giovedì 1 ottobre 2009

We are the Crisis: Occupy California!


Usa: durante il G20 esplode la "bolla" dell'educazione

di Paolo Do

Non è altro che l`inizio! È da Venerdì scorso che decine di studenti e lavoratori della UC di Santa Cruz stanno occupando alcuni locali del proprio campus per protestare contro i tagli ai finanziamenti pubblici e salari, insieme ai vertiginosi aumenti delle tasse universitarie. ‘Non abbiamo altra scelta che occupare, perché la situazione è diventata insostenibile’. Queste sono le prime parole con cui studenti e ricercatori annunciano l`occupazione dell’università di Santa Cruz in California (http://occupyca.wordpress.com/).

Qualche mese fa, parlando del sistema universitario americano, un giornalista del famoso Chronical HE si chiedeva quando la bolla della educazione sarebbe scoppiata. Una domanda retorica se si pensa che nella sola California i pesanti tagli hanno ridotto di quasi 40.000 studenti il numero degli iscritti per l`anno accademico 2010/2011 con un aumento delle tasse fino a 10.300 dollari in più, vale a dire un aumento annuo del 32% (sic!). A questo dobbiamo aggiungere che il debito studentesco è aumentato dell`800% dal 1977 al 2003 solo negli Stati Uniti e quasi i due terzi degli studenti sono di fatto lavoratori a tempo pieno.

Alle cinque del pomeriggio di giovedì scorso, decine di studenti e lavoratori dell`università si sono incontrati al secondo piano della UC Santa Cruz. Bloccate le porte con banchi e mobili vari, la scritta ‘Occupiamo tutto!’ è comparsa sulle pareti del campus.

La solidarietà a questa occupazione e alle loro rivendicazioni è arrivata in un solo giorno fin dalle università di Washington e dagli studenti della NYU, ovvero dall`altra parte degli States.

Gli occupanti domandano al rettore ed ai suoi organi accademici di bloccare i tagli al personale e ai salari, così come l`aumento delle tasse studentesche per coprire un buco di bilancio di 813 milioni di dollari dovuto alla mancanza di fondi pubblici.

Un aumento delle tasse e allo stesso tempo un drastico taglio alle risorse condanna inevitabilmente gli studenti a pagare sempre di più per un servizio sempre più dequalificato. Ricetta, questa, in via di sperimentazione anche negli atenei europei ed italiani in particolare.

Docenti costretti a prendersi un anno di aspettativa, interi dipartimenti dimezzati, aumenti delle tasse universitarie: non è soltanto la crisi del pubblico quella che abbiamo di fronte con la quasi bancarotta della UC, ma di un particolare modello di università, ovvero di quel virtuoso legame che ha reso possibile, per intenderci, esperienze produttive come la Silicon Valley, altrimenti impensabili senza la spina dorsale delle università californiane.

Richiamandosi direttamente alle occupazioni di fabbrica della Chicago Republic Windows and Doors da parte degli operai, dopo che la Bank of America aveva cancellato il finanziamento alla compagnia nel 2008, questa nuova occupazione ad oltranza ci insegna di come sempre più anche lo stesso mondo dei servizi sia legato a doppio filo alla stessa speculazione finanziaria.

Tutt’altro che passata, la crisi sta facendo sentire fino in fondo la sua morsa: dopo aver messo in ginocchio uno stato come la California e la città di Chicago, sta pesantemente investendo le stesse istituzioni universitarie statunitensi sia pubbliche che private.

Dopo le note rassicuranti dei governi seduti al G20 di Pittsburgh e della banca centrale (Fed in testa) che candidamente hanno affermato come il peggio sia ormai passato, gli fa eco oggi il rumoroso slogan degli occupanti della baia di S. Francisco: ‘We are the crisis!’. Noi siamo la crisi!

Tratto da:
UniRiot.org

Links Utili:
http://occupyca.wordpress.com/
http://socialismandorbarbarism.blogspot.com/
http://wewanteverything.wordpress.com/
http://www.edu-factory.org

martedì 29 settembre 2009

Precipita la situazione in Honduras

91° giorno di resistenza

Decreto esecutivo calpesta le libertà individuali e collettive Ultimatum al Brasile ed agli altri paesi che hanno rotto relazioni con il governo di fatto

di Giorgio Trucchi

L’appello fatto dal presidente legittimo dell’Honduras, Manuel Zelaya Rosales, affinché la popolazione si concentri a Tegucigalpa per celebrare tre mesi di lotta e resistenza contro il colpo di Stato, ha scatenato la reazione del governo di fatto e dei poteri politici, economici e militari che l’hanno orchestrato, diretto ed eseguito, conducendo il paese verso un abisso. Un vicolo cieco che mette la parola FINE alle aspettative di un dialogo nazionale e che trascina il popolo honduregno verso uno scenario molto pericoloso di violenza e morte.

“Il 28 settembre compiremo tre mesi di resistenza contro il colpo di Stato militare ed in tutto questo periodo il popolo honduregno ha dimostrato la sua grande capacità di lotta – ha detto il presidente Manuel Zelaya durante una conferenza stampa all’interno dall'ambasciata del Brasile dove si è rifugiato la scorsa settimana –.

Manifestiamo che persiste un atteggiamento negativo da parte del regime di fatto di non volere ascoltare il nostro appello al dialogo, che ha l’obiettivo di riportare la pace e la libert nel paese.
La risposta al nostro appello – ha continuato Zelaya – è stata la repressione contro il popolo, contro di me e le persone che mi accompagnano in questa sede diplomatica.
Chiedo a tutto il popolo honduregno ed in modo speciale alle organizzazioni della resistenza, che il 28 settembre si manifestino in modo pacifico in tutto il paese”.

Verso l'abisso
La reazione inconsulta del governo di fatto non si è fatta attendere ed in meno di 24 ore sono state prese una serie di misure che hanno messo il paese sull'orlo di un abisso.
É stato presentato al governo brasiliano un ultimatum affinché entro 10 giorni definisca lo status del presidente Zelaya. Trascorso questo termine verranno rotte le relazioni con il paese sudamericano e non verrà riconosciuto come territorio straniero l'edificio che ospita la sede diplomatica, aprendo in questo modo la porta ad un possibile intervento militare.
Immediata la risposta del presidente brasiliano Inacio Lula Da Silva che ha qualificato il presidente di fatto Roberto Micheletti come “un usurpatore nel potere" ed ha detto di non volere minimamente rispettare un ultimatum emesso da dei golpisti.
Il governo di fatto ha inoltre sollecitato il personale diplomatico dell'Argentina, Messico, Venezuela e Spagna, paesi che hanno rotto le relazioni con l’Honduras, di togliere gli emblemi dalle sedi e consegnare le credenziali che li identificano come tali.
Allo stesso modo ha proibito l'entrata in Honduras agli ambasciatori di questi paesi ed ha posto come condizione agli altri ambasciatori che avevano abbandonato il paese di presentare nuove credenziali per essere accettati.
Momenti di tensione si sono vissuti all'aeroporto internazionale di Toncontín, quando quattro funzionari dell'Organizzazione degli stati americani, Osa, sono stati prima trattenuti e poi fatti risalire sull’aereo, impedendo loro l’entrata in Honduras.
Solamente a uno di loro è stata concessa l’entrata e la permanenza per un periodo molto limitato di tempo.
"Ció a cui stiano assistendo è l'intenzione del governo di fatto di creare un vero e proprio isolamento mediatico, affinché non si sappia ciò che accadrà lunedì e martedì in Honduras – ha denunciato Andrés Pavón, Presidente del Comitato per la difesa dei diritti umani in Honduras, Codeh –.
Hanno pianificato una grande repressione contro i manifestanti, arrestare ed uccidere come hanno fatto fino ad adesso. Non vogliono che la Osa o la Commissione interamericana dei dirtti umani, Cidh, vedano cosa accade.
Abbiamo già 15 persone uccise per motivi politici e questi delitti sono classificabili come delitti di lesa umanità, come è il caso della ragazza morta per i gas lacrimogeni che la polizia ha sparato durante lo sgombero della zona adiacente all'ambasciata del Brasile – ha concluso Pavón.
Wendy Elizabeth Ávila, 24 anni, è deceduta la notte del 26 settembre a causa di complicazioni respiratorie dopo vari giorni di agonia. Il suo corpo è stato velato da migliaia di persone nelle installazioni del Sindacato dei Lavoratori dell'Industria delle Bevande e Simili, Stibys.

Zero diritti individuali e collettivi
Come un’ennesima azione repressiva, il governo di fatto ha firmato un Decreto Esecutivo con il quale sospende a tempo indefinito le principali garanzie costituzionali del popolo honduregno.
Secondo il decreto vengono sospesi vari articoli della Costituzione e in questo modo "Si proibisce qualsiasi riunione pubblica non autorizzata dalle autorità poliziesche o militari", dando la facoltà a tali forze repressive di dissolverlea con la forza.
Prevede anche la proibizione di “Emettere pubblicazioni attraverso qualsiasi mezzo di comuniocazione parlato, scritto o teletrasmesso che offendano la dignità umana, i funzionari pubblici o attentino contra la legge, le risoluzioni governative, la pace e l'ordine pubblico”.
Con un atto di grave violazione alla libertà di espressione, che punta ovviamente alla chiusura dei mezzi di comunicazione che continuano a denunciare il colpo di Stato, come Radio Globo, Canale 36, Radio Progresso e le radio comunitarie, il decreto ha dato alla Commissione Nazionale dellei Telecomunicazioni, CONATEL, e alle Forze Armate l'autorizzazione a “sospendere qualunque stazione radio, canale di televisione o sistema via cavo che non adatti la propria programmazione alle presenti disposizioni”.

Infine, il decreto ordina “lo sgombero di tutte quelle installazioni dello Stato che sono state occupate illegalmente”, mettendo in serio pericolo le organizzazioni contadine e il Sindacato dei Lavoratori dell'Istituto Nazionale Agrario (SITRAINA), affiliato alla UITA, che da tre mesi hanno occupato questa istituzione.

La Resistenza risponde
Con una massiccia assemblea, il Fronte nazionale contro il colpo di Stato ed uno dei suoi principali leader, il dirigente sindacale Juan Barahona, hanno chiesto alla gente di non avere paura e di continuare con la lotta.
“Continueremo sotto il fuoco delle pallottole, il fumo dei gas lacrimogeni e gli stivali militari. Ci alzeremo e ci libereremo di questa dittatura, perché bisogna sconfiggerla – ha detto Barahona davanti alla folla ed alla bara di Wendy Elizabeth Ávila –.

Non possono essere più forti di un popolo che lotta con coraggio e dignità. Per questo motivo non possiamo retrocedere in questa lotta, perché oggi è Patria o Morte. Perché è una lotta di dignità dove esponiamo la cosa più preziosa che abbiamo e cioè la vita. Perché oggi il sangue dei martiri si trasformerà in seme di libertà”, ha concluso.

Oggi, 28 settembre, il Fronte nazionale contro il colpo di Stato, sfidando il decreto si riunirà davanti all’Università Pedagogica per marciare nuovamente e celebrare in questo modo i tre mesi di resistenza contro il golpe.

© (Testo e Foto Giorgio Trucchi - Lista Informativa "Nicaragua y más" di Associazione Italia-Nicaragua

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!