martedì 28 luglio 2009

La Rete e lo Stato


di Gloria Muñoz Ramírez

Furono mesi di viaggi ed accumulo di sofferenze e resistenze. Mesi nei quali, in precarie condizioni, si svolse il viaggio dell'Altra Campagna in tutto il territorio dimenticato del Messico. Con modeste apparecchiature audio e video si raccolsero e registrarono storie e si assunsero impegni. Giovani, in maggioranza provenienti da esperienze autonome, comunitarie e libertarie, cominciarono a lavorare, ancora senza proporselo, in quello che poi sarebbe diventata la Red de Medios Libres Abajo y a la Izquierda (Rete dei Media Liberi in Basso e a Sinistra).
Fu nel 2007, durante il passaggio della delegazione dell'EZLN per il nord del paese, quando Regeneración Radio ed il Frente Popular Francisco Villa Independiente-UNOPII "cominciarono a lavorare all'idea di poter costruire media liberi che accompagnassero i processi organizzativi nel luogo in cui si costruivano", a partire dalla premessa che "sono sempre pochi che decidono che cosa si trasmette e come, non sono mai i popoli".
Durante questi due anni il lavoro della Rete si è definito in due campi: l'elaborazione di laboratori sui media ed il lavoro politico ed organizzativo. Hanno realizzato campagne nazionali unitarie, scambiato materiali ed organizzate coperture.
Di fronte all'aperta criminalizzazione dei movimenti sociali, la Rete si propone di creare i meccanismi per rispondere alla repressione basandosi sull'informazione diffusa. "Pensiamo - si dice nel documento di invito - che una lotta si rafforza quando ha la capacità di diffondere le sue problematiche ed istanze, e la sicurezza che i suoi compagni, nonostante la distanza, sapranno sempre quello che sta succedendo loro e cercheranno il modo di solidarizzare.
Fin dalla sua nascita la Red de Medios Libres si è dichiarata autonoma criticando "le leggi che impediscono ogni possibilità al nostro popolo di creare propri media". Non chiedono niente allo Stato. Non hanno bisogno del permesso per trasmettere, dipingere, scrivere, stampare, fotografare e realizzare graffiti. L'obiettivo è costruire autonomia e rafforzare il movimento sociale che lotta contro il capitalismo. Per questo e molto altro si riuniscono questo fine settimana nella città di Oaxaca in un incontro al quale sono invitati i media liberi che "lavorano quotidianamente nella creazione di nuovi canali e forme di comunicazione indipendenti da partiti politici, organizzazioni non governative ed associazioni civili che, in maniera interessata, cercano concessioni, permessi e finanziamenti".
La Rete è chiara nel suo rifiuto "dello Stato come spazio di mediazione tra i nostri desideri e la necessità di comunicazione". Non è il momento di concessioni, ma del lavoro congiunto ed organizzato.

(Traduzione "Maribel" - Bergamo http://chiapasbg.wordpress.com/)

Tratto da:
La Jornada

Via gli eserciti di occupazione dall'Afghanistan

Nè per soldi né per prestigio

Il dibattito accesso da Bossi&Calderoli sui perchè rimanere e sui per cosa stare in Afganistan permette alcune riflessioni nel merito.
La prima. In Afganistan si sta perdendo la guerra, o meglio: la si era già persa con la gestione precedente dei massacri dal cielo (i.e. Predator + il texano bombing da 15.000 di altezza) e la si sta perdendo anche ora con i marines, i rangers, i folgorati semi-impantanati in un territorio che è troppo difficile e del tutto refrattario ai codici dell'Occidente occupante.
Lo è perchè trent'anni di guerra non obbligano alla pace se essa è scritta con il linguaggio e gli istituti dell'Occupante, se essa non veicola benessere distribuito, ma cluster di nuovi poteri e sfruttamenti e se il nuovo punto di equilibrio tra questi (i.e. la risultante del processo elettorale a la occidentale) si deve ancora trovare.
Non c'è e non ci sarà pace in Afganistan, purtropo per i civili che, frequentemente, sono gli obbiettivi dei combattimenti nelle guerre contemporanee.
La roadmap 2.0 di Obama è, alla fine della fiera, un altro modo per fare (e rilanciare) la guerra in attesa di una exit strategy che deve ancora arrivare e che incombe sotto il peso di un costo enorme, non più mantenibile unilateralmente, e dell'assenza di un mercato potenziale di beni e clienti che, a differenza della Mesopotamia, qua non c'è.
Il cui prodest della Lega trova nei 500 milioni di fattura di guerra italiana le ragioni dei dubbi e, d'altro canto, chiunque osservi il contesto non troverà nessun avanzamento concreto.
La replica di Frattini è del tutto esauriente: stiamo e staremo in quell'inferno per “prestigio internazionale”, un po' come se l'Afganistan fosse una Crimea del bonapartismo della corte Berlusconi.
Non c'è invece nessuna scusa per occupare qui territori, ci sono, invece, molti, moltissimi motivi per aprirvi ospedali, progetti non governativi – e not embedded- di cooperazione, di sostegno ad un altro sviluppo, di una diplomazia dal basso che ci permetta di comprendere quei territori bel aldilà di quanto ci permettano di fare i report degli inviati RAI.
Via gli eserciti di occupazione, fuori la guerra dall'Afganistan, dunque, e fuori l'Europa dalla guerra. Queste sono le uniche parole di buonsenso.

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!