L'incontro con il giovane dirigente, a suo tempo in carcere perché accusato di terrorismo, solo per aver lottato in difesa del territorio indigeno contro i governi nazionali
"Quando ci sono state le prime esplosioni ho sentito la foresta piangere". Con queste parole un anziano Sarayaku ricorda i sondaggi esplorativi della argentina Compagnia General Combustibles. La popolazione inizio' una dura lotta per il diritto all'autodeterminazione del territorio e contro un'autorizzazione di cui ignoravano l'esistenza. Pestaggi, torture, violenze e parecchi arresti con la compiacenza dell'esercito per azzerare le proteste.
Poi una sentenza della Corte interamericana dei diritti umani ha dato ragione alla comunita' Sarayaku. L'autorizzazione a sondare una parte del territorio appartenente al Popolo indigeno per cercare il petrolio e' stata ritenuta illegittima, obbligando il governo a revocare l'autorizzazione all'azienda argentina. Il pericolo e' stato allontanato ma ora restano gli effetti collaterali.
Sono 1.460 chilogrammi di esplosivo disseminati nella foresta di cui gli artificieri inviati dalla polizia in qualche mese sono riusciti a rendere inoffensivo solo l'uno per cento. Tra dicembre e gennaio si sono succeduti numerosi incontri tra le autorita' e la dirigenza indígena al fine di attuare una delle risoluzioni della corte interamericana. La stessa che imponeva, tra l'altro, la bonifica del territorio dall'esplosivo situato anche a notevole profondita' e potenzialmente in grado di creare una sorta di campo minato. Momenti di tensione tra le parti, soprattutto quando fonti della polizia hanno affermato che i cani in grado di individuare il materiale detonante non erano riusciti nel loro compito a causa dell'influenza che gli impediva di annusare il terreno. L'ultimo atto del contenzioso avrà luogo il 2 febbraio in Costa Rica, quando la corte interamericana si pronuncera' definitivamente sulla causa; nel caso di ampio accoglimento delle istanze indigene si creera' un fondamentale precedente per la lotta in difesa del territorio da parte delle comunità native contro i governi nazionali. Tra i principali fautori della lotta, Marlon Santi, giovane dirigente della comunita' Sarayaku, a suo tempo incarcerato, minacciato e accusato di terrorismo è ora presidente della più importante organizzazione indígena operante in Ecuador. La CONAIE è infatti parte protagonista del movimiento "la Alianza del Condor y del Aguila", che, insieme ad altre associazioni, unisce l'America Latina nella battaglia per il giusto riconoscimento ai diritti dei popoli originari.
Come si suddivide l'organizzazione indigena in Ecuador?
Esistono tre movimenti; la FEINI, organizzazione evangelica attiva dai primi anni Novanta, la FENOSIN, vicina al socialismo marxista e noi della CONAIE, che riconosciamo la vita come unica ideologia, e siamo strutturati secondo un'ottica regionale. La nostra federazione a sua volta raggruppa la CONAICE nella costa, l'ECUARUNARI sulla Sierra e il CONFENIAIE nelle regioni amazzoniche.
Attualmente il movimento indigeno rappresenta l'effettiva opposizione al Governo di Rafael Correa?
Abbiamo ripetutamente offerto la nostra collaborazione al Governo, per lavorare su una società più giusta, ritenendo che i principi indigeni possano rappresentare un importante apporto alla causa. Purtroppo, l'Esecutivo ha risposto con orecchie da mercante. In un Paese dove il 40% della popolazione è indigeno, senza il nostro apporto diretto, non è possibile parlare di democrazia. Se esiste un'opposizione da parte nostra, questa non è sicuramente preventiva.
Un commento sulla Costituzione Ecuadoriana del 2008?
E' giusto riconoscere che ha apportato importanti innovazioni sociali, soprattutto in termini di protezione dell'ambiente e delle minoranze, così come nella ratificazione dei Trattati Internazionali, che ora vengono considerati come "Leyes Segundarias". Purtroppo, però, i diritti alla piena autodeterminazione dei popoli indigeni non sono stati risconosciuti. Nel linguaggio pratico, possiamo esprimere la nostra opinione su fatti per noi trascendentali, come lo sfruttamento delle risorse dei nostri sottosuoli, che però non viene giudicata determinante.
Nel mese di agosto, violenti scontri tra indigeni e polizia nelle regioni del Sud hanno provocato una vittima. Cosa è sucesso?
C'è un problema di fondo: nessun popolo indigeno accetta le miniere, che vengono considerate uno stupro nei confronti della Pachamama (madre terra n.d.r.), e il Governo ha recentemente firmato nuove concessioni minerarie. Le violenze da parte della polizia hanno avuto le tragiche conseguenze che conosciamo. Il sacrificio della vittima del "levantamiento" ha portato ad un dialogo con il Governo, che purtroppo però non ha dato i risultati sperati. La nostra richiesta di identificare i responsabili non ha ancora trovato risposta.
Hai recentemente partecipato all'incontro di Copenaghen. Un commento?
Non può che essere pessimista. Alla luce dei fatti, è evidente una volta di più come vi sia scarsa volontà di prendere misure drastiche, effettive. L'unico messaggio veramente forte che si evince dalla riunione danese è la voce di chi è stanco di queste pagliacciate che stanno compromettendo pericolosamente il nostro futuro. Tutte le organizzazioni sociali, ambientaliste, indigene si sono accordate per una grande mobilitazione mondiale per il 2010, a giugno. Sperando che qualcosa possa cambiare.
Qual è la situazione attuale in Ecuador?
L'economia nazionale continua ad essere basata sul petrolio. Esiste una compagnia statale, la Petroecuador, che subappalta concessioni nei territori amazzonici, molto spesso senza interpellare i popoli residenti. Tutte le nazioni indigene si oppongono tenacemente contro lo sfruttamento petrolífero, che ferisce profondamente la Pachamama, ma le nostre proteste vengono costantemente ignorate. La Comunità di Sarayaku, che nel 2003 è riuscita a resistere alla compagnia argentina CGC, è una delle poche storie a lieto fine.
Negli ultimi anni si è parlato di un processo di cambio, in America Latina. Qual è l'opinione del mondo indigeno?
E' importante non confondere la propaganda con la politica effettiva. La Bolivia è un esempio positivo di autodeterminazione dei popoli indigeni, ed esprime con trasparenza il nostro pensiero. Evo Morales era al nostro fianco a Copenaghen, con un messaggio chiaro: è giunto il momento di liberare la Madre Terra. Chavez, invece, continua a predicare bene e razzolare male: la sua è una gestione chiaramente petrolífera, e le popolazioni residenti nelle regioni di massimo sfruttamento non vengono adeguatamente rimborsate. In Colombia la situazione è invece gravissima: esistono più di 50.000 situazioni di violazioni, e molte organizzazioni indigene sono state completamente distrutte. Qualcosa di simile, anche se a minor scala, è accaduto e continua ad accadere in Perù.
Quali sono le prospettive future per la CONAIE?
E' importante essere realisti, e riconoscere che continuano a sussistere importanti giochi economici che detengono il monopolio del potere politico. Personalmente, credo che nei prossimi cinque anni il movimento indigeno possa crescere fino a proporre un proprio candidato alla Presidenza della Repubblica dell'Ecuador.
Scritto da Alessandro Ingaria e Sandro Bozzolo
Tratto da Peace Reporter