María de Jesús Patricio ed il CIG: cosa è stato ottenuto.
Il 19 febbraio si è chiuso il termine per la registrazione dei candidati indipendenti alla Presidenza della Repubblica. Solo tre candidati “indipendenti” sono stati registrati, e tutti tre spendendo giornalmente come o più dei candidati dei partiti politici.
María de Jesús Patricio, portavoce del Consiglio Indigeno di Governo (CIG) non è riuscita a raccogliere il numero di firme nei 17 stati come richiesto dal sistema elettorale per essere candidata indipendente. Fin dal principio sapevamo che sarebbe stata una battaglia impari su un terreno profondamente marcato dalle disuguaglianze che caratterizzano il nostro paese.
Mentre Jaime Rodríguez Calderón, El Bronco, per raccogliere le firme spendeva 58 mila pesos al giorno e contava su tutto l’apparato istituzionale del governo dello stato di Nuevo León, María de Jesús Patricio spendeva 860 pesos condivisi con i consiglieri e le consigliere che viaggiavano con lei. Durante tutto il processo sono state affrontate le barriere tecnologiche: la richiesta di un cellulare moderno che permettesse di scaricare l’applicazione per raccogliere le firme, la connettività Internet richiesta, il denaro per la mobilità degli ausiliari; ogni passo rappresentava la lotta contro le disuguaglianze e le esclusioni che Marichuy ed il CIG denunciano.
Devo riconoscere che come membro della Asociación por el Florecimiento de los Pueblos AC che la sostiene, mi sento frustrata per non essere riuscita a superare tutte queste barriere e non avere potuto fare di più per smuovere le coscienze di questo paese intorno all'urgenza di cambiamenti profondi. Questo sentimento si acutizza perché il 19 febbraio mi trovo ad Ahome, territorio yoreme, dove la violenza del crimine organizzato colluso con le forze dell’ordine ha trasformato lo stato di Sinaloa in una grande fossa comune.
Le testimonianze delle madri dei desaparecidos ci ricordano per l’ennesima volta che ci troviamo in un momento di emergenza nazionale che non si risolve con “corsi di formazione” o “modernizzazioni istituzionali”.
Vogliamo un cambiamento profondo che nessuno dei candidati che appariranno sulle schede elettorali è disposto a fare.
Il paese è piagato di Ayotzinapa anonime dove le forze dell’ordine colluse col crimine organizzato stanno perpetrando un massacro di giovani sotto i nostri occhi e con la complicità del nostro silenzio. Gli studenti di Conalep massacrati a Juan José Ríos per non aver rispettato il coprifuoco stabilito dal crimine organizzato che controlla l’ejido più grande del Messico; il giovane yoreme studente dell’Università Interculturale di Sinaloa il cui corpo è stato ritrovato in una fossa clandestina a Capomos; i 117 corpi scoperti dalle Buscadoras [Cercatrici – N.d.T.], madri di desaparecidos che con pale e picconi cercano i loro “tesori”, non sembrano suscitare più marce né proteste. Ci siamo abituati a questa politica di morte.
Parallelamente, María de Jesús Patricio percorre il paese per parlare e promuovere una politica di vita. Quando sono invasa dalla disperazione per non essere riuscita a raccogliere le 866 mila firme richieste, penso a quello che si è ottenuto. Nelle sue visite a 126 località in 27 stati della Repubblica Messicana, María de Jesús ed i compagni del Consiglio Indigeno di Governo hanno portato un messaggio di rispetto per la vita ed articolato sforzi organizzativi in difesa della madre terra e contro questi politici dello sviluppo che ci stanno ammazzando tutti, qualcuno in maniera più rapida di altri.
Nel suo percorso ha visitato comunità indigene in resistenza in tutto il paese, comunità e lotte ignorate dagli altri candidati. Ha incontrato le organizzazioni dei popoli totonaco che si oppongono ai megaprogetti di gas fracking in Veracruz; a Texcoco le comunità della valle di México che lottano contro la costruzione del nuovo aeroporto che colpirà non solo i loro terreni agricoli, ma i manti freatici che forniscono acqua a Città del Messico; a Ciudad Neza la sua voce si è unita a quella delle organizzazioni che denunciano i femminicidi e le molteplici violenze contro le donne; in Chiapas ha denunciato la violenza paramilitare che attenta all'autonomia indigena. L’obiettivo principale della sua campagna è stato, e continuerà ad essere, quello di articolare le nostre lotte e costruire alternative di vita dal basso, a partire dal rispetto per la madre terra e la dignità dei popoli.
Il suo appello è stato per difendere la vita e il territorio dalle politiche di morte e riprendere i valori comunitari e le esperienze di resistenza dei popoli indigeni.
Nel suo discorso a Totonacapan ha detto: “I capitalisti ci vogliono far credere che il nostro territorio sono le migliaia di pozzi petroliferi, le decine di concessioni minerarie, le donne assassinate, le ed i desaparecidos. Ma noi sappiamo che non è così, perché la violenza, la deforestazione, le alte tariffe di luce e acqua, il controllo dell’acqua da parte dei cacicchi regionali e nemmeno i megaprogetti estrattivi sono il territorio indigeno di Veracruz. I nostri territori sono le lingue originarie, le culture ancestrali, le nostre resistenze, l’organizzazione comunitaria che ci invita a non venderci, a non arrendersi né cedere, a non dimenticarci dell’eredità dei nostri antenati, che ci invita ad organizzarci e a governarci esercitando quello che decidiamo collettivamente”.
Lasciando da parte che le regole imposte dall’alto non gli permettono di essere sulla scheda elettorale, il suo appello a non cedere, a continuare ad organizzarci e difendere la vita e il territorio è vigente. Proseguiamo dunque in questa nuova tappa di resistenza. Andiamo avanti.
*Ricercatrice del Centro de Investigaciones y Estudios Superiores en Antropología Social
(Traduzione “Maribel” – Bergamo)
Fonte: La Jornada