di Alberto Negri
Fu un generale che si sentiva come un dio che tra l'11 e il 15 luglio del 1995 a Srebrenica uccise a sangue freddo più di 8mila musulmani. Quarantamila persone furono deportate, centinaia di donne vennero sistematicamente violentate: nella disattenzione di una calda estate di vacanze si consumò il peggiore massacro in Europa dalla seconda guerra mondiale, in una città che l'Onu aveva dichiarato "area protetta". L'unica cosa che facemmo allora fu raccogliere testimonianze: a migliaia raggiunsero Tuzla, feriti, disperati, lasciati agonizzare per giorni sulla pista incandescente dell'aeroporto.Nella marcia tra le montagne bosniache alcuni, ridotti alla follia, si uccisero facendosi saltare in aria con le granate pur di non essere presi vivi. Ma nessun racconto, per quanto macabro e lancinante, smosse le cancellerie internazionali.