giovedì 18 febbraio 2010

Marjah, sfollati e abbandonati

Le autorità afgane e perfino l'Unhcr hanno deciso di non attrezzare campi per accogliere i 13 mila profughi fuggiti dall'offensiva alleata nel sud dell'Afghanistan

Circa 13 mila civili afghani - famiglie intere con donne, bambini e anziani al seguito - sono fuggiti in questi giorni dall'offensiva militare alleata contro Marjah e gli altri villaggi del distretto di Nadalì, nella provincia meridionale di Helmand.
Nonostante le dichiarazioni delle autorità afgane, che la scorsa settimana, alla vigilia dell'operazione Moshtarak, avevano dichiarato di essere pronti ad accogliere e assistere i profughi, tutta questa povera gente è stata completamente abbandonata a se stessa: nessun campo di accoglienza è stato allestito e nessun tipo di aiuto e assistenza è stato fornito.
"Se li aiutiamo, poi rimangono qui". La maggior parte degli sfollati, 1.573 famiglie, ovvero oltre 10 mila persone, si sono riversati nel capoluogo provinciale, Lashkargah.

La nuova proposta della sinistra indipendentista basca


“Zutik Euskal Herria”, ovvero la risoluzione della sinistra indipendentista basca approvata nel fine settimana a conclusione di decine di assemblee che hanno analizzato, discusso, commentato la dichiarazione di Alsasua e Venezia del 14 novembre 2009. Una dichiarazione in cui la sinistra indipendentista si impegnava al perseguimento dei suoi obiettivi politici solo attraverso mezzi pacifici.
Lo scorso fine settimana le assemblee territoriali sono state riunite e i 600 militanti rappresentanti della sinistra in oltre 270 località hanno approvato un importante documento che sposa nei fatti la dichiarazione di Venezia. Nelle assemblee, la militanza ha realizzato una analisi della situazione politica di Euskal Herria, si è valutato lo sviluppo del dibattito e poi si è definita la pianificazione politica della Sinistra Indipendentista per il 2010.

Costa d'Avorio - Il paese del cacao

La tensione sale nel paese africano.


DA PEACE REPORTER
Migliaia di persone sono scese in strada per protesta contro la decisione del presidente Laurent Gbagbo di sciogliere il governo e la commissione elettorale.
La frustrazione della gente ha raggiunto livelli insopportabili dopo anni di rinvio del voto, in un paese che dal 2003 è di fatto diviso tra il sud, sotto il controllo governativo, e il nord, in mano ai ribelli. Le elezioni sono state più volte rinviate dal 2005 e il primo ministro Guillaume Soro dovrebbe annunciare il nuovo governo entro la settimana. I dimostranti hanno bloccato le strade, incendiando pneumatici, soprattutto nelle città di Daoukro, Dimbokro e M'Bahiakro. La comunità internazionale sta monitorando la situazione, in quanto la tensione crescente potrebbe danneggiare l'industria del cacao, in un paese che produce circa un terzo delle forniture mondiali. Analogamente la Banca mondiale sta effettuando pressioni affinché vengano organizzate le elezioni prima della discussione sulla rinegoziazione del debito estero del paese africano. Sia la guerra civile che le successive crisi di governo non hanno mai seriamente danneggiato le forniture di cacao del paese. 

DA NIGRIZIA
Si sta tentando di formare un nuovo esecutivo, mentre la popolazione è esasperata per l’ennesimo rinvio delle elezioni, per l’aumento dei prezzi e per il tracollo delle già fragili strutture del welfare. E gli ex ribelli, il cui programma di disarmo non è ancora completato, restano a guardare. In attesa di nuovi sviluppi.
Da lunedì il primo ministro della Costa d'Avorio, Guillaume Soro è impegnato nelle consultazioni per formare un nuovo governo. Il precedente è stato sciolto all'improvviso, venerdì scorso, assieme alla Commissione elettorale indipendente (Cei), dal presidente Laurent Gbagbo. Ora c'è un nuovo governo da varare in tutta fretta, sotto la pressione di un numero crescente di manifestazioni di piazza in diverse località del paese ma soprattutto nelle roccaforti dell'opposizione. I due principali esponenti dell'opposizione, Konan Bédié e Alassane Ouattara, infatti, soffiano sul fuoco. Hanno definito un "colpo di stato" lo scioglimento della Cei e del governo, e hanno chiesto al paese di mobilitarsi contro il presidente Gbagbo.
Ieri è intervenuto il mediatore della crisi, il presidente del Burkina Faso, Blaise Compaoré che ha richiamato tutti gli attori al rispetto degli accordi di pace siglati a Ouagadougou nel 2007, al termine del conflitto innescato dal tentativo di rovesciare il presidente Gbagbo, nel 2002. Ora il paese attende di conoscere la composizione del nuovo governo al quale, sempre secondo quanto stabilito dagli accordi, dovrebbe prender parte anche l'opposizione.
Intanto lo scioglimento dell'esecutivo e della Cei ha provocato l'ennesimo slittamento delle elezioni, previste inizialmente nel 2005, quando avrebbe dovuto concludersi il mandato presidenziale di Gbagbo. Elezioni che erano attese tra la fine di febbraio e i primi di marzo.
Il recente scontro tra la compagine presidenziale e l'opposizione si gioca attorno alla figura di Robert Beugré Mambé, capo della Cei ed esponente dell'opposizione, accusato di aver inserito nel registro elettorale più di 429.000 nomi di elettori che - secondo il presidente - non avrebbero diritto di voto.
Una crisi, dunque, che affonda le sue radici nella questione irrisolta della cosiddetta "ivorianità", della discendenza di sangue dei cittadini della Costa d'Avorio, che è stato fino al 2002 il più grande produttore al mondo di cacao. Un paese, dunque, a forte immigrazione essendo stato per decenni l'economia trainante dell'intera regione. «Un terzo della popolazione è "straniero" - racconta Alessandro Rabbiosi, responsabile dei progetti dell'ong Terre des hommes in Costa d'Avorio - .Tuttavia è difficile riuscire a individuare chi è ivoriano e chi non lo è, anche perché in molti risiedono qui da generazioni».
Ma c'è anche un altro elemento di inquietudine per gli equilibri, fragili, del paese, ed è l'atteggiamento degli ex ribelli, le Forze Nuove, che ancora mantengono il controllo, di fatto, del nord, e per i quali il programma di disarmo e smobilitazione non è ancora completato. Ieri le Forze Nuove hanno confermato il loro sostegno al primo ministro Guillaume Soro (loro ex leader). Domani chissà...

martedì 16 febbraio 2010

La parola a Marlon Santi, il leader degli indigeni dell'Ecuador


L'incontro con il giovane dirigente, a suo tempo in carcere perché accusato di terrorismo, solo per aver lottato in difesa del territorio indigeno contro i governi nazionali

"Quando ci sono state le prime esplosioni ho sentito la foresta piangere". Con queste parole un anziano Sarayaku ricorda i sondaggi esplorativi della argentina Compagnia General Combustibles. La popolazione inizio' una dura lotta per il diritto all'autodeterminazione del territorio e contro un'autorizzazione di cui ignoravano l'esistenza. Pestaggi, torture, violenze e parecchi arresti con la compiacenza dell'esercito per azzerare le proteste.
Poi una sentenza della Corte interamericana dei diritti umani ha dato ragione alla comunita' Sarayaku. L'autorizzazione a sondare una parte del territorio appartenente al Popolo indigeno per cercare il petrolio e' stata ritenuta illegittima, obbligando il governo a revocare l'autorizzazione all'azienda argentina. Il pericolo e' stato allontanato ma ora restano gli effetti collaterali.

lunedì 15 febbraio 2010

Contro di me scelte di guerra

di Abdullah Ocalan

Nella sua storia l'umanità è stata spesso testimone di intrighi usati dalle potenze dominanti come strumento per la conservazione del potere. Si potrebbero citare numerosi esempi, dai Sumeri all'impero romano. Sono premesse storiche lontane, ma spiegano bene le congiure delle quali il popolo kurdo spesso è stato vittima. Credo che la congiura internazionale che il 15 febbraio 1999 terminò col mio rapimento e deportazione in Turchia, sia uno degli eventi più importanti nella tradizione di intrighi delle potenze dominanti. La mia odissea attraverso l'Europa iniziò il 9 ottobre 1998 con la partenza dalla Siria. Mi condusse ad Atene, in Russia ed in Italia. Da lì fui costretto a tornare in Russia e poi nuovamente in Grecia. Il tutto terminò col mio rapimento dal Kenya. Parlo di una congiura internazionale, poiché l'intero processo al quale prese parte una coalizione di potenze di quattro continenti, oltre ad intrighi politici ed interessi economici, conteneva anche un complesso mix di tradimento, violenza e inganno.

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!