente

di Luis Hernández Navarro. 

Da ieri, il dottor Pablo González Casanova, 96 anni, è il comandante Pablo Contreras del Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (CCRI-EZLN).

La nomina è stata resa pubblica nel mezzo di una prolungata ed emozionante ovazione dei partecipanti al “Conversatorio: Sguardi, ascolti e parole: proibito pensare?” che si sta svolgendo nel Centro Indigeno di Formazione Integrale Fray Bartolomé de Las Casas -Università della Terra (Cideci-Unitierra,) a San Cristóbal de Las Casas, convocato dagli zapatisti.

La decisione ribelle è stata annunciata all’ex rettore dell’Università Nazionale Autonoma del Messico (UNAM) dal comandante Tacho. Per essere zapatista – ha detto il tojolabal – bisogna lavorare e lui ha lavorato per la vita delle nostre comunità. Non si è stancato, non si è venduto, non ha ceduto.

In precedenza – con un bellissimo intervento in cui ha tracciato il bilancio della campagna della portavoce del Consiglio Indigeno di Governo, María de Jesús Patricio, per ottenere la candidatura indipendente alla Presidenza della Repubblica – lo scrittore Juan Villoro ha raccontato come il passato 11 febbraio, sulla spianata del Palazzo delle Belle Arti a Città del Messico, Don Pablo avesse festeggiato il suo 96° compleanno nell’evento finale di appoggio all’indigena nahua.

Rettore di sinistra
González Casanova, ha ricordato Villoro, è stato l’unico rettore di sinistra della UNAM. Quel giorno alle Belle Arti, ha aggiunto, ci ha dato una lezione di gioventù e ribellione e si è dimostrato un autentico decano e uomo di giudizio.

Preparando la sorpresa, il subcomandante Moisés ha raccontato come gli zapatisti si formano assegnando e soprintendendo i compiti. Se le cose riescono bene, ha detto il comandante, lo zapatista viene premiato con altro lavoro.

E a questo punto il comandante Tacho ha preso la parola e cominciato a spiegare, in terza persona, i meriti e le virtù di Don Pablo. Facendo giochi di prestigio con i numeri ha concluso che, nonostante la differenza di età, gli zapatisti e González Casanova sono coetanei. Ha ricordato il nome col quale quasi un anno fa, durante il seminario “I Muri del Capitale, le Crepe della Sinistra: la clessidra ed il mondo organizzato delle fincas“, era stato battezzato dai ribelli Pablo Contreras. Quindi, ha annunciato la sua nomina come membro del CCRI-EZLN ed ha concluso dicendo: il nostro regalo per lei è altro lavoro…

Un anno prima, durante l’incontro “I Muri del Capitale”, il subcomandante Galeano lo aveva presentato come un uomo di pensiero critico e indipendente al quale non si dice mai che cosa dire o cosa pensare, ma che sta sempre dalla parte del popolo. Per questo, aveva detto, in alcune comunità zapatiste è conosciuto come Pablo Contreras. Ed aveva aggiunto che uno dei municipi ribelli era stato battezzato col suo nome.

Subito dopo l’annuncio di Tacho della nomina del nuovo comandante, i membri della comandancia e del CCRI presenti si sono alzati per salutare militarmente con la mano sinistra Don Pablo ed abbracciarlo calorosamente, mentre il pubblico in piedi ha applaudito per circa 10 minuti ed è partito un inaspettato “Goya, goya, cachún, cachún, ra, ra, ra! Goooooooya! Universidad!” [slogan storico dell’università – n.d.t.]

Don Pablo che ha iniziato il suo intervento nel seminario salutando l’auditorium in lingua tzotzil e spiegando che salutare è riconoscere l’altro ed ha proseguito rivendicando allo zapatismo un contributo universale alle lotte di liberazione, ha risposto visibilmente commosso al saluto militare ed agli abbracci, con altrettanti abbracci.

Solo il 1º marzo scorso, alla presentazione di una sua opera alla Fiera Internazionale del Libro nel Palacio de Minería, González Casanova aveva così risposto alla domanda di quale fosse la sua ricetta per vivere con tanta forza intellettuale: Lottare ed amare. 
Questo 21 aprile, come comandante del CCRI-EZLN, ha ratificato nuovamente la sua vocazione di lottare ed amare.

Testo originale: http://www.jornada.unam.mx/2018/04/22/politica/009n1pol

Traduzione “Maribel” – Bergamo

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!