Aveva
ottenuto l’asilo politico ed era stato
assunto come operaio da una cooperativa.
Lavoro, famiglia, amici. Salman Talan,
curdo di nazionalità turca, in Italia aveva
trovato tutto. Il richiamo dei fratelli curdi in
lotta contro l’Isis, però, è stato più forte, e alla
fine l’ha portato a morire in Iraq. Salman,
nome di battaglia Erdal Welat («la mia terra») viveva tra Milano e Trecate, in
provincia di Novara, dove abitano ancora due dei suoi cinque fratelli. Un anno fa ha
deciso di abbandonare la sua nuova vita e partire. Ha lasciato solo una lettera: «Nessuno
mi ha obbligato.
Vado a combattere contro l’Isis perché la mia famiglia possa scrivere nella sua lingua».
Poche parole ai genitori per spiegare la partenza. Per dodici mesi nessuno ha saputo più
nulla di lui. Finché, il 27 gennaio scorso, i familiari hanno ricevuto la notizia della sua morte.
«È stato colpito da un cecchino dell’Isis a Shingal (nome curdo per il monte Sinjar), in Iraq
- racconta il fratello Sahin -. Il proiettile ha trapassato il cranio da sinistra a destra. Dopo
di lui hanno ucciso un suo amico».
assunto come operaio da una cooperativa.
Lavoro, famiglia, amici. Salman Talan,
curdo di nazionalità turca, in Italia aveva
trovato tutto. Il richiamo dei fratelli curdi in
lotta contro l’Isis, però, è stato più forte, e alla
fine l’ha portato a morire in Iraq. Salman,
nome di battaglia Erdal Welat («la mia terra») viveva tra Milano e Trecate, in
provincia di Novara, dove abitano ancora due dei suoi cinque fratelli. Un anno fa ha
deciso di abbandonare la sua nuova vita e partire. Ha lasciato solo una lettera: «Nessuno
mi ha obbligato.
Vado a combattere contro l’Isis perché la mia famiglia possa scrivere nella sua lingua».
Poche parole ai genitori per spiegare la partenza. Per dodici mesi nessuno ha saputo più
nulla di lui. Finché, il 27 gennaio scorso, i familiari hanno ricevuto la notizia della sua morte.
«È stato colpito da un cecchino dell’Isis a Shingal (nome curdo per il monte Sinjar), in Iraq
- racconta il fratello Sahin -. Il proiettile ha trapassato il cranio da sinistra a destra. Dopo
di lui hanno ucciso un suo amico».
Il lavoro in stamperia
Nelle
ultime foto pubblicate su Facebook Salman ha un viso lungo, serio, da
uomo. Indossa
una tuta mimetica e ha il fucile tra le braccia. In realtà Salman era un ragazzo di 24 anni.
Era giunto in Italia giovanissimo insieme a mamma, papà e cinque fratelli, in fuga da una
Turchia che non gradiva le loro simpatie per il Pkk di Ocalan. Aveva fatto vari lavoretti ma
negli ultimi tempi si era sistemato in una stamperia. Sveglia presto, i turni, un’esistenza come
tante. «Lavorava con me - aggiunge il fratello -. Era un ragazzo sensibile, sempre attento agli
altri: se vedeva un rom o un altro immigrato cercava di aiutarli».
una tuta mimetica e ha il fucile tra le braccia. In realtà Salman era un ragazzo di 24 anni.
Era giunto in Italia giovanissimo insieme a mamma, papà e cinque fratelli, in fuga da una
Turchia che non gradiva le loro simpatie per il Pkk di Ocalan. Aveva fatto vari lavoretti ma
negli ultimi tempi si era sistemato in una stamperia. Sveglia presto, i turni, un’esistenza come
tante. «Lavorava con me - aggiunge il fratello -. Era un ragazzo sensibile, sempre attento agli
altri: se vedeva un rom o un altro immigrato cercava di aiutarli».
Attivista politico