giovedì 12 novembre 2009

Gara di resistenza degli elettricisti

Messico: bloccata la capitale per un giorno.
Decine di manifestazioni in tutto il paese


La dirigenza sindacale per la 'via civile e pacifica'. I lavoratori da un mese senza reddito.

Gli elettricisti messicani son nuovamente scesi in piazza ieri 11 novembre riuscendo sostanzialmente a bloccare la capitale messicana e realizzando mobilitazioni in diverse altre regioni del paese. Dalle 7 di mattina, tutti gli ingressi stradali a Città del Messico sono stati bloccati per diverse ore con tanto di scontri e, si dice, qualche sparo. In città almeno 35 manifestazioni e blocchi stradali sparsi un po’ ovunque, soprattutto presso le sedi del governo federale e dell’ex-impresa, Luz y Fuerza del Centro (LyFC), liquidata improvvisamente per decreto del presidente Felipe Calderón il 10 ottobre scorso. Nel resto del paese, la solidarietà per le migliaia di lavoratori rimasti senza lavoro da un giorno all’altro s’è espressa anche in diversi punti del paese in diverse manifestazioni. Le più numerose e partecipate, quelli solidali di Oaxaca grazie alla dissidenza sindacale dei maestri della Sección 22; e del nord del paese promosso dai minatori.

È una gara a chi più resiste. Da una parte il governo che prova a logorare la resistenza sindacale prendendo per disperazione e letteralmente per fame gli oltre 44mila elettricisti licenziati il 10 ottobre. Dall’altra gli stessi lavoratori, appartenenti tutti al Sindacato Messicano degli Elettricisti (SME), che resistono grazie alla sempre maggior solidarietà sociale che stanno ricevendo.

La mobilitazione era stata convocata lo scorso 26 ottobre in occasione dell’assemblea generale di solidarietà durante la quale si era convocata la manifestazione dell’11, il cosiddetto Paro Cívico Nacional, l’alternativa ‘civile e pacifica’ allo sciopero che molti acclamavano. D’altra parte, la dirigenza sindacale - sostenuta da una minima parte della classe politica messicana e dagli altri grandi sindacati ‘democratici’ - lo aveva detto sin da subito ed ha impostato la resistenza sulla cosiddetta ‘via legale e politica’, la stessa che promuove l’ex candidato presidenziale Andrés Manuel López Obrador: quindi enorme collegio di avvocati e pressione sul Congresso federale. E tante manifestazioni ‘pacifiche’ di piazza.

Ed infatti, la mobilitazione di ieri è stata generalmente tranquilla sotto il profilo dell’ordine pubblico, fatta eccezione di alcuni incidenti da verificare e lo sgombero violento di alcuni blocchi stradali. E se in questi ultimi è stata la Polizia Federale che ha attaccato i manifestanti, nel primo caso si parla nello specifico di dieci spari esplosi contro la polizia. Il fatto - che ha comunque prodotto 10 arresti - è da confermare e potrebbe in realtà trovare origine tra persone estranee alla mobilitazione. Nelle strade la dirigenza sindacale dunque. Ma soprattutto la base lavoratrice che, seppur ‘pacifica’, ha dimostrato grande determinazione, dignità e, per certi versi, entusiasmo.

Gli elettricisti hanno compiuto ieri un mese in resistenza privati del reddito della scomparsa Luz y Fuerza del Centro. Per fortuna, la solidarietà continua a mantenere i lavoratori e relative famiglie: una vasta rete di organizzazioni che raccolgono cibo e soldi in diversi punti della città e del paese.

Lo sforzo è enorme. In queste settimane non solo vi è stata la repressione e il disprezzo che il governo organizza e trasmette nei confronti soprattutto dei lavoratori più attivi. Vi è anche l’appetitosa offerta del governo che ha fissato per il 14 novembre prossimo (tra 2 giorni!) il limite massimo per accettare la ‘favorevole’ liquidazione proposta dal governo. Il ministro del lavoro, Javier Lozáno Alarcón, ha infatti offerto condizioni estremamente favorevoli più un premio economico. E poi, la promessa del reinserimento lavorativo, vuoi via riassunzione nella nuova impresa che gestisce il sistema - la CFE - o grazie al finanziamento per la formazione per ‘micro e piccole imprenditori'. Peccato che i soldi della liquidazione sono per ora solo una cambiale con scadenza ‘aprile 2010’ con la firma del governo messicano; la riassunzione sarà solo per poco meno di 5mila lavoratori; e i corsi di formazione sono per i futuri ‘padroncini’ dell’elettricità messicana, ovvero una miriade non protetta di lavoratori autonomi.

Ma la tentazione è comunque forte. Sinora meno della metà dei 44mila rimasti a piedi avrebbe accettato l’offerta. Non troppi a pensarci bene. Ma comunque una cifra che non ci aspettava. Poco importa, forse alcuni se ne pentono oggi, dopo che è giunta la prima vittoria legale (certo, anche l’unica): la sentenza di sospensione del procedimento di liquidazione dell’impresa. La sentenza è importante certo, soprattutto se si dovesse ‘vincere’, ovvero tornare alla situazione precedente il 10 ottobre, perché rappresenterebbe un’enorme vantaggio economico per il SME e i lavoratori.

A questo punto però, è urgente chiedersi: sarebbe quella la vittoria? Il Paro Nacional non ha dato molte risposte in questo senso. Certo, per gli elettricisti sarebbe un bel colpo far fare un passo indietro di questa portata al governo. Ma il movimento sceso nelle strade oggi sembra voler anche dell’altro. Cosa? Pochi lo dicono e forse pochissimi lo sanno.

Il vero dato che non permette di essere ottimisti rispetto ad un ritorno al passato, ma piuttosto obbliga ad uno sguardo verso il futuro che preveda altri scenari, altri orizzonti o, almeno, altre soluzioni, è il fatto che il governo - ed in generale il paese, quindi anche i messicani - si stanno giocando una partita che va oltre il pur grave licenziamento in tronco di oltre 44mila persone e la precarizzazione per 44mila famiglie.

La partita sull’elettricità è vastissima. Comprende i giochi economici di medie e piccole dimensioni (alcuni davvero miserrimi) di funzionari di diverso grado - tra cui il presidente Calderón - che presto lasceranno il posto e lo vogliono fare con la tasche piene; altrettanto discreti giochi di personaggi politici di varie provenienze che cercano di rifarsi una verginità politica o di inventare una carriera; e grandi partite - ma a geometria variabile - di imprese multinazionali impegnate a spartirsi la torta dell’energia messicana e continentale, nel contesto dei grandi piani energetici pubblico-privati che attraversano l’America Latina.

Ed infine, la grande partita che forse vale definire una sfida, non ultima né definitiva, ma pur sempre una scommessa per una popolazione sempre più messa all’angolo dalla politica economica e di sicurezza del governo. Proprio in queste settimane, infatti, dopo un noioso e francamente penoso rimpallo di responsabilità tra senatori e deputati, i due rami del parlamento messicano hanno finalmente approvato la legge finanziaria per il 2010 proposta dal governo federale, giunto ormai a metà del suo mandato. E la voce forte degli ingressi previsti per l’erario pubblico è rappresentata da un generale aumento delle tasse. Al di là delle considerazioni di merito sull’opportunità o meno di questa misura economica nel contesto della ‘crisi’, il risultato reale, concreto e tangibile e pressoché immediato - cioè nel corso del prossimo anno - che ci si può aspettare è un ulteriore e generale impoverimento della popolazione.

È decisamente sempre più difficile comprendere non solo il grado di controllo e previsione - anche solo nel corto periodo - che chi governa esercita sulle azioni che promuove e sulle conseguenze delle stesse, ma anche quali sono i limiti del proverbiale - o semplicemente presunto - livello di tolleranza della moltitudine in movimento in Messico.

di Matteo Dean

mercoledì 11 novembre 2009

Le forze armate USA tornano ad occupare le basi di Panama


di Antonio Mazzeo

Procede senza sosta la controffensiva del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti in America latina. Dopo aver firmato un accordo con il governo colombiano per l’utilizzo di sette basi aeree, Washington ha ottenuto dalle autorità panamensi l’autorizzazione a reinstallare proprie unità militari in quattro stazioni navali di fondamentale importanza per il controllo del Canale di Panama e dei Carabi. Lo ha denunciato il diplomatico Julio Yao, presidente del Servicio de Paz y Justicia, durante il discorso ufficiale pronunciato il 3 novembre scorso in occasione dell’annuale festa di commemorazione del “padre dell’indipendenza” panamense, Manuel Amador Guerrero. Alla presenza del presidente Ricardo Martinelli e delle maggiori autorità civili e militari del paese, Julio Yao ha lanciato parole durissime nei confronti del governo, stigmatizzando la decisione che “viola apertamente la sovranità nazionale”. “Le basi aereonavali e della polizia panamensi messe segretamente a disposizione degli Stati Uniti per lanciare possibili operazioni in tutta la regione – ha dichiarato il diplomatico - accentuano la militarizzazione di un ampio spazio territoriale e sono una franca cospirazione contro la pacifica convivenza tra i popoli e la soluzione pacifica dei conflitti”.

La cessione di infrastrutture militari alle forze armate USA era trapelata già a fine settembre, dopo la visita a Panama della Segretaria di Stato, Hillary Clinton. Allora, il ministro alla Giustizia, Jose Raúl Mulino, aveva però ammesso solo la firma di un accordo di cooperazione bilaterale per rafforzare la presenza delle forze di sicurezza panamensi in due basi navali, a Bahía de Piña nella provincia del Darién, al confine con la Colombia , e a Punta Coca (Veraguas), nella parte sud-occidentale del paese. “Si tratterà esclusivamente di stazioni interforze panamensi, a disposizione dei Servizi di Frontiera e Aeronavali e della Polizia Nazionale, per rispondere all’esigenza di maggiori controlli delle coste panamensi contro il traffico di stupefacenti”, dichiarava il rappresentante dell’esecutivo. Un mese dopo le basi militari sono divenute quattro e il loro uso è stato concesso alle forze armate statunitensi. “Si sono pure moltiplicate le finalità di queste installazioni militari”, commenta Marco Gandásegui, docente dell’Università di Panama e ricercatore del Centro di Studi Latinoamericani (CELA) “Justo Arosemena”. “Accanto alla “lotta al traffico di droga”, compare il riferimento all’obiettivo di “frenare il traffico di persone illegali” e il “terrorismo”, eufemismo che i funzionari nordamericani possono interpretare come vogliono”. Oltre alle due basi navali di Bahía de Piña e Punta Coca, le forze armate USA potranno contare sull’utilizzo di un’infrastruttura aeronavale che sorge nell’isola di Chapera, nell’arcipelago de “Las Perlas”, e della base di Rambala, nella provincia di Bocas del Toro.

Con l’accordo sottoscritto con il governo panamense, le forze armate statunitensi tornano ad assumere il controllo di Panama, dieci anni dopo aver abbandonato le 14 basi e stazioni radar che detenevano nel paese da tempo immemorabile. L’articolo V del Trattato di Neutralità firmato nel 1977 dagli allora presidenti Omar Torrijos (Panama) e Jimmy Carter (USA) aveva stabilito che Panama avrebbe riacquisito il pieno controllo del Canale a partire dell’1 gennaio 2000 e che solo le autorità di questo paese avrebbero potuto mantenere forze e installazioni militari di difesa all’interno del territorio nazionale. Nel 2002, però, un accordo tra il governo di Panama e l’ambasciatore James Becker, aveva disposto che i porti e gli aeroporti del paese centroamericano potessero essere utilizzati dalle forze armate statunitensi per esercitazioni militari o trasferimenti transitori di truppe e armamenti. “Un accordo senza alcun fondamento costituzionale che consente pure agli Stati Uniti d’America d’invitare paesi terzi a fare ingresso nel nostro territorio con il proposito di cooperare nella guerra contro il terrorismo, il narcotraffico e altri delitti internazionali”, spiega il diplomatico Julio Yao. “Secondo questo accordo, Panama è pure costretta a non poter esercitare alcuna giurisdizione sui funzionari civili e militari USA accusati di crimini di guerra, né può sottometterli a giudizio del Tribunale Penale Internazionale”.

Nell’ultimo triennio, la presenza di unità navali USA si è fatta sempre più frequente nelle acque territoriali e nei porti panamensi, in particolare quello di Vasco Nuñez de Balboa, all’interno del Canale, confinante con una (ex) stazione di trasmissione dell’US Navy utilizzata per le comunicazioni con i sottomarini in transito negli oceani. Panama, in particolare, è sede fissa delle operazioni della IV Flotta USA e della “Southern Partnership Station”, la missione navale attivata periodicamente nei Carabi e in America latina dall’US Southern Command (il Comando Sud delle forze armate USA) con finalità di addestramento e cooperazione militare per la “sicurezza di teatro” e l’interdizione del narcotraffico e delle migrazioni. Dall’11 al 22 settembre scorso, il Canale di Panama ha ospitato una delle più grandi esercitazioni aeree e navali mai realizzate a livello internazionale, Panamax 2009, a cui hanno partecipato 4,500 militari, 30 navi da guerra e decine di cacciabombardieri di 20 nazioni straniere. “Con l’esercitazione sono state sperimentate tutta una serie di risposte alla richiesta di protezione e assicurazione della libertà di transito attraverso il Canale”, si legge in una nota diffusa dall’US Southern Command, che ha pure enfatizzato l’importanza strategica di questo corridoio interoceanico per l’economia e il commercio USA e mondiale.

Gli Stai Uniti rappresentano oggi il maggior partner economico di Panama; si tratta però di un rapporto fortemente sbilanciato a favore di Washington. Nel 2008 il surplus degli scambi con il paese centroamericano è stato infatti di 4,3 miliardi di dollari, l’ottavo in ordine di grandezza a livello mondiale degli Stati Uniti. La concessione delle quattro basi panamensi alle forze armate USA viene considerata proprio in funzione del rafforzamento del controllo economico di Washington sul paese e sul Canale. Parallelamente al nuovo patto militare, la nuova amministrazione Obama e il governo di Panama hanno concluso un importante accordo di libero commercio (Free Trade agreement - FTA). “Il nuovo trattato di libero commercio incoraggerà l’espansione e la diversificazione del commercio USA con Panama eliminando le barriere doganali e facilitando la movimentazione di beni e servizi a favore delle imprese statunitensi”, ha commentato James M. Roberts, ricercatore in “Libertà economiche e Sviluppo” del Centro per il Commercio Internazionale della ultraconservatrice Heritage Foundation. “L’FTA USA-Panama offrirà un insieme di regole chiare e vincolanti che favoriranno stabilità e prevedibilità. Le regole dell’accordo di libero commercio per servizi, attività, investimenti, commesse governative, diritti di proprietà intellettuale e risoluzione di dispute saranno maggiori di quelle previste dagli standard dell’Organizzazione per il Commercio Mondiale. L’FTA garantisce un trattamento non discriminatorio per i capitali stranieri e legittima la preparazione di ulteriori trasferimenti di tecnologie e migliori pratiche tra i paesi partner”.

Sempre secondo il ricercatore dell’Heritage Foundation, il nuovo accordo di libero commercio dovrebbe permettere alle imprese USA di recuperare lo “svantaggio competitivo” nella gestione del traffico attraverso il Canale, dopo che “la società cinese con sede a Hong Kong, Hutchison Whampoa, Ltd., ha firmato accordi di affitto a lungo termine con il governo panamense per operare nei porti commerciali strategici di Cristobal sull’Atlantico e Balboa sul Pacifico”. Washington punta inoltre a spostare a proprio favore l’esito negativo della gara per i lavori di ampliamento del Canale di Panama (costo stimato 5,25 miliardi di dollari), gara appena aggiudicata ad un consorzio europeo che vede capofila l’italiana Impregilo. “Assicurato l’FTA, le compagnie USA potrebbero posizionarsi meglio per i lucrativi appalti di costruzione”, scrive ancora James M. Roberts. “La maggior parte delle attrezzature che saranno utilizzate per costruire il nuovo sistema di chiuse, ad esempio, potrebbero essere prodotte negli Stati Uniti”.

Immancabili, infine, le considerazioni di ordine geo-strategico, finalizzate all’isolamento e alla sconfitta dei nuovi “nemici” di Washington negli scenari latinoamericani. “L’accordo di libero commercio con Panama – conclude il ricercatore – aiuterà a contrarrestare la crescente corrente rappresentata dal Chavismo che ha fortemente circondato la Colombia e provocato l’odierna crisi in Honduras, e che minaccia di minare gli interessi emisferici USA”.

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!