Le autorità afgane e perfino l'Unhcr hanno deciso di non attrezzare campi per accogliere i 13 mila profughi fuggiti dall'offensiva alleata nel sud dell'Afghanistan
Circa 13 mila civili afghani - famiglie intere con donne, bambini e anziani al seguito - sono fuggiti in questi giorni dall'offensiva militare alleata contro Marjah e gli altri villaggi del distretto di Nadalì, nella provincia meridionale di Helmand.
Nonostante le dichiarazioni delle autorità afgane, che la scorsa settimana, alla vigilia dell'operazione Moshtarak, avevano dichiarato di essere pronti ad accogliere e assistere i profughi, tutta questa povera gente è stata completamente abbandonata a se stessa: nessun campo di accoglienza è stato allestito e nessun tipo di aiuto e assistenza è stato fornito.
"Se li aiutiamo, poi rimangono qui". La maggior parte degli sfollati, 1.573 famiglie, ovvero oltre 10 mila persone, si sono riversati nel capoluogo provinciale, Lashkargah.
"Abbiamo deciso di non costruire un nuovo campo per gli sfollati perché non vogliamo che questa diventi un'emergenza prolungata in cui la gente poi rimane qui per sempre", ha dichiarato con schiettezza all'agenzia stampa dell'Onu (Irin News) Daud Ahmadi, portavoce del governo provinciale.
"Le famiglie giunte finora qui a Lashkargah stanno trovando ospitalità presso parenti e amici o si stanno sistemando in stanze in affitto", spiega Faruq Nurzai, capo del dipartimento provinciale per i Rifugiati, giustificando così il non intervento delle autorità.
Gli fa eco Nader Farhad, portavoce afgano dell'Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr): "Questi sfollati non sono poi tanti e ormai si stanno sistemando, non vivono all'aria aperta, quindi l'Unhcr non ritiene necessario distribuire tende".
I più sfortunati finiscono a Mokhtar Camp. In realtà, tutti gli sfollati che per mancanza di parenti o di denaro non sono riusciti a sistemarsi da soli (ce ne sono, ma non si sa quanti) finiscono nel vecchio campo profughi di Mokhtar: una desolata distesa di tende ingiallite, baracche di lamiera e casette di argilla alla periferia nord di Lashkargah, dove vivono, senza alcuna assistenza umanitaria (l'Unhcr ha interrotto le operazioni nel 2008), già oltre 20 mila sfollati: profughi della prima ora, fuggiti dai loro villaggi subito dopo l'invasione alleata del 2001, cui ogni anno si aggiungono temporaneamente nuovi disperati che scappano dalle "grandi offensive" stagionali della Nato. L'estate scorsa, ad esempio, quando le truppe anglo-americane hanno lanciato le operazioni Khanjar (Pugnale) e Panchai Palang (Artiglio di Pantera) gli sfollati furono 20 mila: 5 mila trovarono rifugio da amici e parenti, ma ben 15 mila finirono a Mokhtar Camp, dove rimasero per molti mesi. E' probabile che la stessa sorte toccherà anche a buona parte dei 10 mila sfollati dall'operazione Moshtarak.
Duemila sfollati fuggiti oltre il deserto. E' andata ancora peggio alle altre migliaia di civili fuggiti in questi giorni da Marjah che, invece di dirigersi a est verso il capoluogo, hanno scelto di andare a sud, a Nawa (110 famiglie, circa 700 persone), ma sopratutto a ovest, nel distretto di Khash Rod, nella vicina provincia di Nimruz. Oltre 300 famiglie, almeno 2 mila persone, hanno attraversato cento chilometri di deserto per arrivare stremate nel primo centro abitato, Khash Rod appunto, dove, come ha riferito il governatore di Nimruz, Ghulam Dastagir Azad, sono state sistemate in edifici abbandonati. "Non abbiamo coperte né gas per scaldarci, non abbiamo cibo né farina, siamo tutti ammalati per il freddo", ha raccontato al servizio uzbeco della Bbc Wali Jan, fuggito da Marjah con la sua famiglia quando gli americani hanno iniziato a sparare contro la sua casa.
Civili intrappolati a Marjah. Ma chi se la passa peggio di tutti sono i civili rimasti intrappolati a Marjah e dintorni. Ventisei sono già morti sotto i bombardamenti Usa o colpiti dal fuoco incrociato. Il bilancio rischia di aumentare con il proseguire della battaglia.
L'esercito afgano ha già messo le mani avanti, accusando i talebani di usare i civili come 'scudi umani'. "I miei uomini che combattono a Marjah hanno visto i talebani portare donne e bambini sul tetto delle abitazioni e mettersi a sparare da dietro di loro", ha dichiarato il generale Moheedin Ghori, che comanda i 4.400 soldati afgani impegnati nell'operazione.
"Non abbiamo mai usato civili come scudi umani", ha subito replicato il portavoce talebano Qari Yusuf Ahmadi. "Noi non usiamo la nostra gente in questo modo: siamo lì a combattere gli invasori fronteggiandoli direttamente".
Comunque stiano le cose, rimane il dato di fatto: l'offensiva alleata a Marjah sta mettendo in pericolo la vita di migliaia di civili innocenti.
Enrico Piovesana
Nonostante le dichiarazioni delle autorità afgane, che la scorsa settimana, alla vigilia dell'operazione Moshtarak, avevano dichiarato di essere pronti ad accogliere e assistere i profughi, tutta questa povera gente è stata completamente abbandonata a se stessa: nessun campo di accoglienza è stato allestito e nessun tipo di aiuto e assistenza è stato fornito.
"Se li aiutiamo, poi rimangono qui". La maggior parte degli sfollati, 1.573 famiglie, ovvero oltre 10 mila persone, si sono riversati nel capoluogo provinciale, Lashkargah.
"Abbiamo deciso di non costruire un nuovo campo per gli sfollati perché non vogliamo che questa diventi un'emergenza prolungata in cui la gente poi rimane qui per sempre", ha dichiarato con schiettezza all'agenzia stampa dell'Onu (Irin News) Daud Ahmadi, portavoce del governo provinciale.
"Le famiglie giunte finora qui a Lashkargah stanno trovando ospitalità presso parenti e amici o si stanno sistemando in stanze in affitto", spiega Faruq Nurzai, capo del dipartimento provinciale per i Rifugiati, giustificando così il non intervento delle autorità.
Gli fa eco Nader Farhad, portavoce afgano dell'Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr): "Questi sfollati non sono poi tanti e ormai si stanno sistemando, non vivono all'aria aperta, quindi l'Unhcr non ritiene necessario distribuire tende".
I più sfortunati finiscono a Mokhtar Camp. In realtà, tutti gli sfollati che per mancanza di parenti o di denaro non sono riusciti a sistemarsi da soli (ce ne sono, ma non si sa quanti) finiscono nel vecchio campo profughi di Mokhtar: una desolata distesa di tende ingiallite, baracche di lamiera e casette di argilla alla periferia nord di Lashkargah, dove vivono, senza alcuna assistenza umanitaria (l'Unhcr ha interrotto le operazioni nel 2008), già oltre 20 mila sfollati: profughi della prima ora, fuggiti dai loro villaggi subito dopo l'invasione alleata del 2001, cui ogni anno si aggiungono temporaneamente nuovi disperati che scappano dalle "grandi offensive" stagionali della Nato. L'estate scorsa, ad esempio, quando le truppe anglo-americane hanno lanciato le operazioni Khanjar (Pugnale) e Panchai Palang (Artiglio di Pantera) gli sfollati furono 20 mila: 5 mila trovarono rifugio da amici e parenti, ma ben 15 mila finirono a Mokhtar Camp, dove rimasero per molti mesi. E' probabile che la stessa sorte toccherà anche a buona parte dei 10 mila sfollati dall'operazione Moshtarak.
Duemila sfollati fuggiti oltre il deserto. E' andata ancora peggio alle altre migliaia di civili fuggiti in questi giorni da Marjah che, invece di dirigersi a est verso il capoluogo, hanno scelto di andare a sud, a Nawa (110 famiglie, circa 700 persone), ma sopratutto a ovest, nel distretto di Khash Rod, nella vicina provincia di Nimruz. Oltre 300 famiglie, almeno 2 mila persone, hanno attraversato cento chilometri di deserto per arrivare stremate nel primo centro abitato, Khash Rod appunto, dove, come ha riferito il governatore di Nimruz, Ghulam Dastagir Azad, sono state sistemate in edifici abbandonati. "Non abbiamo coperte né gas per scaldarci, non abbiamo cibo né farina, siamo tutti ammalati per il freddo", ha raccontato al servizio uzbeco della Bbc Wali Jan, fuggito da Marjah con la sua famiglia quando gli americani hanno iniziato a sparare contro la sua casa.
Civili intrappolati a Marjah. Ma chi se la passa peggio di tutti sono i civili rimasti intrappolati a Marjah e dintorni. Ventisei sono già morti sotto i bombardamenti Usa o colpiti dal fuoco incrociato. Il bilancio rischia di aumentare con il proseguire della battaglia.
L'esercito afgano ha già messo le mani avanti, accusando i talebani di usare i civili come 'scudi umani'. "I miei uomini che combattono a Marjah hanno visto i talebani portare donne e bambini sul tetto delle abitazioni e mettersi a sparare da dietro di loro", ha dichiarato il generale Moheedin Ghori, che comanda i 4.400 soldati afgani impegnati nell'operazione.
"Non abbiamo mai usato civili come scudi umani", ha subito replicato il portavoce talebano Qari Yusuf Ahmadi. "Noi non usiamo la nostra gente in questo modo: siamo lì a combattere gli invasori fronteggiandoli direttamente".
Comunque stiano le cose, rimane il dato di fatto: l'offensiva alleata a Marjah sta mettendo in pericolo la vita di migliaia di civili innocenti.
Enrico Piovesana