Noon Arabia è una cyber-attivista yemenita. È co-fondatrice del blog collettivo Support Yemen e collaboratrice di Global Voices (qui il suo profilo personale). È molto attiva sul suo account di Twitter e cura il blog Notes by Noon.
Osservatorio Iraq ci ha parlato per cercare di capire cosa sta
accadendo in queste ore in Yemen, scosso ancora una volta da disordini e
caos.
Cosa sta accadendo in Yemen?
Lo scorso 26 marzo è iniziato l’intervento di una coalizione militare araba contro gli Houthi (gruppo di ribelli prevalentemente di religione zaydita, il cui nome omaggia il leader dell’insurrezione del 2004 Husayn Badreddin al-Houthi, ndr).
Bersaglio dei bombardamenti della coalizione (formata dai 6 paesi del Golfo, Giordania, Egitto e Marocco e guidata dall’Arabia Saudita, ndr) sono le basi militari e i depositi di armi dei ribelli, nello Yemen del Nord. In meno di dieci giorni, gli attacchi hanno causato centinaia di vittime civili poichè la maggior parte degli obiettivi dei bombardamenti si trova all’interno di aree residenziali.
Al momento, le milizie di Houthi e di Ali Abdallah Saleh (ex presidente yemenita ora alleato dei ribelli, ndr) stanno marciando però verso sud e sono protagoniste di scontri a fuoco con le forze popolari leali ad Hadi (presidente yemenita ufficialmente riconosciuto dalla comunità internazionale ma di fatto non più al potere da gennaio 2012, ndr).
È opinione comune che quella in corso in Yemen sia una “guerra per procura” tra Arabia Saudita e Iran. Sei d’accordo con questa lettura del conflitto?
La guerra è stata voluta dai sauditi per far arrivare all’Iran il messaggio che sono loro i titolari del potere della zona. L’Iran non è direttamente coinvolto, ma molti ritengono che gli Houthi siano supportati economicamente e politicamente da Teheran. Se non è possibile al momento provare una cosa simile, quello che si può affermare senza dubbio è che non sia in atto una guerra civile o settaria, ma uno scontro regionale per il controllo politico dello Yemen.
Obiettivo principale dei nostri vicini sauditi è proteggere lo stretto di Bab el-Mandeb dal controllo degli Houthi e di Saleh. La posizione dello stretto è strategica, poichè ogni giorno circa 4 milioni di barili di petrolio sono traghettati verso l’Occidente ed una sua chiusura provocherebbe la deviazione delle navi da petrolio intorno al Sudafrica, l’allungamento del relativo viaggio a 40 giorni ed un notevole aumento del prezzo dei barili. La posizione dello stretto spiega anche l’interessamento dell’Egitto: la chiusura di Bab el-Mandeb renderebbe di fatto inutilizzabile il Canale di Suez.
Credi che la comunità internazionale abbia delle responsabilità per la (nuova) crisi yemenita?
Sì, ha una responsabilità diretta. Nel 2011 le Nazioni Unite e gli Stati Uniti hanno infatti appoggiato il piano del Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC) per portare a termine la Rivoluzione; tale piano prevedeva le dimissioni di Saleh e la sua immunità giudiziaria. Gli è stato permesso di rimanere in Yemen, indebolire il suo successore Hadi ed ostacolare i lavori della Conferenza di Dialogo Nazionale e l’attuazione dei suoi risultati. Le principali preoccupazioni del GCC, i cui membri erano amici ed alleati di Saleh, erano rivolte alla salvaguardia dell’ex presidente piuttosto che ai diritti umani degli yemeniti.
Negli ultimi 4 anni, Onu, Usa e GCC, ben consapevoli delle violazioni perpetrate da Saleh, sono stati autori di qualche vuota dichiarazione di condanna, di fatto non impedendo all’ex capo di Stato di portare lo Yemen verso distruzione e guerra.
Come giudichi l’intervento militare della coalizione?
Io sono contro Saleh e la corruzione della sua figura, contro le violazioni degli Houthi e contro l’inadeguatezza del presidente Hadi. Allo stesso tempo, però, sono contro ogni tipo di intervento militare sulla mia terra, anche se condotto da paesi arabi. La guerra non farà diminuire gli spargimenti di sangue e la distruzione, ma anzi peggiorerà la situazione.
Lo Yemen si trova già ad affrontare una crisi umanitaria che rapidamente degenererà. Sono anni che gli yemeniti del nord e del sud convivono con gli orrori della guerra, mentre chi vive all’estero che non può tornare a casa perché gli aeroporti sono chiusi ed è vietato l’accesso nel territorio. Nel frattempo la Banca Centrale ha anche bloccato i trasferimenti finanziari, facendo espandere il disastro umanitario anche su altri livelli.
Che posizioni hanno espresso gli Stati Uniti?
Questa volta hanno avuto un ruolo secondario. È stata una scelta intelligente perché, chiusa la loro ambasciata ed ordinato il rientro di tutto il personale diplomatico e militare, hanno deciso di partecipare alla guerra tenendosi “a distanza”, limitandosi cioè a fornire supporto logistico.
Lo Yemen è un esempio di fallimento dell’antiterrorismo voluto da Washington. In passato, questa linea politica consisteva nella lotta al cosiddetto “terrorismo”, identificato soprattutto in al-Qaeda, e che non si curava affatto del benessere dello Yemen, dei suoi cittadini o della sua “democrazia”.
Quale potrebbe essere una soluzione alla crisi che attualmente sta vivendo il paese?
Questa è una domanda molto difficile a cui rispondere. Questa guerra va fermata immediatamente. Abdel Malik al-Houthi (fratello di Husayn Badreddin al-Houthi ed attuale leader dei ribelli, ndr) e soprattutto Saleh devono essere processati e rispondere per i crimini che hanno commesso contro le popolazioni dello Yemen settentrionale e meridionale. La giustizia sarà il primo passo per una riconciliazione interna. Deve essere eletto un governo provvisorio che convochi al più presto le elezioni; Hadi può farne parte, ma sarebbe meglio riservagli un ruolo esclusivamente formale.
Fondamentale è che non ci siano nazioni straniere a guardia dello Yemen. Agli yemeniti – e solo ad essi – dovrebbe essere dato il diritto e la libertà di indicare i propri leader e scegliere il proprio percorso. Questo è ciò che idealmente dovrebbe accadere.
*Leggi anche Yemen. Perché questo non è un conflitto settario. L’analisi di Laura Silvia Battaglia per Osservatorio Iraq.
5 aprile di: Luigi Giorgi
TRATTO DA OSSERVATORIO Iraq - Medioriente e Nordafrica
Cosa sta accadendo in Yemen?
Lo scorso 26 marzo è iniziato l’intervento di una coalizione militare araba contro gli Houthi (gruppo di ribelli prevalentemente di religione zaydita, il cui nome omaggia il leader dell’insurrezione del 2004 Husayn Badreddin al-Houthi, ndr).
Bersaglio dei bombardamenti della coalizione (formata dai 6 paesi del Golfo, Giordania, Egitto e Marocco e guidata dall’Arabia Saudita, ndr) sono le basi militari e i depositi di armi dei ribelli, nello Yemen del Nord. In meno di dieci giorni, gli attacchi hanno causato centinaia di vittime civili poichè la maggior parte degli obiettivi dei bombardamenti si trova all’interno di aree residenziali.
Al momento, le milizie di Houthi e di Ali Abdallah Saleh (ex presidente yemenita ora alleato dei ribelli, ndr) stanno marciando però verso sud e sono protagoniste di scontri a fuoco con le forze popolari leali ad Hadi (presidente yemenita ufficialmente riconosciuto dalla comunità internazionale ma di fatto non più al potere da gennaio 2012, ndr).
È opinione comune che quella in corso in Yemen sia una “guerra per procura” tra Arabia Saudita e Iran. Sei d’accordo con questa lettura del conflitto?
La guerra è stata voluta dai sauditi per far arrivare all’Iran il messaggio che sono loro i titolari del potere della zona. L’Iran non è direttamente coinvolto, ma molti ritengono che gli Houthi siano supportati economicamente e politicamente da Teheran. Se non è possibile al momento provare una cosa simile, quello che si può affermare senza dubbio è che non sia in atto una guerra civile o settaria, ma uno scontro regionale per il controllo politico dello Yemen.
Obiettivo principale dei nostri vicini sauditi è proteggere lo stretto di Bab el-Mandeb dal controllo degli Houthi e di Saleh. La posizione dello stretto è strategica, poichè ogni giorno circa 4 milioni di barili di petrolio sono traghettati verso l’Occidente ed una sua chiusura provocherebbe la deviazione delle navi da petrolio intorno al Sudafrica, l’allungamento del relativo viaggio a 40 giorni ed un notevole aumento del prezzo dei barili. La posizione dello stretto spiega anche l’interessamento dell’Egitto: la chiusura di Bab el-Mandeb renderebbe di fatto inutilizzabile il Canale di Suez.
Credi che la comunità internazionale abbia delle responsabilità per la (nuova) crisi yemenita?
Sì, ha una responsabilità diretta. Nel 2011 le Nazioni Unite e gli Stati Uniti hanno infatti appoggiato il piano del Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC) per portare a termine la Rivoluzione; tale piano prevedeva le dimissioni di Saleh e la sua immunità giudiziaria. Gli è stato permesso di rimanere in Yemen, indebolire il suo successore Hadi ed ostacolare i lavori della Conferenza di Dialogo Nazionale e l’attuazione dei suoi risultati. Le principali preoccupazioni del GCC, i cui membri erano amici ed alleati di Saleh, erano rivolte alla salvaguardia dell’ex presidente piuttosto che ai diritti umani degli yemeniti.
Negli ultimi 4 anni, Onu, Usa e GCC, ben consapevoli delle violazioni perpetrate da Saleh, sono stati autori di qualche vuota dichiarazione di condanna, di fatto non impedendo all’ex capo di Stato di portare lo Yemen verso distruzione e guerra.
Come giudichi l’intervento militare della coalizione?
Io sono contro Saleh e la corruzione della sua figura, contro le violazioni degli Houthi e contro l’inadeguatezza del presidente Hadi. Allo stesso tempo, però, sono contro ogni tipo di intervento militare sulla mia terra, anche se condotto da paesi arabi. La guerra non farà diminuire gli spargimenti di sangue e la distruzione, ma anzi peggiorerà la situazione.
Lo Yemen si trova già ad affrontare una crisi umanitaria che rapidamente degenererà. Sono anni che gli yemeniti del nord e del sud convivono con gli orrori della guerra, mentre chi vive all’estero che non può tornare a casa perché gli aeroporti sono chiusi ed è vietato l’accesso nel territorio. Nel frattempo la Banca Centrale ha anche bloccato i trasferimenti finanziari, facendo espandere il disastro umanitario anche su altri livelli.
Che posizioni hanno espresso gli Stati Uniti?
Questa volta hanno avuto un ruolo secondario. È stata una scelta intelligente perché, chiusa la loro ambasciata ed ordinato il rientro di tutto il personale diplomatico e militare, hanno deciso di partecipare alla guerra tenendosi “a distanza”, limitandosi cioè a fornire supporto logistico.
Lo Yemen è un esempio di fallimento dell’antiterrorismo voluto da Washington. In passato, questa linea politica consisteva nella lotta al cosiddetto “terrorismo”, identificato soprattutto in al-Qaeda, e che non si curava affatto del benessere dello Yemen, dei suoi cittadini o della sua “democrazia”.
Quale potrebbe essere una soluzione alla crisi che attualmente sta vivendo il paese?
Questa è una domanda molto difficile a cui rispondere. Questa guerra va fermata immediatamente. Abdel Malik al-Houthi (fratello di Husayn Badreddin al-Houthi ed attuale leader dei ribelli, ndr) e soprattutto Saleh devono essere processati e rispondere per i crimini che hanno commesso contro le popolazioni dello Yemen settentrionale e meridionale. La giustizia sarà il primo passo per una riconciliazione interna. Deve essere eletto un governo provvisorio che convochi al più presto le elezioni; Hadi può farne parte, ma sarebbe meglio riservagli un ruolo esclusivamente formale.
Fondamentale è che non ci siano nazioni straniere a guardia dello Yemen. Agli yemeniti – e solo ad essi – dovrebbe essere dato il diritto e la libertà di indicare i propri leader e scegliere il proprio percorso. Questo è ciò che idealmente dovrebbe accadere.
*Leggi anche Yemen. Perché questo non è un conflitto settario. L’analisi di Laura Silvia Battaglia per Osservatorio Iraq.
5 aprile di: Luigi Giorgi
TRATTO DA OSSERVATORIO Iraq - Medioriente e Nordafrica