martedì 5 febbraio 2019

Messico - Il bastone del comando

Un treno lanciato contro i Maya? Ma come? Se i mega-progetti del governo di AMLO minacciano tanto gli indigeni, perché proprio “gli indigeni” si sono prestati a celebrare il suo insediamento offrendogli il bastone del comando? La domanda è meno ingenua di quel che sembra. Fin dai tempi dei conquistadores, il potere sulle popolazioni autoctone sottomesse si fondava su un’organizzazione coloniale delle comunalità indigene, un’espressione che potrebbe, in effetti, suonare come del tutto paradossale. Le moltissime e dispersive forme di organizzazione sociale pre-esistenti venivano “riorganizzate” in un nuovo modello: le “repubbliche degli indios”, che avevano pure una qualche autonomia ma, quando c’era un problema serio con il potere centrale, si faceva ricorso ai figli di ex leader indigeni indottrinati fin da piccoli alla cultura occidentale nelle scuole degli ordini religiosi. Era un sistema preferibile allo sterminio, utile a organizzare la spoliazione del continente a beneficio dello sviluppo capitalista dell’Europa, che in definitiva contava ben più della vita o della morte degli indigeni stessi. Qualcosa di simile accadeva anche con il potere coloniale in Africa. La differenza tra “comunalità” coloniali” e comunalità di rottura aiuta ancora oggi a capire perché alcuni leader dei nostri giorni, come Evo Morales o Lopez Obrador, promuovano solenni eventi in cui vengono in qualche modo consacrati attraverso la consegna, da parte di esponenti indigeni, del bastone di comando. Si può comprendere che molti popoli indigeni siano entrati nel gioco del sistema coloniale (o nei partiti) per mantenere i propri sistemi comunitari di vita in un contesto ostile di “antropofagia culturale”, ma sarà bene chiamare le cose con il loro nome
Lopez Obrador riceve il Bastone di Comando. Foto tratta da Circulo Digital


di Daniel Montañez Pico

Di questi tempi, forse, ci sono cose delle quali non si sentiva molto la mancanza. È trascorso più di un decennio da quando Evo Morales, dopo essere stato consacrato presidente nel parlamento boliviano, è andato nel centro sacro aymara di Tihuanaco per consacrarsi anche come Mallku e leader spirituale indigeno del paese. Qualcosa di simile ha fatto il primo dicembre 2018 il nuovo presidente del Messico, Andrés Manuel López Obrador, che, dopo la cerimonia ufficiale, ha ricevuto il bastone del comando dalle mani dei popoli indigeni, circondato dal fumo di copal in una cerimonia popolare nello Zócalo di Città del Messico. La differenza estetica tra i due è evidente: uno è parte delle comunità indigene del suo paese e l’altro no. Però la funzione politica è la stessa. 

Di fronte a questo evento, entrambi hanno avuto detrattori tra i popoli indigeni. Nel caso di Evo Morales, ci sono stati quelli che l’hanno avvertito che c’era già un Mallku, Felipe Quispe, la cui ideologia politica era molto più radicale e vicina alle realtà dei popoli aymara della sua. 
Nel caso di Obrador, i popoli organizzati attraverso il Congresso Nazionale Indigeno e altre organizzazioni, hanno chiarito che AMLO non rappresenta le loro aspirazioni collettive di vita per varie ragioni. È solo una piccola dimostrazione di quanto gli indigeni siano diversi da ciò che pensano le opinioni egemoniche. Una diversità che possiamo cercare di capire  attraverso la loro stessa storia, a partire dall’invasione spagnola nel XVI secolo.

Il modello coloniale di potere era basato allora su un’organizzazione coloniale delle comunalità (1) indigene. Prima dell’invasione, esistevano moltitudini di popoli e di organizzazioni sociali nel territorio oggi conosciuto come Messico. Gli ispanici arrivarono con guerre e alleanze, e li riorganizzarono territorialmente e politicamente attraverso “repartimientos” (2), in un nuovo modello che chiamarono “repubbliche di indios”.  

Questo modello organizzava le popolazioni autoctone in comunità che avevano una certa autonomia per risolvere i propri affari interni e autogovernarsi. Però quando c’era qualche problema con gli ispanici e il loro potere superiore, c’erano intermediari preposti dalla Corona che mediavano nei conflitti. Questi intermediari erano di solito i figli di ex leader indigeni, indottrinati fin da piccoli alla cultura occidentale nelle scuole degli ordini mendicanti, che fossero domenicani, gesuiti o maristi, a seconda del periodo e dei contesti. 

Si trattava di personaggi complessi che, con un piede in ciascuna delle due culture, dirigevano le nuove comunità, organizzate dagli ispanici, con maggiore o minore legittimità e accettazione da parte della popolazione indigena, a seconda dei casi.
Gennaio 2015, Evo Morales alza il Bastone di Comando festeggiando l’inizio del suo terzo mandato. Foto tratta da https://www.voanoticias.com https://www.voanoticias.com


Tutta questa impalcatura fu creata con un obiettivo molto concreto. Era necessario mantenere spazi per la riproduzione di vite indigene che, oltre a pagare con le spezie i relativi tributi alla Corona, erano tenute come fabbriche di manodopera a basso costo per le miniere e gli eserciti di riserva nelle guerre di invasione del continente, guidate dagli ispanici contro altri popoli indigeni. Bartolomé de Las Casas e i cosiddetti “difensori degli indios”, furono grandi promotori di questo sistema, a differenza di coloro che propugnavano lo sterminio dei popoli indigeni, come accadeva in altre regioni come il Nord America o i Caraibi. Alla fine, nella disputa, ebbe il sopravvento il discorso di Las Casas e dei suoi seguaci, che si concretizzò nelle “Nuove Leggi delle Indie”. Si evidenziò che in regioni come il Messico o il Perù, con un’alta densità di popolazione indigena, risultava un modello molto più efficace per organizzare la spoliazione del continente a beneficio dello sviluppo capitalista dell’Europa, che era quanto in definitiva importava, ben di più delle vite indigene. 

giovedì 24 gennaio 2019

Messico - Radiografia chiapaneca nella 4T

di Luis Hernández Navarro


Il corpo di Noé Jiménez Pablo, cosparso con acido, è stato ritrovato in una discarica a tre chilometri dalla città di Amatán, Chiapas. Aveva pallottole nell’addome e nel petto. La testa ed il volto erano completamente sfigurati.

Un giorno prima, il 17 gennaio, un gruppo di pistoleri al servizio dei fratelli Carpio Mayorga, cacicchi di Amatán, sono partiti dalla casa dell’ex presidente municipale, Wilber, fratello di Manuel, l’attuale sindaco, con passamontagna ed armi di grosso calibro. Hanno sparato e pestato selvaggiamente i membri del Movimento per la Pace, la Giustizia ed il Bene Comune, che, da cinque mesi, mantenevano un presidio pacifico di fronte al palazzo municipale per chiedere le dimissioni del consigliere municipale. Noé è stato colpito ed è rimasto al suolo fino a che i paramilitari l’hanno portato via.

Jiménez Pablo era dirigente del Movimiento Campesino Regional Independiente (Mocri), del Coordinamento Nazionale Plan de Ayala-Movimiento Nacional e del Movimento per la Pace. Era un partecipante attivo nella lotta contro il cacicazgo dei fratelli Carpio Mayorga. 

Amatán è una città sul confine con Tabasco, parte del corridoio attraverso cui il crimine organizzato trasporta droga, armi e migranti sprovvisti di documenti.

Il clan Carpio Mayorga ha il controllo del municipio da anni. È protetto dall’attuale senatore di Morena, Eduardo Ramírez Aguilar, e dall’ex governatore Manuel Velasco. Manuel de Jesús è stato sindaco tra il 2001 e 2004 col PAN e poi tra il 2012 e 2015 col PVEM. Suo fratello Wilbert lo ha succeduto nell’incarico con lo stesso partito politico tra il 2015 e 2018. E nel 2018 Manuel de Jesús ha vinto nuovamente la presidenza municipale con Morena.

Questo partito lo ha sostenuto nonostante il suo nefasto curriculum e le denunce presentate contro di lui dai membri del Mocri.

L’omicidio di Noé in Chiapas non è assolutamente un fatto eccezionale. Nei primi giorni di gennaio è stato assassinato l’attivista per i diritti umani del municipio di Arriaga, Sinar Corzo. Ore dopo essere uscito da una riunione con le autorità municipali per chiedere la costruzione di strade ed il miglioramento delle comunità di pescatori, due persone a bordo di una motocicletta gli hanno sparato dopo averlo chiamato per nome. Era già stato minacciato di morte. Difendeva le vittime del sisma del 7 settembre 2017 ed il diritto all’acqua, alla salute ed ai servizi basilari degli abitanti del municipio.

Gruppi armati legati ai cacicchi locali hanno sfollato migliaia di indigeni in municipi e comunità come Chenalhó, Chalchihuitán, Aldama e Chavajeval ed hanno generato violenza in località come Yajalón. Lì regna il terrore. Sono protetti da funzionari pubblici a diversi livelli. Le loro origini sono diverse e rispondono a molti interessi. In alcuni casi, questi gruppi sono i successori del paramilitarismo nato dal conflitto armato interno. In altri, sono creazione dei cacicchi locali. Militano in diversi partiti politici. Sia l’amministrazione di Manuel Velasco come l’attuale del morenista Rutilio Escandón, sono stati indifferenti alla crisi umanitaria degli sfollati. Hanno cercato di amministrare e minimizzare i conflitti, senza risolverli.

Questa violenza non è un fatto fortuito. Proviene dalla natura della struttura del potere politico in Chiapas. Sono parte intrinseca del suo funzionamento. Due esempi, tra molti altri. 

Il nuovo procuratore di questo stato, Jorge Luis Llaven Abarca, è responsabile di vari casi di violazione dei diritti umani, come detenzioni arbitrarie e tortura, commessi quando era delegato della Procura Generale della Repubblica e come titolare della Procura Specializzata Contro il Crimine Organizzato, dell’allora Procura Generale di Giustizia dello stato. Raccomandazioni della CNDH, come la numero 26/2002, lo documentano. Il nuovo uditore superiore, José Uriel Estrada Martínez, era finito in prigione nel 2006 con l’accusa di partecipazione alla tortura ed esecuzione del leader contadino Reyes Penagos Martínez.

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!