di Paola Di Fraia
Visto dall’Asia l’embargo petrolifero nei confronti dell’Iran comporta delle scelte politiche e delle fonti alternative di approvvigionamento che passano sia dalla Russia sia dal Medi Oriente. Ma potrebbe anche essere ignorato, evitando così di entrare apertamente in conflitto con il regime sciita. Potrebbero essere l’Europa e il Giappone a soffrire di più della strategia americana nei confronti di Teheran, con il possibile aumento del prezzo del greggio - eventualità che non lascia immune gli stessi Stati Uniti.
Fare a meno del petrolio iraniano, comunque, non è cosa da poco. Non è chiaro infatti se sia lecito aggirare il blocco degli scambi commerciali usando l’oro come moneta di scambio presso la Banca centrale iraniana, mandando così in pensione i petrodollari. Indiscrezioni di stampa suggeriscono che sia questo l’orientamento di Cina e India. La maggior parte delle esportazioni iraniane di petrolio (ma anche di altre merci) va in Asia; la Cina è il primo partner commerciale del paese.
Pechino apre la lista assorbendo il 22% delle esportazioni di greggio di Teheran, acquistando 550 mila barili al giorno, il 6% del proprio consumo totale. Tokyo, che per la prima volta in 30 anni ha un deficit commerciale che si aggira sui 24 miliardi, acquista 327 mila barili al giorno, che rappresentano il 7% della sua domanda interna e il 15% delle esportazioni iraniane. Il 12% va all’India che acquista 310 mila barili al giorno, coprendo il 9% del suo fabbisogno. Seguono la Corea del Sud con 228 mila barili e la Turchia, con 196 mila barili, che però rappresentano il 30% del suo consumo.
Solo il 20% arriva in Europa, ma è assorbito dalle economie della zona euro maggiormente in difficoltà come Italia, Grecia e Spagna. Per questo Teheran ha recentemente minacciato di bloccare le esportazioni verso l’Europa prima che il blocco entri in vigore il prossimo 21 luglio. Una dilazione che era stata decisa proprio per far i conti con la difficile situazione economica del Vecchio Continente.
Il punto di vista dell’Asia
La questione della “sicurezza” dipende da chi parla.
Pechino apre la lista assorbendo il 22% delle esportazioni di greggio di Teheran, acquistando 550 mila barili al giorno, il 6% del proprio consumo totale. Tokyo, che per la prima volta in 30 anni ha un deficit commerciale che si aggira sui 24 miliardi, acquista 327 mila barili al giorno, che rappresentano il 7% della sua domanda interna e il 15% delle esportazioni iraniane. Il 12% va all’India che acquista 310 mila barili al giorno, coprendo il 9% del suo fabbisogno. Seguono la Corea del Sud con 228 mila barili e la Turchia, con 196 mila barili, che però rappresentano il 30% del suo consumo.
Solo il 20% arriva in Europa, ma è assorbito dalle economie della zona euro maggiormente in difficoltà come Italia, Grecia e Spagna. Per questo Teheran ha recentemente minacciato di bloccare le esportazioni verso l’Europa prima che il blocco entri in vigore il prossimo 21 luglio. Una dilazione che era stata decisa proprio per far i conti con la difficile situazione economica del Vecchio Continente.
Il punto di vista dell’Asia
La questione della “sicurezza” dipende da chi parla.