Dal Nord America all'Europa: lotte di resistenza contro la deforestazione e per la difesa della Terra
di Liza Candidi
“Vivo sugli alberi da cinque mesi. È l’unico modo che ho per proteggere la vita che la foresta ci ha dato. L’unico modo per chiamarmi fuori da questo abominevole sfruttamento”
Gipsy Eyes, 23 anni, attivista californiana
Centinaia di corpi nudi avvinghiati ad
alberi tanto alti che non se ne vede la cima. Così alcuni attivisti
difendono le sequoie giganti dall’arrivo di bulldozer pronti ad
abbatterle. È solo una delle recenti proteste dei forest defenders della
California settentrionale, che da trent’anni tutelano uno fra i
patrimoni naturalistici più spettacolari del Nordamerica: alberi
colossali di duemila anni che sfiorano i cento metri d’altezza, annoverati fra gli esseri viventi più antichi del pianeta.
Questa foresta, che prima dell’era
industriale si estendeva fino a 9000 kmq, è ora ridotta ad appena il 5%,
di cui oltre tre quarti in mano privata.
A salvaguardia di ciò che rimane vi sono associazioni e movimenti ecologisti, come la radicale Earth First!, ma anche comitati locali e semplici cittadini, che organizzano proteste, sabotaggi di macchinari e tree-sits: occupazioni di alberi a decine di metri di altezza che costringono i boscaioli a rinunciare all’abbattimento. In
questo modo gli occupanti presidiano le foreste primordiali destinate
al legname, vivendo giorno e notte su tronchi oscillanti o piattaforme
aeree, sprezzanti del vento freddo che soffia dall’oceano.
È dagli anni Ottanta che questa regione della California è teatro di scontri permanenti fra ambientalisti e boscaioli redneck. In passato non sono mancate nemmeno sanguinose repressioni da parte delle forze dell’ordine, che hanno coinvolto anche l’FBI e impianti accusatori poi rivelatisi infondati.
Disobbedienza civile e occupazioni pacifiche – come quella famosa di Julia Butterfly Hill, l’attivista ventitreenne che per due anni di fila visse su una sequoia millenaria – hanno portato alla salvaguardia di alcune aree boschive, facendo approvare leggi statali a tutela degli heritage trees più antichi. Ma non è abbastanza. Nonostante la siccità stia desertificando ampie zone della costa occidentale statunitense,
grosse multinazionali protette dall'ambigua etichetta di ‘forestazione
sostenibile’ progettano disboscamenti e costruzioni di strade in foreste
vergini.
Ricorrono a pesticidi e a scellerate tecniche di avvelenamento degli alberi, come l’economica Hack and squirt,
erbicidi iniettati nel tronco per distruggerne lentamente la linfa, che
finiscono per contaminare l’ecosistema ad ampio raggio.
L’ultimo fronte di lotta ambientale in
California si trova nella Mattole Watershed Forest, un’antica foresta di
conifere, che la Humboldt Redwood Company (HRC) ha intenzione di soppiantare con specie a rapida crescita, molto più lucrative per l’industria del legname.
Un gruppo di attivisti dell’Humboldt
County è finora riuscito a evitare il disboscamento occupando il punto
d’accesso alla foresta, una zona remota che si raggiunge solo in sette
ore di cammino dal paese più vicino.
Qui, fra imponenti abeti di Douglas,
hanno costruito una barricata con ingegnosi tripodi in legno che
sostengono, tramite funi, una piattaforma aerea in cui vivono gli
occupanti. Se i dipendenti della HRC dovessero rimuovere il blocco, si
macchierebbero immancabilmente di omicidio colposo.
Da ormai un anno, a ogni
temperatura, gli attivisti si danno il cambio su quella che chiamano “il
guscio del cielo”, sospeso a venti metri da terra, leggendo e suonando,
sostentandosi con le generose provviste fornite dai simpatizzanti.
Resistono alle incursioni delle guardie ed eludono il controllo di
elicotteri e droni inviati per sorvegliare l’area.
Mentre gli attivisti nella foresta
tengono lontani i bulldozer, comitati in città organizzano corsi per
insegnare ad arrampicarsi sugli alberi con corde e moschettoni,
raccolgono fondi per la difesa di militanti arrestati per aver valicato
proprietà privata (vale a dire la foresta vergine, che pur dovrebbe
essere bene pubblico), fanno campagne per sensibilizzare anche i
lavoratori stagionali, spesso messicani impiegati nell’industria del
legno per pochi dollari all’ora.
Lo sforzo congiunto ha permesso di
raggiungere un primo importante traguardo: lo scorso 24 aprile l’HRC ha
rinunciato definitivamente al progetto di costruire una strada
all’interno di questa preziosa foresta.