di Astrit Dakli
In attesa dei risultati definitivi delle presidenziali, risultati che la Commissione elettorale dovrebbe rendere pubblici nei prossimi giorni ma che non si discosteranno dal 48,96 contro 45,57 per cento per Yanukovich contro Timoshenko, a Kiev sono iniziate le grandi manovre per il riaggiustamento politico.
Da un lato c’è la premier sconfitta, Yulija Timoshenko, che sta giocando una partita molto rischiosa rifiutando di ammettere il successo del rivale (al quotidiano Ukrainskaya Pravda ha detto: “Non riconoscerò mai la legittimità della vittoria di Yanukovich”) e puntando tutte le sue carte su un annullamento almeno parziale del voto; dall’altro c’è il tentativo del vincitore di stringere in tempi rapidissimi un’alleanza in parlamento che gli consenta di licenziare subito la premier e varare un nuovo esecutivo con una nuova maggioranza.
Secondo l’agenzia russa online Lenta.ru, ciò potrebbe accadere già questa settimana.
Fuori, nelle capitali straniere che contano, c’è ancora molta prudenza: nessuno si sbilancia a congratularsi con Yanukovich prima che la sua vittoria sia convalidata formalmente. Anche al Cremlino, dove pure è evidente la soddisfazione per l’esito elettorale ucraino, si preferisce finora sfumare i termini: il telegramma inviato dal presidente Medvedev a Yanukovich contiene le congratulazioni per “il successo elettorale”, ma non vi si parla nè di “vittoria” nè di “nuovo presidente”, come gli stessi media russi (cfr. Newsru.com) fanno notare. Dagli Stati Uniti toni ugualmente riservati, i commenti ufficiali si rallegrano per la “qualità del processo elettorale” e la “prova di democrazia”, senza sbilanciarsi sul nome del vincitore; lo stesso a Parigi e in altre capitali europee.
La sfida lanciata ieri dalla Timoshenko è rischiosa perché si taglia i ponti alle spalle e apre una crisi nel suo stesso partito (pur costruito interamente intorno alla sua persona). E’ evidente che non pochi dei suoi uomini contavano su un accordo post-elettorale con Yanukovich nella speranza di mantenere un piede nella stanza dei bottoni: tant’è che dopo l’annuncio della premier circa la contestazione in tribunale dei risultati di alcune regioni (contestazione che se accolta potrebbe giustificare la richiesta di annullamento delle elezioni e tenuta di un terzo turno) un dirigente importante del partito come Mykola Tomenko si è dissociato e ha affermato che sarebbe decisamente meglio accettare la sconfitta e svolgere “onestamente” il ruolo di opposizione. Di fatto, un’implicita offerta di cambio di campo a Yanukovich, che come vedremo potrebbe aver presto bisogno di alcuni deputati “arancione” transfughi.
Il neopresidente, infatti, sta a sua volta in una posizione scomodissima, non avendo raccolto neanche la metà dei voti e dovendo fare i conti, al momento, con un governo e una maggioranza parlamentare a lui ostili. Avrebbe bisogno di sciogliere il parlamento e indire nuove elezioni, sperando in un trionfo del suo partito; ma è una strada lunga, tortuosa e tutt’altro che sicura. Assai più semplice sarebbe costituire una nuova maggioranza alla Rada e con questa mandare a casa la Timoshenko: ma per farlo ha bisogno di alleati.
Un alleato che pare abbastanza robusto è paradossalmente il presidente uscente Viktor Yushenko, il cui partito “Nostra Ukraina” ha 72 seggi alla Rada. Uniti ai 175 seggi del Partito delle Regioni di Yanukovich, costituirebbero una comoda maggioranza (247 seggi su 450 totali). Secondo le voci che corrono, le trattative con Yushenko sarebbero già in corso e ci sarebbe già anche un premier “in pectore”, Yurij Yekhanurov – un uomo di Nostra Ukraina che ha già fatto il premier nel 2005/2006 e che fino a pochi mesi fa era ministro della difesa nel governo della Timoshenko. In alternativa a Yushenko – i cui “punti fermi” politici sono in totale antagonismo con la linea di Yanukovich – il neopresidente potrebbe tentare un’alleanza con il Partito comunista di Petro Simonenko, che alla rada dispone di 27 seggi e che ha dichiarato in queste ore di non esser disponibile a partecipare ad alcuna maggioranza in cui siano presenti i partiti di Yushenko o Timoshenko, e con il blocco formato dall’ex speaker del parlamento Volodymyr Lytvyn, che di seggi ne ha 20. Unendo queste forze si arriverebbe a 222 seggi: per governare occorrerebbe “rubare” qualche deputato ai due partiti “arancioni” (Nostra Ukraina e il BYUT, il partito della Timoshenko, che ha 156 seggi alla Rada), un’operazione non impossibile e che – torniamo a quanto detto sopra – la stessa Timoshenko rischia di rendere più facile con la sua sfida intransigente.