lunedì 20 luglio 2009

Continuano le proteste contro il golpe

Movimenti popolari paralizzano il paese

Enormi manifestazioni in tutto il paese. In Nicaragua bloccano la frontiera con l'Honduras

di Giorgio Trucchi

Per quanto tempo potrà ancora resistere il governo spurio di fronte all'impressionante capacità di mobilitazione dei movimenti popolari e all'isolamento internazionale?
Dopo 19 giorni di resistenza, i figli e le figlie coraggiose dell'Honduras hanno nuovamente dimostrato la loro forza, paralizzando il paese con blocchi delle principali vie di comunicazione in tutto il territorio nazionale.

A poche ore dalla ripresa del processo di negoziazione in Costa Rica, processo già ampiamente criticato dalle organizzazioni popolari che si oppongono al colpo di stato, il presidente Zelaya sembra in procinto di fare ritorno in Honduras per installare una sede alternativa di governo.

"Oggi abbiamo praticamente paralizzato l'Honduras", ha dichiarato alla Lista Informativa "Nicaragua y más" il coordinatore del Bloque Popular, Juan Barahona.
Abbiamo bloccato due delle più importanti vie di comunicazione della capitale: quelle che vanno verso Nord e Sud del paese. Siamo rimasti dalle 9 della mattina fino alle 4 del pomeriggio, paralizzando tutto il traffico commerciale.

A San Pedro Sula la gente ha bloccato la strada che va verso Puerto Cortés, il più grande porto marittimo dell'Honduras ed uno dei più importanti a livello centroamericano. Altre azioni importanti sono state fatte nella zona di Olancho -Est dell'Honduras- ed a Santa Rosa di Copán, dove transita il traffico commerciale che va verso il Guatemala ed il Salvador.

A Tegucigalpa - ha continuato Barahona - la partecipazione è stata immensa. Hanno aderito le tre principali centrali sindacali, i maestri, le donne organizzate, gli studenti di secondaria e quelli universitari che hanno occupato l'Università Autonoma e la Pedagogica. Il personale del settore sanitario hanno dichiarato lo stato di agitazione, ma la cosa più importante è che sta arrivando la gente comune, quella non organizzata, e chiede di unirsi alla lotta contro i golpisti.

Ormai si è trasformata in una lotta della popolazione in generale, con la coordinazione del Fronte Nazionale Contro il Colpo di Stato", ha affermato il dirigente sindacale e coordinatore del Bloque Popular con la voce spezzata dall'emozione.

Da San Pedro Sula, il coordinatore del Bloque Popular di questa zona e dirigente del Sindacato dei Lavoratori dell'Industria delle Bevande e Simili, Stibys, Erasto Reyes, ha comunicato che "più di 8 mila manifestanti contro il colpo di stato hanno occupato la strada che conduce a Puerto Cortés, interrompendo in modo indefinito il transito dei furgoni, camion ed ogni tipo di trasporto.

Dalla zona occidentale la gente si è mobilitata fin dalle prime ore della mattina per partecipare a questa protesta che durerà di 48 ore. Il coprifuoco, nuovamente imposto dai golpisti a partire da ieri 15 luglio, per intimorire la popolazione, non è servito a nulla e la gente ha sfidato questo divieto", ha raccontato Reyes nella sua nota.

Repressione a Olancho

A dispetto della campagna mediatica dei principali mezzi di informazione del paese, secondo i quali le proteste sarebbero state soffocate nel sangue dalle forze di polizia e dell'esercito, l'unico episiodio di violenza si è registrato nel dipartimento di Olancho, dove due persone sono state travolte e gravemente ferite da un convoglio militare. "Ciò che ci preoccupa è la situazione a San Pedro Sula, dove i movimenti popolari hanno deciso di sfidare il coprifuoco, estendendo la protesta per 48 ore - ha detto Juan Barahona-.

Per il dirigente sindacale, la dimostrazione di forza della popolazione per ristabilire l'ordine istituzionale nel paese è diventato l'elemento più importante affinché si mantenga viva la speranza di abbattere il regime golpista.
"La risposta della popolazione è stata impressionante ed i golpisti hanno i giorni contati. Domani (venerdí 17) continueremo con le occupazioni delle principali vie di comunicazione e con la mobilitazione in tutto il paese. Per la prossima settimana le centrali sindacali decreteranno uno sciopero nazionale ad oltranza. Questa è la nostra risposta al processo di mediazione che inizierà domani, sabato 18, in Costa Rica. Un processo che consideriamo uno strumento per consolidare i golpisti al potere e per debilitare la nostra resistenza. Per noi - ha concluso Barahona - è importante il sostegno delle popolazioni e dei governi del mondo, in quanto rafforza il morale del nostro movimento che ormai sta lottando da 19 giorni.

Movimenti sociali del Nicaragua si uniscono alla lotta

Con un'azione coordinata con i movimenti dell'Honduras, circa 120 persone appartenenti al Movimento Sociale Nicaraguense "Otro Mundo es Posible", capitolo Nicaragua della Alleanza Sociale Continentale, ASC, hanno bloccato per più di quattro ore la frontiera di Las Manos tra il Nicaragua e l'Honduras, in segnale di protesta contro il colpo di stato e in solidarietà con le organizzazioni popolari del vicino paese. Secondo Dolores Jarquín, della ASC, "Abbiamo formato una catena umana ostacolando il transito e molta gente che si trovava lì ha espresso la sua solidarietà con il nostro gesto. Dal lato honduregno della frontiera la polizia ha schierato un forte contingente di guardie armate, ma per fortuna non c'è stato nessun tipo di contatto o scontro. La polizia nicaraguense ha invece dimostrato la sua professionalità, proteggendoci".
Numerosa la presenza dei mezzi d'informazione nazionali ed internazionali Nei prossimi giorni - ha concluso Jarquín - realizzeremo altre manifestazioni di protesta a Managua contro il colpo di stato in Honduras e crediamo che queste azioni siano molto importanti per i movimenti popolari honduregni, che continuano a lottare affinché si ristabilisca l'ordine istituzionale nel loro paese".
L'Allenza Sociale Continentale ha deciso di inviare commissioni di osservazione e solidarietà in territorio honduregno, in modo da creare una presenza costante.

Ritorna Zelaya?

Mentre in Costa Rica il presidente di questo paese, Oscar Arias, che ha assunto il ruolo di mediatore nel processo di mediazione tra il governo costituzionale ed il regime de facto, sembra essere intenzionato, con l'avallo del governo statunitense, a lanciare una proposta di "governo di transizione", la ministra degli Esteri in esilio, Patricia Rodas, ha dichiarato alla stampa che il presidente Manuel Zelaya sarebbe già partito per far rientro nelle prossime ore in Honduras, con l'obiettivo di creare una sede alternativa di governo.

Afghanistan, l'artiglio della pantera

I talebani in fuga dall'offensiva Usa nel sud della provincia di Helmand si sono spostati a Lashkargah e nei distretti più a nord: a farne le spese sono i soldati britannici ma soprattutto i civili afgani

di Enrico Piovesana

Sotto un sole che arroventa l'aria, una colonna militare britannica di 'Mastiff' - i giganteschi blindati 6x6 protetti da grate su tutti i lati - attraversa lentamente il bazar di Lashkargah. Dalle torrette di questi bestioni color sabbia, i soldati di Sua Maestà puntano i mitragliatori su passanti, auto, motorette, trattori e sui carretti trainati dai muli. Tutti si immobilizzano e se possono si fanno da parte, rimanendo più lontani possibile dal convoglio che sfila, nella speranza di mettersi così al riparo da eventuali esplosioni di ordigni telecomandati talebani.

"I talebani in fuga dai marines americani - spiega Nabi, un meccanico - sono arrivati in città, quindi ci si può aspettare di tutto. Nei giorni scorsi hanno sparato razzi dalla periferia verso il centro della città: giovedì mattina contro un comizio elettorale pro-Karzai che era in corso davanti al palazzo del governatore, e venerdì pomeriggio contro il Prt. Li abbiamo sentiti fischiare sopra le nostre teste e poi esplodere. Hanno mancato tutti il bersaglio, cadendo in cortili e aree non abitate, senza provocare vittime. Ma il pericolo è proprio questo: non si sa dove possono cadere. Li chiamano 'razzi ciechi', proprio perché colpiscono a caso. Ma i talebani - continua Nabi - sono penetrati anche dentro la città. Sabato mattina, sarà stata l'una, si sono messi a sparare con i lanciagranate contro una pattuglia di soldati governativi, i quali hanno risposto al fuoco ferendo diverse persone che dormivano all'aperto per il caldo".

L'operazione militare statunitense 'Khanjar' - che in pashto significa 'pugnale', non 'colpo di spada' - ha spinto centinaia di talebani, che prima controllavano i distretti meridionali di Khanishin, Garmsir e Nawa, verso Lashkargah e ancora più a ovest e a nord, a Nadali, Grishk e Sanghin: per la gioia delle truppe britanniche che qui sono impegnate nell'operazione 'Panchai Palang', Artiglio di Pantera, lanciata in contemporanea con l'offensiva Usa a sud. "I talebani cacciati dagli americani sono affluiti tutti in queste zone, già roccaforti talebane, dove operano i britannici - spiega Safatullah, un giornalista locale - che quindi ora si trovano in guai seri, come dimostrano le pesanti perdite che stanno subendo in questi giorni".

A fare le spese di questa situazione però sono soprattutto i civili afgani che abitano nei distretti dove talebani e britannici si danno battaglia. "Stavo lavorando nel campo assieme ad altri contadini - racconta Abdul, steso in un letto dell'ospedale di Emergency a Lashkargah, con entrambe le gambe ingessate - quando un razzo, o una bomba, non so, è caduta vicino a noi. L'esplosione ha ferito me e due miei amici. Poco prima avevamo visto in lontananza dei blindati britannici, ma non saprei dire chi abbia sparato. Nel mio distretto, Nadali, c'è sempre stata la guerra, ma da una settimana è diventato un inferno: non c'è giorno che non combattano. E non serve a niente: i talebani sono sempre lì".

Erano di Nadali anche Habibullah e Abdullah, entrambi di 12 anni, Ziah, 14 anni, Mohamammad, 25 e Bora, una donna di 55 anni, arrivati morti la settimana scorsa nel centro chirurgico dell'Ong italiana: tutti vittime di bombardamenti aerei. Come almeno altri dieci civili, sempre di Nadali, ricoverati nei giorni con gravi ferite da schegge di bomba.
"Nella notte tra mercoledì e giovedì - racconta Safataullah - settanta persone sono state ferite a Babaji, nel distretto di Nadali, mentre cercavano di scappare dai combattimenti attraversando a piedi il fiume Helmand: i britannici hanno pensato che fossero talebani e li hanno bombardati".

E poi c'è il problema delle mine. Le corsie dell'ospedale di Emergency a Lashkargah si stanno riempiendo di feriti da mina a un ritmo assolutamente straordinario. "Negli ultimi due giorni - spiega un medico - ci sono arrivati una decina di feriti da mina, da Nadali ma anche da Garmsir, dove è in corso l'operazione dei marines. Molti di loro sono bambini, alcuni in condizioni gravissime. Normalmente, dieci ne arrivano in un mese! Pare si tratti di ordigni piazzati dai talebani per colpire i mezzi militari stranieri".

L'operazione militare britannica 'Artiglio di Pantera' sta provocando anche una grave emergenza umanitaria. Negli ultimi giorni almeno 20mila sfollati sono arrivati qui a Lashkargah, in fuga dai distretti dove si combatte: in particolare dalla zona di Babaji, nel distretto di Nadali. I più fortunati vengono ospitati da parenti e amici, ma la maggior parte di loro, circa 15mila finora, finisce nel campo profughi di Mokhtar: una desolata distesa di tende, baracche e casette di argilla alla periferia nord della città dove, dal 2002, vivono già almeno 20mila sfollati in condizioni drammatiche, privi di qualsiasi assistenza da parte del governo afgano. Ora, quindi, il campo ospita almeno 35mila persone. E ne continuano ad arrivare.

Mentre scriviamo, due boati scuotono la terra. Altri due 'razzi ciechi' sono caduti in città, a poche centinaia di metri dall'ospedale di Emergency: uno davanti al nuovo ufficio dell'Ariana Airlines e un altro vicino alla succursale dell'Afghan Bank. Per fortuna, c'è solo un ferito lieve e qualche danno alle aiuole.
Il sole tramonta su Lashkargah, ma il caldo rimane soffocante. Il muezzin intona il richiamo alla preghiera serale, ma il suo canto viene sovrastato dal rumore degli elicotteri Apache che volano lenti nel cielo rosa, sopra decine di piccoli aquiloni manovrati dai bambini che si godono le ultime ore di gioco prima del coprifuoco.

Tratto da: Peace Reporter

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!