da RadioMundoReal
La constitución boliviana, aprobada este domingo con mas de 60% de los votos, implicará el fin del colonialismo y el neoliberalismo en el país.
Luego de la aprobación de la nueva constitución Bolivia, el presidente Evo Morales afirmó que a partir de ahora "aquí se acabó el pasado colonial, aquí se acabó el neoliberalismo, aquí se acabó el latifundismo. Mandaremos y gobernaremos como nos pide el pueblo boliviano, y el pueblo ha refundado Bolivia".
Precedida de tres años de intenso trabajo de una Asamblea Constituyente y por un proceso que concentró la oposición al proceso constituyente y al actual gobierno en las provincias del suroeste del país, este domingo se inauguró una nueva era política, a partir de la aprobación de la nueva constitución con el 60% del total de votos emitidos (aproximadamente 3.800.000).
El ’No’ a la nueva constitución ganó en los departamentos de Santa Cruz, Tarija, Beni y Pando, departamentos que también concentran la mayor producción de riqueza del país.Esta es la segunda victoria electoral del proceso que conduce Evo Morales desde que es presiente, ya que en 2008 debió enfrentar un referendum revocatorio, en el cual recibió el apoyo de más del 67% de la ciudadanía.
La nueva constitución implica grandes transformación en el país: instala mecanismos para garantizar mayoría indígena en todas las instituciones y órganos de poder público del país, incluyendo el concepto de autonomía indígena o de los pueblos originarios, a los que se reconoce el derecho, y casi la obligación, de ocupar una parte sustancial del poder.
La nueva constitución también limita la propiedad de la tierra a cinco mil hectáreas, lo que implica una medida inicial para enfrentar la concentración de la tierra (la figura del latifundio) una de las consignas centrales del proceso electoral que llevó al MAS (Movimiento al Socialismo) y a Evo Morales al poder en 2005.
En otros aspectos, la nueva constitución crea una segunda vuelta electoral, habilita la relección presidencial inmediata por una sola vez, declara a los servicios básicos (agua, luz, teléfonos, etc.) como derechos humanos, mientras que los recursos naturales renovables y no renovables son declarados de carácter estratégico.La nueva carta magna también prohíbe la instalación de bases militares extranjeras en Bolivia.
lunedì 26 gennaio 2009
Tortura e guerra contro i mapuche nel Cile di Michelle Bachelet
Ad un anno dalla morte di Matías Catrileo, ammazzato dai carabinieri cileni il 3 gennaio 2008 e a 9 mesi dalla morte sotto tortura di Johnny Cariqueo, e con 32 prigionieri politici mapuche ancora nelle carceri cilene e oltre 50 casi di tortura documentati solo sotto il governo di Michelle Bachelet, l’impunità per i corpi dello Stato continua ad essere assoluta.
Lo stato democratico continua a combattere contro gli indigeni del Sud una guerra al terrorismo fuori tempo e fuori luogo e continua a considerare la necessità vitale di recuperare le terre ancestrali come un crimine contro la sicurezza dello Stato.“Recupero di terre ancestrali” è il crimine di tutti i 32 prigionieri politici mapuche nelle carceri cileni, condannati a pene detentive in molti casi sotto il capestro della legge anti-terrorismo in piena continuità con i tempi oscuri della dittatura di Augusto Pinochet.
Questa settimana è stato condannato a 5 anni di carcere per furto aggravato il dirigente mapuche Roberto Manquepi Vita. La sua colpa è stata aver recuperato erba dai pascoli comuni da sempre destinati ad usi civici dal suo popolo ma oggi occupato illegalmente da coloni privati. Altri per lo stesso “crimine”, sono stati più fortunati ed hanno evitato il carcere, ma hanno dovuto chiedere asilo politico sia in Argentina che in Svizzera.
Il tutto continua ad avvenire in un contesto mediatico manipolato dove i militanti mapuche, che disarmati vanno a far fieno per il bestiame al quale altrimenti non saprebbero cosa dar da mangiare, vengono definiti “terroristi” dai media senza mai mettere in dubbio le accuse contro questi.
E quando riescono a bucare il cono d’ombra dei media che li criminalizzano, come è il caso di Patricia Troncoso, che condusse uno sciopero della fame di 112 giorni un anno fa, immediatamente la luce si richiude. Oggi Patricia e i suoi compagni, per fortuna sopravvissuti, sono ancora in carcere e hanno ottenuto solo benefici minori. Con lei altri 31 mapuche sono detenuti nelle prigioni cilene e, nonostante siano accusati di crimini altrove considerati lievi, occupazione di terre, in qualche caso furto o incendio, la sistematica applicazione della legge anti-terrorismo causa l’applicazione di condanne gravi, quasi sempre superiori ai dieci anni di carcere.
Nonostante la società civile cilena sia silente, negli ultimi anni i mapuche riescono a beneficiare di avvocati prestigiosi, tra i quali l’ex-giudice Juan Guzman in grado di meglio difenderli anche se non sempre con buoni risultati.
Lunga continua ad essere la lista delle violazioni di diritti umani contro i mapuche contro i quali 20 anni di democrazia sembrano passati invano. Si va dal tredicenne Patricio Queipul Millanao, sequestrato e torturato dai carabinieri, a molteplici altri casi di minori detenuti in carceri per adulti, picchiati con multiple fratture, all’uso sistematico della tortura, di vessazioni e di violenza fisica in un’ancestrale lotta per la terra dove lo Stato ha da tempo, dal tempo di Manuel Montt a metà ‘800, scelto di stare da una parte contro un’altra.
Lo stato democratico continua a combattere contro gli indigeni del Sud una guerra al terrorismo fuori tempo e fuori luogo e continua a considerare la necessità vitale di recuperare le terre ancestrali come un crimine contro la sicurezza dello Stato.“Recupero di terre ancestrali” è il crimine di tutti i 32 prigionieri politici mapuche nelle carceri cileni, condannati a pene detentive in molti casi sotto il capestro della legge anti-terrorismo in piena continuità con i tempi oscuri della dittatura di Augusto Pinochet.
Questa settimana è stato condannato a 5 anni di carcere per furto aggravato il dirigente mapuche Roberto Manquepi Vita. La sua colpa è stata aver recuperato erba dai pascoli comuni da sempre destinati ad usi civici dal suo popolo ma oggi occupato illegalmente da coloni privati. Altri per lo stesso “crimine”, sono stati più fortunati ed hanno evitato il carcere, ma hanno dovuto chiedere asilo politico sia in Argentina che in Svizzera.
Il tutto continua ad avvenire in un contesto mediatico manipolato dove i militanti mapuche, che disarmati vanno a far fieno per il bestiame al quale altrimenti non saprebbero cosa dar da mangiare, vengono definiti “terroristi” dai media senza mai mettere in dubbio le accuse contro questi.
E quando riescono a bucare il cono d’ombra dei media che li criminalizzano, come è il caso di Patricia Troncoso, che condusse uno sciopero della fame di 112 giorni un anno fa, immediatamente la luce si richiude. Oggi Patricia e i suoi compagni, per fortuna sopravvissuti, sono ancora in carcere e hanno ottenuto solo benefici minori. Con lei altri 31 mapuche sono detenuti nelle prigioni cilene e, nonostante siano accusati di crimini altrove considerati lievi, occupazione di terre, in qualche caso furto o incendio, la sistematica applicazione della legge anti-terrorismo causa l’applicazione di condanne gravi, quasi sempre superiori ai dieci anni di carcere.
Nonostante la società civile cilena sia silente, negli ultimi anni i mapuche riescono a beneficiare di avvocati prestigiosi, tra i quali l’ex-giudice Juan Guzman in grado di meglio difenderli anche se non sempre con buoni risultati.
Lunga continua ad essere la lista delle violazioni di diritti umani contro i mapuche contro i quali 20 anni di democrazia sembrano passati invano. Si va dal tredicenne Patricio Queipul Millanao, sequestrato e torturato dai carabinieri, a molteplici altri casi di minori detenuti in carceri per adulti, picchiati con multiple fratture, all’uso sistematico della tortura, di vessazioni e di violenza fisica in un’ancestrale lotta per la terra dove lo Stato ha da tempo, dal tempo di Manuel Montt a metà ‘800, scelto di stare da una parte contro un’altra.
Per approfondimenti:
La "guerra preventiva" contro il popolo mapuche. Ancora 32 prigionieri politici (esp)
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ALLERTA ROSSA E CHIUSURA CARACOLES
BOICOTTA TURCHIA
Viva EZLN
Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.
La lucha sigue!