Articolo di Herman Bellinghausen su La Jornada – Mercoledì 10 febbraio 2010
A 15 anni dall’offensiva militare del governo federale di Ernesto Zedillo contro centinaia di comunità zapatiste in Chiapas, il 9 febbraio 1995, e davanti al crescente numero e gravità delle aggressioni contro questi stessi popoli, soprattutto nella selva Lacandona, collettivi ed organizzazioni aderenti all’Altra Campagna in diverse parti del paese hanno dichiarato che, “con la sua guerra di sterminio il malgoverno non vuole solo distruggere l’EZLN, ma la vita e la dignità dei popoli”.
Bisogna rilevare che l’occupazione decretata tre lustri fa è intatta ed anche adesso che si è militarizzato il territorio nazionale per combattere al crimine organizzato, il Chiapas continua ad essere l’entità con la maggiore presenza di effettivi militari.
“Quello che il governo sembra ignorare è che il progetto zapatista è arrivato molto oltre le nostre frontiere, vive in molte parti del mondo. Siamo in molti e non ci arrenderemo”, sostengono gli aderenti all’Altra Campagna.
Da parte sua, la Rete contro la Repressione e per la Solidarietà, anch’essa dell’Altra Campagna, si è espressa rispetto alle aggressioni alle basi zapatiste a Bolom Ajaw (municipio autonomo Comandanta Ramona) e Laguna di San Pedro, questi ultimi sfollati dei Montes Azules.
“Le azioni di intimidazione e sgombero effettuate dal malgoverno, utilizzando l’Organizzazione per la Difesa dei Diritti Indigeni e Contadini (Opddic), o in maniera diretta, confermano l’attività delle bande paramilitari col consenso e la tolleranza dei tre livelli di governo, con la finalità di spogliarli di quelle terre per fini di investimento in progetti turistici”.
Aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona raggruppati nell’Altra Jovel denunciano che il governo “crea, addestra ed arma gruppi paramilitari per orchestrare conflitti, come lo fa con la Opddic a Bolom Ajaw”. Sostengono che “copre queste aggressioni” e “per pulire la sua immagine finge di negoziare, mostrare buona volontà e rispettare i diritti umani”, immagine che cade davanti alla brutalità delle sue azioni ed alla sfacciataggine con cui cerca di appropriarsi di terre e territori autonomi zapatisti. La paura del malgoverno è talmente cresciuta che spende le sue risorse per creare un clima di terrore e violenza per poi giustificare un intervento militare”.
Inoltre, una decina di organizzazioni civili che formano la Rete per la Pace in Chiapas manifestano “profonda preoccupazione” per gli sgomberi avvenuti i giorni 21 e 22 gennaio nelle comunità indigene dei Montes Azules, ed allertano sul rischio di nuovi sgomberi “annunciati” da diverse fonti.
Denunciano che con “lo sgombero forzato di Laguna El Suspiro e Laguna San Pedro, molte garanzie e diritti fondamentali sono stati violentati, attentando all’integrità di bambini, donne e uomini che occupano la zona da tempi ancestrali”.
Gli operativi poliziesco-militari non sono stati i primi nei Montes Azules” per cui, “i progetti governativi di ‘pulizia territoriale’ per la creazione di circuiti turistici, si teme continuino a frammentare la vita comunitaria ed il tessuto sociale delle comunità a rischio di sgombero”.
La Rete per la Pace sottolinea “la parzialità” dei media locali per la loro “stigmatizzazione, senza previa investigazione e copertura delle diverse fonti non ufficiali”. Diffondendo “unicamente” la versione governativa dei fatti, “mettono a rischio l’integrità delle famiglie sfollate, dei difensori dei diritti umani e degli abitanti di altre comunità”. Le organizzazioni civili “con attività documentate nella zona” respingono “il pretesto di ‘conservazione e protezione delle risorse naturali’ utilizzato dai diversi livelli di governo per ottenere il controllo territoriale – che si traduce in sociale, politico ed economico – di una delle zone più ricche in biodiversità del Chiapas.”
(Traduzione “Maribel” – Bergamo)