martedì 6 ottobre 2009

Argentina - Muore la grande Mercedes Sosa, cantante simbolo della lotta alla dittatura

da Peacereporter



Mercedes Sosa, leggenda della musica folk argentina, è morta all’alba di ieri all’età di 74 anni. L’artista, simbolo della resistenza contro la dittatura degli anni ’70, si è spenta nel reparto di terapia intensiva del Sanatorio de la Trinidad di Buenos Aires - dov’era ricoverata dal 18 settembre scorso - in seguito ad una disfunzione renale che ha compromesso l’organismo e dalla quale è derivata una crisi cardiorespiratoria.

Con Mercedes Sosa, nota al mondo come "La Negra", se ne va la voce più famosa dell’America Latina. A testimoniarlo sono i migliaia di fan che da qualche ora fanno la fila davanti alla camera ardente per porgere un ultimo saluto alla loro beniamina e le decine di migliaia di messaggi che da quando è stata divulgata la notizia della scomparsa stanno intasando il sito web dedicato all’artista.

Il destino dell’artista da sempre considerata come uno dei maggiori esempi dell’identità argentina e latinoamericana sembrò essere segnato già dal giorno della sua nascita. Il 9 luglio 1935, ricorreva infatti il centodiciannovesimo anniversario dell’indipendenza dell’Argentina dalla Spagna. Negli anni ’50 Mercedes Sosa, nata a Tucuman, sposa Oscar Maluts perchè, sosteneva "mi ero innamorata delle sue canzoni". Con lui, Armando Tejada Gomez, Tito Francia, Horacio Tusoli, Victor Nieto fondò all’inizio degli anni Sessanta il Movimento del Nuevo Cancionero che avrebbe condizionato per gli anni avvenire la canzone popolare argentina. Mercedes Sosa non aveva solo una voce eccezionale, ma la sua canzone superava paesaggi, abbracciava le cose più belle dell’essere umano e denunciava le ingiustizie sociali.

L’artista diceva di se stessa: "Questi premi sono appesi alle pareti di casa mia non solo perchè canto, ma perchè penso. Penso agli esseri umani, alle ingiustizie. Penso che se non avessi pensato in questo modo il mio destino sarebbe stato un altro. Sarei stata una cantante comune".

Nel 1978 la polizia interruppe un suo recital a La Plata e la tenne agli arresti per diciotto ore. Nel 1979 fu costretta a andare in esilio a Parigi e poi in Spagna per ritornare in patria solo nel 1982. I concerti che da allora tenne al teatro dell’Opera non solo segnarono il suo ritorno, ma la consegnarono anche all’Olimpo della musica nazionale. La storia degli ultimi anni della sua carriera è segnata da cadute e ritorni alla gloria. Nelle interviste rilasciate nel corso degli anni l’artista ha sempre sostenuto di essere affetta da una "depressione mascherata" che traeva origine dalla sofferenza dell’esilio.

Nel 2005, durante l’ultimo gran ritorno sulle scene, la Sosa è apparsa indebolita fisicamente e con oltre trentacinque chili in meno rispetto al suo peso abituale. Nonostante la sofferenza continuava a dichiarare al mondo "Quant’è bello cantare. Mi innamoro delle canzoni come ci si può innamorare di un uomo. Amo ciò che canto, per questo non ho mai pensato di cantare per vivere. Io canto perchè amo farlo, da sempre".

Sito ufficiale

Diyarbakir - Dal Forum della Mesopotamia

Donne, guerra, carceri, questione kurda.


Donne, guerra, carceri, questione kurda. Sono gli argomenti piu’ dibattuti in questo primo forum della Mesopotamia. Al dibattito dedicato a media e donne la direttrice del quotidiano Gunluk ha sintetizzato cosi il suo punto di vista: i mass media usano le parlamentari donne del partito filo kurdo Dtp (partito della societa’ democratica) per incanalare la discussione sulla questione kurda nella direzione che piu’ fa comodo a loro. İn altre parole le donne vengono usate come oggetti o strumenti per deviare l’attenzione su altro. İn particolare i media usano un nuovo discorso rispetto alle donne kurde, introducendo nuove forme di discriminazione di genere e politica.

İl dibattito emotivamente piu’ forte ieri e’ stato quello dedicato alla situazione nelle carceri della Turchia. Ci sono quasi centoventimila prigionieri, di cui oltre 5200 (dati del ministero della giustizia) politici, ha ricordato una rappresentante dell’associazione diritti umani (İhd). E c’e’ una disparita’ di trattamento tra prigionieri politici e comuni (anche se questi ultimi soffrono comunque torture e violenze). Per le donne detenute la situazione e’ spesso piu’ drammatica che per gli uomini. Lo ha raccontato in maniera toccante Avca. ‘Donna, kurda e militante del Pkk’. Che equivale a ‘essere verbalmente e fisicamente abusata sessualmente. La violenza – ha detto – e’ costante’. Al punto che le detenute che hanno bisogno di cure mediche chiedono di non eserse portate in ospedale o in infermeria ‘perche’ quelli diventano incubi. Durante il trasporto in ospedale – ha raccontato Avca – la violenza aumenta’. A lei e’ accaduto mentre stava andando all’ospedale d’urgenza per un’ulcera allo stomaco. ‘Mi hanno abusata sessualmente e verbalmente. İ soldati si sono rifiutati di uscire dall’ambulanza nonostante la richiesta dei medici. Avevo ancora la flebo al braccio, mi hanno gettata per terra e picchiata’.

Violenza che colpisce le donne non solo in quanto militanti ma anche in quanto donne. ‘Non sopportano – dice Avca – di vedere delle donne reagire, chiedere i loro diritti’.
La violenza nelle carceri e’ diventata improvvisamente reale con il racconto di Sali. ‘Sono stato in carcere vent’anni - ha detto – la maggior parte di questi nella prigione militare di Diyarbakir’. E’ la prigione 5 di cui sappiamo le orribili storie di violenza anche grazie al libro dell’ex sindaco della citta’ kurda, Mehdi Zana.
‘Dopo il golpe del 12 settembre 1980 – dice Sali – la situazione se possibile e’ peggiorata. İl golpe io l’ho vissuto in carcere. E carcere voleva dire soltanto due cose: tortura e isolamento’. Con rabbia ma anche con una forza interiore difficile da descrivere a parole Sali ha raccontato ‘l’inenarrabile, perche’ se uno non vive personalmente queste cose non puo’ credere che un uomo possa arrivare a usare tanta violenza contro un altro uomo’. L’inenarrabile e’ ‘costringere i detenuti a mangiare i loro escrementi, tutti i giorni.
Costringere i detenuti a urinare in bocca ai compagni. Costringere i detenuti a mangiare topi’. L’inenarrabile. L’orrore che si materializza. ‘Ti chiedi spesso come sia possibile che un uomo arrivi a tanto, a usare tanta violenza contro un altro uomo. L’unico scopo della tortura era arrivare ad annientarci, umiliarci a tal punto da cancellarci se non fisicamente almeno psicologicamente’.
Diyarbakir, prigione 5. Oggi si sta discutendo se farne un museo. Per molti ex detenuti sarebbe importante. Non un museo degli orrori, ma un perenne ricordo di quello che e’ accaduto ‘in questo carcere della brutalita’ dell’uomo sull’uomo ‘ dice Sali. Ma un museo ricorderebbe anche la resistenza eroica dei detenuti kurdi. ‘Ci hanno stuprato – dice ancora Sali – costretto a mangiare i nostri stessi escrementi ma non ci hanno spezzato. İn quel momento era proibito tutto, anche piangere, scambiarsi due parole. Era proibito anche morire’. Sali viene condannato a morte e ‘mi auguravo ogni volta che si apriva la porta della cella che fosse arrivato il momento. Perche’ l’isolamento e’ come la tortura: ti umilia. Non riesci nemmeno piu’ ad articolare una frase dopo mesi di isolamento. E’ l’alienazione dalla tua stessa identita’, dal tuo stesso essere’. La resistenza pero’ ‘non e’ mai venuta meno e ancora continua – dice Sali che sulle aperture del governo turco nei confronti dei kurdi e’ scettico – siccome ho visto l’impossibile, ho vissuto l’invivibile non credo piu’ alle parole. Voglio vedere la pratica. Atti concreti. İl popolo kurdo – conclude Sali – vuole la pace, chiede la pace. Ma la risposta sono gli aerei che si alzano da questa citta’ per andare a bombardare. La risposta sono le decine di persone che vengono arrestate ogni giorno, bambini compresi. No – conclude – senza atti concreti non posso credere al governo turco, alla sincera volonta’ del primo ministro Erdogan di lavorare per la pace’.

di Orsola Casagrande

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!