Oggi più di 50 milioni di egiziani si recheranno alle urne per eleggere il presidente della Repubblica. Dovrebbe essere l’ultimo passaggio del periodo di transizione iniziato il 25 gennaio del 2011, quando piazza Tahrir diventò il centro del mondo e dopo trenta anni il regime di Hosni Mubarak è finito. Tanti sono, però, i dubbi e le incertezze che ruotano attorno al voto. Riportiamo l'intervista fatta da E il mensile online sulle elezioni egiziane a Marcella Emiliani, docente di Storia e Istituzioni del Medio Oriente e di Relazioni Internazionali del Medio Oriente presso la Facoltà di Scienze Politiche a Forlì e di Sviluppo Politico del Medio Oriente presso la Facoltà di Scienze Politiche di Bologna, autrice di Medio Oriente, una storia dal 1918 al 1991 e, appena pubblicato da Laterza, la seconda parte: Medio Oriente, una storia dal 1991 a oggi.
di Cristian Elia
Cosa si aspetta dal voto? Qual’è la situazione in Egitto?
Il clima non è tranquillo. Quello che gli egiziani temono di più è che queste elezioni siano causa di violenze, di scontri tali da ‘costringere’ i militari a rimanere al potere. Il quadro politico è estremamente confuso, debole. Perché è vero che ci sono decine di partiti emersi da questo processo di democratizzazione, ma non sono partiti realmente rappresentativi, al di là della Fratellanza Musulmana sulla quale però bisogna fare un discorso molto chiaro: i sondaggi dei quotidiani egiziani parlano di una grande flessione di consenso dalle legislative a oggi. Lo slancio della repressione subita in passato da Nasser, Sadat e Mubarak, che ha garantito un voto di protesta, pare ridimensionato.
Che idea si è potuta fare dei candidati?