Il ventunesimo anno dell’EZLN si apre insieme ai familiari dei 43 studenti desaparecidos
E’ accolta nel tardo pomeriggio nel Caracol di Oventic tra due file di zapatisti, la delegazione dei familiari di Ayotzinapa al Primo Festival Mondiale delle Resistenze e Ribellioni contro il Capitalismo.Hanno inizio così i festeggiamenti che portano nel ventunesimo anno dell’apparizione dell’EZLN e nel trentunesimo anno dell’inizio della sua storia.
Più di un quarto di secolo e come dice nella notte il Subcomandante Moises, annunciando una prossima riflessione sul "mondo piccolo e il mondo grande", "saranno parole e pensieri difficili perché sono semplici. Perché vediamo chiaramente che il mondo non è quello di 100 anni fa, e neanche quello di 20 anni fa".
I festeggiamenti del Capodanno sono dedicati al Festival, promosso dal CNI (Congresso Nazionale Indigeno) e dall’EZLN (esercito Zapatista di Liberazione Nazionale) e che ha visto al centro delle attività delle tre "comparticion" svolte a San Francisco Xochicuatla, Amalcingo e Monclova, la delegazione dei familiari e studenti Ayotzinapa.
Saranno proprio loro ad iniziare l’atto politico che accompagna lo scoccare della mezzanotte. Le parole di Berta Nava Martínez, madre de Julio César Ramírez Nava e quelle di Mario César González Contreras, padre de César Manuel González Hernández sono brevi e cariche di sentimento. Tutte e due ringraziano l’EZLN per averli appoggiati e per la possibilità attraverso il Festival di conoscere molte altre realtà che hanno fatto propria la lotta per la verità e la giustizia sulla vicenda dei 43 studenti aggrediti ad Iguala.
Da quel 26 settembre con l’aggressione agli studenti della Normal Rural di Ayotzinapa la determinazione dei familiari nel affermare "vivos se lo llevaros, vivos los queremos" (li hanno presi vivi e vivi li vogliamo), la volontà, comprensibile e determinata, di riavere i figli vivi, la denuncia che "el gobierno los tiene" (li ha il governo), la speranza che ha smontato una per una le contraddittorie e balbettanti versioni ufficiali, la denuncia delle responsabilità del narco-stato hanno creato uno spazio-tempo aperto, dando vita ad una movimentazione inedita per lo scenario messicano.
E’ come se la desaparicion dei 43 studenti, l’incertezza sul loro destino accompagnata invece dalla certezza delle responsabilità, da monito di paura e rassegnazione si sia trasformata nella goccia che ha fatto trabboccare il vaso.
Dal nord al sud del paese quel "vivos los queremos" (li vogliamo vivi) ha raccolto e reso esplicito quel che prima covava dietro la paura e la rassegnazione: l’insopportabilità della dimensione del narco-stato.
Di quell'insieme, a volte per noi che viviamo dall'altra parte del globo incomprensibile, di corruzione, violenza, saccheggio, sfruttamento che nell'ultimo decennio ha caratterizzato la vita sociale e politica del Messico.
Diversi compagni che abbiamo incontrato in questi giorni dicono che, con le dovute differenze, era dal 1994 con la mobilitazione seguita al levantamiento degli zapatisti che non si vedeva qualcosa di simile nel paese. Che la qualità della protesta, la sua quantità con le iniziative di ogni tipo veramente in tutto il paese è diversa dal solito. C’è una grande partecipazione dei giovani, di cittadini non rincchiudibili in organizzazioni, reti, comitati, peraltro tutti ben presenti. C’è una sfiducia totale nelle istituzioni formali e nei partiti, accompagnata da una denuncia chiarissima delle responsabilità del narco stato, racchiuse nel #fueraPena, che ha attraversato i cortei e le iniziative.
Dove tutto questo possa portare nessuno lo sa ma di certo questi tre mesi il Messico è stato "in movimento".
Con tutto quello che questo significa anche da un punto di vista dei poteri dall'alto che sostenendo la teoria delle "mele marce" (fatta propria da tutti i partiti) arriverebbero perfino a "scaricare" il Presidente Pena Nieto, in vistoso calo di popolarità.
C’e’ chi ci dice che la grande attenzione nei media mainstream su Ayotzinapa sia stata pilotata anche per presentare sempre più necessaria l’applicazione delle riforme strutturali, compresa quella sulla sicurezza, che stanno modificando, in nome della crisi, l’intera società, dalla privatizzazione della PEMEX, la società petrolifera nazionale e delle risorse alla ristrutturazione del sistema educativo, al mercato del lavoro.
Dal basso #todosomosAyotzinapa (tutti siamo Ayotzinapa), si muove attorno alla caparbia resistenza dei familiari, che provengono dalla realtà ad alta storia di conflittualità radicale del Guerrero.
E’ questa "centralità" di cui non bisogna "approfittare", in senso negativo, ma invece sostenere e condividere, il centro del lungo intervento nella notte ad Oventica del Subcomandante Insurgente Moises, dopo il discorso del Congresso Nazionale Indigeno, che ha ricordato l’attualità delle lotte indigene e denunciato la repressione che cerca di fermarle.
Moises ha iniziato ringraziando i familiari dei 43 studenti perché "quello che sappiamo e ricordiamo in questa lotta di Ayotzinapa è che possiamo trovare la verità solo come pueblos organizzati. Non solo la verità sparita a Ayotzinapa, ma anche tutte le verità che sono state fatte sparire, incarcerate e assassinate in ogni angolo del pianeta Terra. Su queste verità, ora assenti, potremo costruire la giustizia:
Noi gli zapatisti, pensiamo che non bisogna aver fiducia nei malos gobiernos che ci sono in tutto il mondo .. non importa che parole dicano, questi governi non decidono, perché chi decide è il capitalismo neoliberale."
Prima di nominare uno ad uno i 43 studenti, Moises ha continuato chiedendo ".. come si resiste perché il male del capitalismo non ci distrugga? .. Come si fa a ricominciare a costruire quel che è stato distrutto perché non resti uguale ma sia migliore?" e rispondendo che non c’è una sola risposta, ma molti modi e molte forme, che non sarà una singola persona a regalarci la libertà ma un processo basato su dinamiche collettive.
"Siamo popoli, donne e uomini, del campo e della città che che dobbiamo avere in mano la libertà. la democrazia e la giustizia per una società nuova. Questa è la questione che hanno posto i padri e le madri dei desaparecidos.Dobbiamo lottare con mille forme per conquistare questa nuova società. Dobbiamo accompagnare la lotta dei familiari di Ayotzinapa nella ricerca della verità e della giustiizia perchè semplicemente e è un dovere di chiunque sia "de abajo y a la izquierda,"
Il discorso di Moises, dopo la parte rivolta al CNI, alla Sexta Nazional e Internacional dedicata ai motivi del sostegno a Ayotzinapa, ha proposta una riflessione sull'importanza del "pensamiento crítico", necessario alla lotta. Un pensiero non conformista, dogmatico o basato su menzogne ma che invece si fà delle domande, perché proprio nelle condizioni più difficili non bisogna abbandonare la comprensione e l’analisi della realtà.
"Lo studio e l’analisi sono armi per la lotta. Però non solo pratica, nè solo teoria. Il pensiero che non lotta, fa solo rumore e la lotta che non pensa ripete gli errori e non si rialza dopo essere caduta".
Nella notte di Oventic, prima dell’inno zapatista e dei fuochi d’artificio che hanno riaperto le danze fino al mattino, a nome del Comité Clandestino Revolucionario Indígena-Comandancia General del Ejército Zapatista de Liberación Nacional il Subcomandante Insurgente Moises ha concluso dicendo:
"Non c’è un solo cammino
Non c’è un passo unico
Non ha un unico modo chi cammina e lotta
Non è uno il caminante.
Sono diversi i tempi ed i luoghi e i molti colori che brillano in basso a sinistra nella terra che soffre
Però il destino è lo stesso: la libertad. La Libertad. LA LIBERTAD"
Da oggi 2 gennaio il festival si sposterà al Cideci a San Cristobal per le conclusioni.
E’ possibile ascoltare la diretta audio grazie al Media Indipendenti. A questo link si trovano le informazioni Cobertura de #MediosLibres de la plenaria del #FestivalRyR desde CIDECI