mercoledì 4 novembre 2009

Mozambico, elezioni

Intervista a Mia Couto



Mia Couto è certamente il più noto scrittore mozambicano e fra i più apprezzati scrittori viventi di lingua portoghese (il suo Terra Sonnambula ha vinto numerosi premi africani e intercontinentali). Figlio di portoghesi, ha lottato come mozambicano per l'indipendenza dalla madrepatria e negli anni '80 è stato direttore dell'agenzia nazionale di informazione, prima di tornare alla professione per cui ha studiato, quella di biologo, che oggi esercita in uno studio nel centro di Maputo e dal quale mi risponde mentre mi sbrodolo del te' che mi ha offerto.

Nei suoi libri, il passato “non smette mai di passare”, continuamente elaborato e ricostruito dal presente. Che rapporto ha il Mozambico col suo tormentato passato?
Beh, una relazione degna di questo tormento. Il Mozambico è un caso unico: il passato è ancora più recente del presente. Succede alle cose molto giovani e ansiose di crescere : in fondo il paese ha appena trentatrè anni, tanti ne sono passati dall'indipendenza. Io sono più vecchio di lui! Come per avanzare rapidamente nel tempo, è in atto un esercizio di oblio collettivo di quello che più ha distinto la nostra storia: le guerre. Prima quella contro il Portogallo, poi quella civile. Entrambe oggi sono state trasportate “al di là della memoria”: se si chiede a un mozambicano di ricordare quei tempi, preferirà cambiare argomento. Ma l'esercizio dell'oblio è sempre una gravidanza di bugie. Possiamo dimenticare il passato, ma non dimenticare che stiamo dimenticando.


A cosa è funzionale questo colpo di spugna sul passato?
Come tutte le ricostruzioni storiche, agli interessi sociali dominanti. Sembra che il ricordo della guerra sia a loro apannaggio esclusivo.

Qual'è il ruolo del processo elettorale in questa fase della vita del paese?
Le elezioni sono sempre un passo verso un comune sentire e un comune denominatore : il Mozambico. In generale il ruolo storico del governo seguito al colonialismo, quello della Frelimo, è stato quello di mettere l'identità nazionale mozambicana sopra a tutte le altre, di concretizzare un progetto di nazione comune contemporaneamente a tutte quelle preesistenti, di natura etnica- il che non significa in conflitto tra loro. Aggiungo, in conflitto non lo sono tuttora. Ecco perchè vanno a vuoto i tentativi di certi politici di dare un colore partitario alle etnie.

Lei è anche professore. Come vede i giovani mozambicani?

Mi sembra che siano stanchi di essere visti e trattati dal mondo intero come vittime. Rispetto alla generazione dei loro padri, hanno decisamente rinunciato all'abitudine di incolpare il colonialismo di tutti i mali del presente;semmai hanno una visione abbastanza globale da cercare la radice di problemi locali nei sistemi mondiali.

E' ottimista sul futuro del Mozambico?
Ci vuole tempo. Nessuno, a cominciare da noi stessi, dovrebbe pretendere che risolviamo in pochi anni questioni- come lo shock della guerra- che in Europa hanno richiesto decenni.

A proposito di Europa, lei è uno dei pochi scrittori africani che continuano a vivere in Africa...

Una volta, a una conferenza di scrittori africani,io ero l'unico che viveva ancora in Africa... e anche l'unico bianco. Le due cose fanno parte dello stesso paradosso, ovviamente. Io non ho scelto di portare l'occidente nel sangue, ma posso scegliere dove vivere. Non ho bisogno di scoprire l'Europa per sapere che voglio vivere in Africa.

martedì 3 novembre 2009

Bil'in manifesta in solidarietà con il militante imprigionato : « Siamo tutti Adeeb Abu Rahmah »




dal Comitato Popolare di Bil’in

Adeeb Abu Rahma è stato arrestato il 10 luglio scorso ed è ancora in prigione. Il motivo del suo arresto è di essere membro organizzatore delle manifestazioni del villaggio. Oggi i manifestanti hanno indossato delle maschere con il viso di Adeeb e hanno chiesto la sua liberazione.

Organizzata dal Comitato popolare, la manifestazione ha preso il via dopo la preghiera del venerdì. Accompagnati dai militanti pacifisti internazionali e israeliani, gli abitanti del villaggio hanno sventolato delle bandiere palestinesi condannando l’occupazione, la politica razzista di costruzione del Muro e delle colonie, la confisca delle terre, i check-points, gli arresti e gli assassini dei palestinesi.

Questa manifestazione settimanale è stata organizzata su richiesta del Comitato Popolare per la liberazione di Adeeb Abu Rahma e anche per protesta contro i tentativi di eliminare la resistenza del villaggio. I manifestanti hanno sfilato con delle maschere che riproducevano il volto di Adeeb e hanno ripetuto « Siamo tutti Adeeb Abu Rahma ».

Adeeb Abu Rahma è militante e membro del Comitato popolare di Bil’in. E’ in prigione dalla manifestazione del 10 luglio. Non è accusato di aver commesso atti violenti, ma di aver incitato alla violenza, cioè gli si contesta di essere organizzatore delle manifestazioni. In un primo tempo, il giudice aveva deciso che Adeeb dovesse essere liberato con la condizionale, ma il procuratore militare aveva in seguito fatto appello affinché restasse in galera fino alla fine della procedura giudiziaria. Da allora, la difesa ha richiesto per quattro volte che questa decisione fosse cassata, ma invano. Adeeb è il solo responsabile, materialmente, di una famiglia di undici persone.

Il suo arresto si è verificato quando lo Stato maggiore dell’esercito israeliano ha lanciato una campagna di intimidazione in concomitanza con l’avvio del processo intentato dal Comitato di Bil’in contro due imprese canadesi responsabili della costruzione di immobili nella colonia di Modiin Illit. In quasi cinque anni di lotta del villaggio, sono stati arrestati 75 abitanti e 27 durante questa campagna di invasione. Le forze israeliane invadono regolarmente le case per arrestare i membri del Comitato e i più giovani accusandoli di lanciare pietre contro i soldati. Sedici sono detenuti, nove di loro sono minorenni.

Per ricordare, il 23 giugno scorso, sono iniziate le udienze di fronte al tribunale canadese per il processo intentato dal villaggio contro le due imprese registrate in Canada (Green Park International e Green Mount International). Il villaggio chiede che la costruzione delle colonie sulla terra del villaggio sia riconosciuta come crimine contro l’umanità in virtù del diritto federale canadese che include la carta internazionale dei diritti dell’uomo. Alcune persone imprigionate durante quest’ondata di arresti hanno dichiarato di essere state interrogate in merito a questi processi.

Mustafa Karasu:l'arrivo dei gruppi di pace e' un test per lo stato

L’arrivo e la trionfale accoglienza dei gruppi di pace ha
portato ad uno stravolgimento dell’agenda politica turca.


Mustafa Karasu, Membro del Consiglio Esecutivo del KCK, ha criticato la mancanza di comprensione mostrata dal governo alla straordinaria richiesta di pace del popolo kurdo e ha richiamato l’attenzione generale sulle dichiarazioni provocatorie lanciate da alcuni ambienti politici: “Il popolo kurdo avvicinando gli emissari di pace ai loro cuori hanno fatto fallire il tentativo di risolvere la questione kurda senza interlocutori. Hanno fatto fallire anche il tentativo dell’AKP di sfruttare il piano di espansione democratica a fini elettorali. Gli attacchi al DTP sono tesi a creare pressione psicologica.”

Karasu ha aggiunto che se le forze democratiche si uniscono e si organizzano saranno capaci di sovvertire la vecchia mentalità dello Stato e aprire un percorso per una soluzione democratica: “Nel momento in cui lo Stato stava tentando di porre la situazione in stallo e creare dei protesti per bloccare il processo di pace, il nostro leader Ocalan ha deciso di chiedere l’invio di gruppi di pace. Il loro invio è un test per lo Stato”.

Karasu ha aggiunto che il Movimento kurdo di liberazione ha mostrato rispetto per la sensibilità turca e per i suoi valori sociali e nazionali. Commentando le parole di Erdogan “Distruggeremo tutto dal principio alla fine”, Karasu ha detto che queste parole non hanno nulla a che fare col processo democratico, che nessuno può fare ciò che ha detto Erdogan e che la soluzione democratica è una necessità sia per i turchi che per i kurdi:

“Questi politici provinciali dell’AKP non sanno ciò che dicono. Può risolvere il problema un primo ministro che minaccia i kurdi ed il loro movimento di liberazione? La dichiarazione di Erdogan che questa sarebbe per noi ‘L’ultima possibilità’ è una minaccia oscena. L’AKP non ha intrapreso alcun passo serio per risolvere il problema. Dire che questa sarebbe ‘L’ultima possibilità’ non significa nulla”.

Afghanistan - La Commissione elettorale conferma Karzai presidente

Pakistan colpito da un nuovo attentato

A Kabul arriva il Segretario dell'Onu

Hamid Karzai è stato proclamato vincitore delle elezioni presidenziali.

Alla luce dell'annullamento del ballottaggio che avrebbe dovuto tenersi sabato prossimo, dopo la decisione dell'unico sfidante Abdullah Abdullah di ritirasi, la commissione elettorale indipendente afgana ha formalmente annullato il secondo turno delle elezioni.

Il presidente della Commissione elettorale ha reso noto la decisione e ha poi proclamato Karzai nuovo presidente dell'Afghanistan.

Ricordiamo che uno dei motivi dell'abbandono dello sfidante era stata proprio la composizione della Commissione elettorale: Abdullah aveva sostenuto che la stessa Commissione era controllata dagli uomini di Karzai e aveva contribuito ai brogli accertati anche dagli osservatori internazionali durante il primo turno dell'agosto scorso.

A Kabul oggi è arrivato anche Ban Ki-moon, Segretario Generale dell'Onu che ha dichiarato il sostegno delle Nazioni Unite alle decisioni prese dalle autorità afghane.

Intanto in Pakistan un nuovo attentato suicida ha fatto oggi oltre trenta morti all'interno della cinta di un albergo nel centro di Rawalpindi, in Pakistan.

Il tutto mentre l'Onu ha deciso il ritiro del suo personale nelle cosidette zone tribali del Pakistan in cui è in corso l'operazione dell'Esercvito Pakistano contro i Talebani.

Peace reporter a proposito del Pakistan

lunedì 2 novembre 2009

L’immagine lavata di Huelva

Membri del PETI faranno visita alle balse a fine anno invitati
dalla “Plataforma Mesa de la Ria”


Una delle imprese più inquinanti del polo chimico, Fertiberia, chiude per crisi e la città sul bordo di un collasso ecologico. Intanto scarsi i segnali tanto dagli ambienti politici che imprenditoriali

Milleduecento ettari che accolgono più di cento milioni di tonnellate di fosfogesso più altre centotrenta di ceneri radioattive, queste ultime versate “accidentalmente” nel maggio 1998 dall’azienda Acerimox. Una delle discariche di rifiuti urbani industriali forse più grandi al mondo dislocati ad 1km dal centro cittadino e a meno di 500 mt dal quartiere più periferico della città. Una preziosissima biosfera marino-terrestre, la marisma del Rio Tinto, spazzata via dalla speculazione manageriale e una popolazione costretta a convivere giorno e notte con uno dei tassi di mortalità per cancro polmonare più alti di Europa, a cui s’aggiungono patologie in numero crescente di tiroide atipica, disturbi delle vie respiratorie, malformazioni e alterazioni del sistema riprodutttivo umano. Questa è Huelva, saltata ormai alle cronache mondiali non solo per i numerosi dossier d’inchiesta aperti sul suo polo chimico dalla Commissione Europea e da schiere di organizzazioni ecologiste, ma anche per i casi altrettanto clamorosi di morte da sostanze tossiche presenti nei campi, nell’aria e nell’acqua e a cui gli studiosi si riferiscono col termine inequivoco di “sindrome di Huelva” .

Da oggi parla Pedro Jimenez, portavoce della “Plataforma Mesa de la Ria”, da anni in prima linea contro le attività contaminanti di varie aziende spagnole e internazionali (Fertiberia, CEPSA e altre). La settimana scorsa la sua ong ha strappato un “sì” al PETI (Committee on Petitions of European Parliament) all’invito di fine anno sulla verifica della nuova situazione medioambientale della città andalusa, in particolar modo il reparto n.9 in cui sono stipate le ceneri radioattive. Attraverso una petizione firmata dalla propria “Mesa de la Ria”, Izquierda Unida e 25mila cittadini – un sesto della popolazione locale - si esige infatti, in linea con la normativa comunitaria vigente, uno stop immediato alla produzione da parte delle imprese contaminanti come Fertiberia, il trasporto fuori sede delle 7000 tonnellate di ceneri contenenti il tossico cesio 137 e l’apertura di una nuova e veritiera indagine sul livello di mortalità per tumore dopo le non recenti ma sconvolgenti rivelazioni dello studio dell’Università Carlo III di Madrid, o quello del 2007 realizzato dal laboratorio del CRIIRAD per conto di Greenpeace Spagna.

Nella sua intervista-denuncia Jimenez punta il dito su tutti gli attori politici in scena a Huelva, primo tra tutti Javier Barrero, diputato socialista che scalpitò non poco quando informato dell’incontro tra gli alti organi istituzionali europei e i rappresentanti delle varie ong e associazioni ambientaliste. “Hanno preso posizioni di parte” conferendo “una cattiva immagine della provincia di Huelva in termini di contaminazione” le ragioni del deputato, mentre Jimenez parla di “campagna di lavaggio d’immagine” e accusa dirigenti politici e aziendali di essere stati bravi a scendere in piazza nel 2004 con slogan e voci grosse contro la chiusura delle fabbriche e la perdita di posti di lavoro, mentre sembrano non conoscersi affatto, oggi, ma preoccuparsi solo “dell’Europa che gli sta scappando dalle mani”. Jimenez si associa inoltre alle ultime dichiarazioni di WWF e Greenpeace durante la presentazione dell’appello d’immediata esecuzione della sentenza della Audiencia Nacional con cui si dichiara estinto il diritto di Fertiberia e si pretende la decontaminazione dei terreni industriali e la restituzione di quelli dati in gestione. E quando a Jimenez viene puntualizzato che Fertiberia ha già annunciato la diminuzione della produzione di 6 mesi, il portavoce chiarisce che ciò non risponde a esigenze di contaminazione ma di marketing, poichè Fertiberia “non riesce a collocare sul mercato le scorte di produzione non vendute”.

Da una parte, dunque, le associazioni ecologiste che si lamentano di una chiusura di cancelli o macchinari che tarda a venire nonostante la sentenza sia stata pronunciata nel 2003 e il Consejo de Seguridad Nuclear stimi in circa 3 milioni annui i residui di fosfogesso sfornati ancora da Fertiberia; dall’altra le mezze affermazioni e le piene titubanze dell’impresa di fertilizzanti agricoli. L’azienda ispano-algerina dovrà difatti sborsare qualcosa come 14 milioni di euro per un piano di uscita economica dai costi sociali elevati. In attesa del dicembre 2012 – data ancora da confermare ma che siglerebbe la chiusura definitiva dei depositi di fosfogesso – la stessa Fertiberia dalle pagine del suo sito avverte degli effetti collaterali sulla crescita agricola e il raccolto con cui faranno i conti i rivenditori ma soprattutto gli agricoltori a causa di questa diminuzione dei fertilizzanti imposta dall’alto. L’azienda, chiusa per crisi, è attesa a implementare un progetto di riconversione ambientale delle aree esposte alle balse di fosfogesso dal costo di 3,2 milioni di euro, mentre un nuovo assetto interno alla fabbrica, con conseguente ridimensionamento dei lavoratori, inaugurerà un’altra stagione di licenziamenti forzosi all’ombra di una crisi tutt’altro che dissipata.

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!