mercoledì 22 luglio 2009

Honduras: La democrazia ha un prezzo e sono disposto a pagarlo

Dal Nicaragua: intervista in esclusiva con il presidente Manuel Zelaya Rosales

di Giorgio Trucchi

Dopo la conclusione della conferenza stampa con il presidente costituzionale dell'Honduras, Manuel Zelaya Rosales, che si è svolta nell'ambasciata di questo paese a Managua, salgo sulla macchina con cui si spostano il presidente ed il suo ministro della Presidenza, Enrique Flores Lanza, diretti ad un'intervista con un canale televisivo internazionale. Mancano pochi giorni o forse poche ore all'atteso ritorno del presidente Zelaya in Honduras, e nell'oscurità dell'auto cominciamo questa intervista in esclusiva per il Sistema informativo della UITA.
- In questi giorni ha annunciato la sua intenzione di ritornare in Honduras a qualunque costo. È una decisione definitiva?
- Non si tratta di qualcosa che attenta contro la stabilità del paese, al contrario è la ricerca di una soluzione e della stabilità. Speriamo che alla fine sia il modo migliore per iniziare un dialogo interno per risolvere il conflitto e porre fine alla repressione contro il popolo honduregno.

- Un dialogo con chi? -
Con il popolo, perché in una democrazia è il popolo che comanda. I gruppi di potere che hanno imbracciato le armi sono gruppi repressivi e devono smettere di esercitare un mandato che la popolazione non ha dato loro.

- Che cosa le ha fatto più male di questo colpo di stato contro la sua persona ed il suo gabinetto di governo?
- Mi fa male che stiano distruggendo il paese, che la società stia soffrendo, che stiano cercando di distruggere con l'uso delle armi i progressi fatti e gli sforzi di tante generazioni.

- Il governo de facto è completamente isolato a livello internazionale ed affronta una forte ed instancabile resistenza interna da parte dei movimenti popolari. Nonostante ciò, continua a mantenere un atteggiamento intransigente. Si è domandato se si tratta solamente di irresponsabilità o se conta sul sostegno di attori esterni?
- Sono come le fiere della foresta che si afferrano al loro cibo. Considerano che l'Honduras sia una propria azienda, una proprietà da sfruttare e sono un gruppo di dieci famiglie che vogliono mantenere le loro prebende economiche ed i loro privilegi. È una paura infondata perché nessuno sta attentando contro di loro, tuttavia credono che lo sviluppo democratico li possa colpire e quindi non accettano la democrazia.

- Durante la conferenza stampa ha detto che ci sono settori politici della destra nordamericana che hanno sostenuto il colpo di stato e che lo continuano a fare. È convinto del coinvolgimento di questi settori?
- Ci sono state manifestazioni pubbliche di queste persone schierandosi a favore del golpe, e tra di esse ci sono senatori e congressisti nordamericani.
Il signor Otto Reich è un ex sottosegretario di Stato per l'emisfero occidentale ed ha dichiarato di essere a favore del colpo di stato e lo stesso hanno fatto molte altre persone di spicco negli Stati Uniti. Ci sono quindi le prove, le evidenze, che dietro al golpe ci sono i falchi dell'ex presidente George W. Bush.

- Che importanza ha avuto il movimento popolare, sociale e sindacale nell'opposizione al processo di consolidazione del colpo di stato?
- Sono i protagonisti della difesa della democrazia, perché considerano che la democrazia sia lo strumento per raggiungere le conquiste sociali. Stanno combattendo contro il golpe e non smetteranno di farlo fino a quando non vengano corretti gli effetti di questo oltraggio contro del popolo honduregno e contro la democrazia. I golpisti stanno sfidando il mondo e bisogna fermarli, creando un precedente prima che sia troppo tardi.

- La UITA ha seguito gli avvenimenti a fianco dei movimenti popolari, prima, durante e dopo il colpo di stato. Per queste organizzazioni ci sono due elementi che non possono essere negoziati: il rifiuto di un'amnistia per i golpisti e che si continui con il processo della IV urna e della creazione di un'Assemblea Costituente. Che cosa ne pensa di questi due punti?
- Sarebbe ridicolo premiare i golpisti per ciò che hanno fatto. Credo che la posizione dei movimenti sociali punti a una soluzione del conflitto, ma che allo stesso tempo non ci siano premi o perdono per i delitti penali e comuni che si sono commessi. Credo anche che i sette punti proposti dal presidente Oscar Arias parlino di amnistia politica, ma non per i delitti comuni e penali. Per ciò che riguarda le riforme sociali, credo che il fatto di cercare una nuova strategia per continuare con queste riforme debba fare parte di un processo di ampia discussione all'interno della società honduregna. Non bisogna frenare le riforme sociali e neanche il diritto di partecipazione diretta della popolazione, perché sono diritti costituzionali. In questo senso, i punti di Oscar Arias non sono stati discussi come ci si aspettava e questo perché i golpisti non accettano la ricomposizione del sistema democratico, ma vogliono un regime de facto che non risponde alla legge. La cosa peggiore è che lo vogliono mantenere per mezzo della violenza e questo non lo possiamo accettare.

- Si è detto che ci sono due elementi fondamentali nella ricerca di una soluzione al conflitto: la posizione degli Stati Uniti ed il ruolo Forze Armate. È d'accordo?
- Oggi (22 luglio) abbiamo inviato una lettera al presidente Barack Obama chiedendogli rispettosamente di intensificare le misure non solo contro lo Stato repressivo, ma anche contro le persone che hanno cospirato ed eseguito il colpo di stato. Ora aspettiamo una risposta con l'obiettivo che queste misure aiutino a ristabilire veramente l'ordine ed il sistema di diritto. Se questo non accadesse resteremmo in uno stato di estrema precarietà, non solo io che sono stato vittima di un golpe per aver difeso i diritti della società, ma tutta la popolazione. Credo che il presidente Obama non abbia solo meccanismi diplomatici per creare pressione e spero che usi tutti i mezzi necessari, come hanno già fatto gli altri paesi dell'America Latina. Rispetto al tema delle Forze Armate, se esse servissero solo per dare colpi di stato logicamente dovremmo valutarne il ruolo. Credo comunque che in questo caso sia stata solo una cupola ad ordinare il golpe. Sono sicuro che gli ufficiali e la nuova generazione di soldati che riceveranno una Forza Armata macchiata di sangue non sono d'accordo con quanto successo.

- Si avvicina il momento del suo ritorno in Honduras. Non ha paura di essere arrestato o peggio ancora, assassinato?
- Io non ho nessuna paura, ma è logico che sia prudente e che prenda le dovute precauzioni. Quando la vita ha un senso bisogna darle il senso dello sforzo e della compensazione dello sforzo. A volte il sacrificio è necessario per ottenere conquiste sociali, e sono disposto a fare questo sforzo per la libertà, la democrazia e la pace del paese.

- Ha chiesto agli organi stampa di accompagnarlo nel tentativo di ritornare in Honduras. È una proposta reale?
- Ho chiesto che mi accompagnino. Sto rischiando tutto ed il mondo sta rischiando con me sostenendo il mio ritorno. Ho già detto che se dovesse capitarmi qualcosa, il generale Romeo Vásquez Velásquez sarà il responsabile della mia morte.

La road map di Abdullah Ocalan

Sarà resa pubblica tra metà agosto e il primo settembre la road map proposta dal presidente del Pkk Abdullah Ocalan.
Una proposta di pace che starà al governo turco decidere se cogliere o meno. Il Pkk dal canto suo ha prolungato il suo cessate il fuoco unilaterale fino al primo settembre proprio per consentire al presidente Ocalan di terminare la stesura della ‘yol haritasi’, la road map appunto. Un documento che conterrà le proposte e le considerazioni che in questi mesi sono state discusse e approvate in Kurdistan, Turchia e Europa. Dagli intellettuali alle organizzazioni kurde della società civile, dai rappresentanti politici kurdi ai guerriglieri, tutti hanno avuto occasione di dire la loro sulla formulazione di una proposta per una soluzione negoziata del conflitto kurdo-turco.

Nelle settimane scorse Murat Karayilan, membro del comitato centrale del Pkk, ha rilasciato un’intervista al giornalista di Milliyet Hasan Cemal.

Riproponiamo qui i punti salienti dell’intervista.
“Nessuno – dice Karayilan – può sconfiggere il Pkk militarmente e questo è ampiamente dimostrato dal conflitto in atto ormai da 25 anni”. Karayilan sottolinea dunque i primi passi da compiere. “Dopo che si è assicurato che entrambe le parti coinvolte nel conflitto avranno cessato le azioni militari, il passo successivo è negoziare con Abdullah Ocalan. Se la Turchia non vorrà negoziare con Ocalan, l’alternativa è negoziare con la leadership del Pkk. Se anche questo non sarà accettato l’alternativa è negoziare attraverso il Dtp o un ‘comitato di uomini saggi’, composto da persone rispettate. Questo comitato potrà avviare un dialogo con lo stato”.

Karayilan elenca quindi le richieste del Pkk al governo.

1. Il governo di Erdoğan non dovrà consegnare il problema kurdo nelle mani dei militari. Lo stato dovrà rispettare il Pkk e questo permetterà di rimuovere le armi da questo conflitto.

2. I generali dell’esercito turco hanno positivamente cambiato la loro opinione sulla questione kurda, tuttavia ancora non sono i politici a guidare il processo.

3. Ankara dovrà prendere in considerazione la situazione del leader del Pkk Ocalan e dei 4000 prigionieri del Pkk.

4. Un nuovo contratto sociale deve essere stabilito.

5. Il governo dovrà dimostrare empatia verso il Pkk.

6. Dopo le elezioni del 29 marzo ci si aspettava un certo ammorbidimento nelle posizioni turche, ma è avvenuto il contrario. E’ cominciata l’operazione contro il Dtp. Si tratta di un massacro politico. I risultati del 29 marzo sono un messaggio di pace.

7. Noi – dice Karayilan – abbiamo teso la nostra mano per stringere quella della Turchia in segno di pace. La Turchia non dovrà lasciare vuote le nostre mani.

Karayilan continua:“La prima cosa è silenziare le armi. Nessuno dovrà attaccare. Dobbiamo cominciare il lavoro con il dialogo, non con le armi. Siamo arrivati a un punto importante, c’era stata un’opportunità per la pace nel 1993, ma è stata persa. Non perdiamo anche questa, non vogliamo altro sangue. Perché gli anni passeranno e finiremo allo stesso punto. La Turchia verserà ancora sangue e il Pkk non potrà essere finito manu militari”.

Quanto alla deposizione delle armi, come precondizione, Karayilan è chairo. ” Deporre le armi è una fase successiva. Prima le armi devono essere mute. Nessuno deve usarle. Nella prima fase le armi saranno mute… quindi comincerà il dialogo. Bisogna essere chiari su un punto: non siamo saliti in montagna perché siamo impazziti. Non siamo saliti in montagna nemmeno per fare un picnic o una scampagnata. Dire che il Pkk dovrebbe consegnare le armi è un’affermazione vuota. E’ sparare in aria. Dove dovrebbe lasciare le armi? Come? A chi? Su quale base? E’ privo di senso dire di consegnare le armi. Prima sediamoci e dialoghiamo. Naturalmente è impossibile andare avanti se si continua a chiamare il Pkk una organizzazione terroristica”.

Adesso chiediamo “un Kurdistan democratico e autonomo”. Quello che intendiamo per autonomia non significa federazione. Non si tratta di ritracciare confini. Quella che proponiamo è una soluzione che preserva l’unità dello stato. La legislazione delle amministrazioni locali deve cambiare, le amministrazioni locali devono essere rafforzate.

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!