giovedì 2 febbraio 2017

Stati Uniti - Quello che succede all'inizio dell'epoca Trump

USA  In una telefonata col presidente messicano Pena Nieto, l’omologo statunitense Trump avrebbe minacciato l’invio di truppe Usa al confine se il Messico non fermerà l’arrivo di quelli che chiama ‘bad hombres’, ossia i migranti con precedenti penali, spesso proprio solo per il fatto di non avere i documenti. La chiamata, smentita da Nieto, non è invece stata commentata dalla Casa Bianca, che lascia intendere come in realtà sia davvero avvenuta.

Burrascosa anche la telefonata col premier australiano Turnbull, accusato di “voler esportare negli Stati Uniti terroristi” solo per avere chiesto alla Casa Bianca di rispettare l’accordo secondo cui gli Usa dovrebbero accogliere 1.250 rifugiati al momento nelle carceri australiane.

BERKELEY – Negli Usa intanto partecipatissima resistenza notturna all'Università di Berkeley, California, con proteste radicali, scontri, incendi e blocco dell’ateneo per il previsto arrivo di un oratore di estrema destra, Milo Yiannopoulos, legato al sito breitbart.com. “pensatoio” razzista guidato da Stephen Bannon, “ideologo” di Trump. Alla fine, per l’oratore razzista, niente discorso, viste le proteste di massa e radicali, con migliaia di persone in piazza. Presi di mira dagli spezzoni antifascisti e anticapitalisti banche, filiali di multinazionali e altro ancora, con durissimi scontri con la polizia.

Di seguito, un video della manifestazione:


NO DAPL – I repubblicani hanno approvato intanto in Senato una misura che affossa il regolamento contrario allo sversamento di scorie nei fiumi vicine a industrie attive nel settore dell’estrazione del carbone, con l’obiettivo di proteggere le acque di 10mila chilometri di corsi d’acqua e 210 mila chilometri quadrati di foreste. Nella notte poi decine di uomini della Guardia Nazionale hanno circondato il “Last Child Camp”, uno dei campi di resistenza contro il mega oleodotto Dapl, in North Dakota, dove da mesi resistono solidali e nativi americani Sioux. Effettuati 76 arresti,tra cui alcuni avvocati.

CARCERE – E ancora: rivolta in un carcere di massima sicurezza a Smyrna, in Delaware: alcuni agenti della polizia penitenziaria sono stati presi in ostaggio dai detenuti. La struttura – dalla quale sarebbe stato visto uscire del fumo forse dovuto a delle fiamme – è stata messa in ‘lockdown’, chiusa all'esterno, così come tutte le carceri del Delaware. All'interno del Vaughn Correctional Center ci sono 2.500 detenuti, molti dei quali in regime di massima sicurezza. All'interno della struttura si eseguono anche le condanne a morte. Da tempo i detenuti denunciano condizioni disumane. Dopo ore di trattative, dentro il carcere restano due agenti in ostaggio e 82 prigionieri in rivolta.

Di tutto questo, e più in generale delle prime due settimane di presidenza Trump, ne abbiamo parlato con Fabrizio Tonello, docente di Scienze Politiche a Padova, americanista e collaboratore de “Il Manifesto”.

Ascolta o scarica qui

tratto da Radio Onda d'Urto

venerdì 27 gennaio 2017

Argentina - Mapuche vs. Benetton: i colori della resistenza indigena


Mapuche vs. Benetton: i colori della resistenza indigena

Il 10 gennaio scorso duecento agenti della Gendarmería Nacional hanno lanciato un’offensiva contro un piccolo gruppo di indigeni mapuche nella provincia di Chubut, nella Patagonia argentina. Un’azione sproporzionata nel dispiegamento di forze in cui, con la scusa di abilitare la ferrovia per il passaggio di un treno turistico, la piccola comunità mapuche è stata attaccata ed isolata completamente, impedendo così il sostegno da parte di organizzazioni e movimenti sociali che operano a sostegno del popolo indigeno. Sono stati sparati proiettili di gomma, impiegati droni ed un uso brutale della forza contro una comunità di molto inferiore nei numeri rispetto alle forze dell’ordine. Il giorno seguente la polizia di Chubut è tornata a colpire, questa volta impiegando non solo proiettili di gomma ma anche proiettili regolari, lasciando sul terreno almeno due feriti gravi e ha proceduto all’arresto di sette persone della comunità. Anche Amnesty International ha denunciato l’accaduto, sottolineando come non sia ammissibile l’azione repressiva da parte dello Stato, soprattutto per quanto riguarda le violenze contro donne, bambini e bambine. Mariela Belski, direttrice di Amnesty Argentina, ha evidenziato l’opacità e la mancanza di trasparenza dell’operazione di polizia e la totale sproporzione fra la realtà dei fatti e la reazione delle forze dell’ordine. Già l’anno scorso Amnesty ed altre organizzazioni per i diritti umani ed organizzazioni indigene avevano denunciato la preoccupante escalation di stigmatizzazione e persecuzione nei confronti del popolo mapuche.
Ma cosa spiega lo scatenarsi di una tale violenza da parte dello Stato argentino contro un piccolo gruppo di indigeni inermi? Forse la statura (economica, non certo morale) del contendente. L’intervento è stato infatti eseguito in seguito alla richiesta della Compañía de Tierras Sud Argentino, che appartiene a Luciano e Carlo Benetton, del Benetton Group, arcinota multinazionale italiana del tessile. La Compañía si è rivolta alla giustizia con il pretesto di ripulire le piccole barricate di rami e tronchi di alberi posizionate dagli indigeni che ingombravano i binari del treno patagonico “La Trochita”. L’utilizzo di questo treno è impedito ai mapuche, ed essi reclamano di poter usufruire del servizio, per uscire dall’isolamento in cui si trovano a vivere. Questa parte di territorio apparteneva a Benetton, ma nel marzo 2015 è stato recuperato dalla comunità mapuche, in quanto parte del proprio territorio ancestrale.
Benetton possiede nella Patagonia argentina, attraverso la citata Compañia de Tierras Sud Argentino, oltre 900.000 ettari di terra, un’estensione pari a 45 volte la superficie della capitale federale Buenos Aires. Tale area è utilizzata prevalentemente per l’allevamento intensivo di capi di bestiame, principalmente ovini, destinati alla produzione di lana (circa 500 tonnellate all’anno). Gli interessi di Benetton ricadono però anche sulla coltivazione intensiva di cereali e produzione di carne bovina e ovina, nonché secondo alcune fonti sull’estrazione mineraria, attraverso l’azienda Minera Sud Argentina Sa, dove i Benetton sarebbero azionisti di maggioranza.

giovedì 26 gennaio 2017

Siria - Al Hol, il paradossale corridoio umanitario che dall’Iraq porta in Siria


Sulla guerra in Siria e sulla situazione irachena si allungano le ombre dei nuovi scenari geopolitici post insediamento di Trump, che non ha mai nascosto la sua amicizia ed identità di vedute con Putin oltre al sostegno aperto ad Israele, mentre Erdogan continua la sua politica di aggressione fronteggiandosi indirettamente con Iran e Arabia Saudita per l’egemonia regionale.
Ma cosa sta succedendo alle popolazioni civili siriane ed irachene strangolate dai vari fronti di guerra?
Ce lo racconta Un Ponte Per ..., l’organizzazione italiana impegnata nel sostegno alle popolazioni civili in questa area devastata del nostro pianeta.
Al Hol, il paradossale corridoio umanitario che dall’Iraq porta in Siria
Al Hol è un villaggio sperduto in un’area semideserta della Siria, a pochi passi dalla frontiera con l’Iraq. Negli ultimi mesi qui sono fuggiti migliaia di iracheni a seguito della battaglia di Mosul. Una delle possibili vie di fuga dalla città infatti porta solo verso la Siria.
Al Hol è un luogo tristemente noto perché qui sono rimasti bloccati per anni i palestinesi fuggiti dall’Iraq dopo il 2003 e che nessuno voleva accogliere. Per anni hanno atteso un paese ospitale. Il campo ha anche ospitato le centinaia di migliaia di iracheni che tra il 2006 e il 2008 sono fuggiti verso la Siria per non soccombere nella guerra civile che dilaniò il paese.
Poi il campo si è svuotato, e dopo il 2011 è diventato luogo di battaglie tra Daesh (Stato Islamico), le altre forze estremiste e i combattenti curdi. Oggi il campo è tornato a servire i rifugiati, invece di essere chiuso o di diventare un museo per la memoria. Con tutto il dolore che portano le sue mura e le sue strutture cadenti è stato riattivato per ospitare, a oggi, più di 15mila iracheni. In prevalenza minori, 2.500 a dicembre, 500 neonati. E donne.
Una popolazione in fuga dal Daesh, dopo averne subito l’occupazione per due anni. Il paradosso è che non possono fuggire in altre aree dell’Iraq, la strada più semplice è quella verso la Siria. L’amministrazione autonoma del nord-est siriano, l’area a maggioranza curda del paese chiamata Rojava, sta facendo uno sforzo eccezionale per accoglierli.
Le autorità locali stanno già ospitando centinaia di migliaia di sfollati interni siriani. E stanno assistendo le persone in fuga da Raqqa, in Siria. Non hanno né i soldi né la possibilità concreta di gestire un flusso di rifugiati da un altro paese. E invece ci danno una grande lezione di dignità e solidarietà. Il campo è stato riattivato, con il sostegno dell’Unchr.
Un ponte per... e la Mezzaluna Rossa Curda hanno costruito un centro di salute di base da campo che sta accogliendo ogni giorno centinaia di persone. Un’ambulanza delle due organizzazioni ogni giorno raggiunge il valico di frontiera tra Iraq e Siria di Rajm Sleby e da lì porta in ospedale o al campo i casi più difficili.

Ma al valico i controlli sono attentissimi. Il pericolo di infiltrazione di Daesh è alto. Spesso sono necessarie lunghe negoziazioni per portare in salvo le persone. Molte arrivano in condizioni disperate. Sono più di 100 i disabili arrivati negli ultimi mesi. E tra i bambini sono evidenti i molti casi di malnutrizione. Mancano molti generi di prima necessità e le sole cure mediche senza una adeguata infrastruttura di assistenza sono una risposta troppo limitata.
Gli operatori al campo di Al Hol e l’ambulanza in frontiera fanno i salti mortali per evitare il peggio a molte persone. Quando il servizio non c’era, a ottobre, su quella stessa frontiera sono morti due bambini. Casi del genere non si sono più verificati, ma siamo ancora lontani da un minimo di normalità. Nel campo le latrine sono in costruzione, l’acqua scarseggia in tutta la zona, cumuli di immondizia costellano le strade di polvere.
Donne e bambini si affollano nella sala d’attesa del nostro centro sanitario perché è uno dei pochi luoghi protetti, anche quando non hanno bisogno di una visita. Per le emergenze le ambulanze della Mezzaluna Rossa Curda corrono all’ospedale di Hassake, distante 50 chilometri, ma anche lì la situazione è drammatica. Dalla Siria sono fuggiti migliaia di medici, e i pochi ospedali rimasti aperti sono al collasso.

martedì 24 gennaio 2017

Messico - Le molte sfide degli indigeni in Messico

Le ultime scelte del Congresso Nazionale Indigeno che raccolgono le proposte dell’EZLN segnalano la volontà di affrontare molte sfide in una. Una sfida forte come la posta in gioco. Molti hanno detto che questo passo è l’ultima possibilità per i popoli originari in un momento cruciale, che tutti nel CNI si stiano giocando tutto e per questo s’impegnano a un lavoro enorme sia nel breve che nel lungo periodo, un impegno per recuperare pezzo per pezzo quello che con inganno e violenza giorno dopo giorno viene loro rubato ed estorto. Non vogliono lasciare il campo di battaglia, senza aver lottato. I rischi sono enormi. Se il percorso fallisse, probabilmente per il CNI non ci sarebbero ulteriori possibilità di rilancio. Mettersi in pasto ai media mainstream in una campagna elettorale è un’ulteriore minaccia, che per diventare opportunità deve essere organizzata con attenzione e gestita minuziosamente e con costanza. Il lavoro di lungo periodo, che di fatto potrebbe essere considerata la sfida più ambiziosa e rivoluzionaria, per certi versi ha meno minacce della candidatura alle elezioni nazionali, ma può ricevere dalla stessa campagna elettorale gli stimoli per svilupparsi più rapidamente

di Filippo Taglieri*
Vivere il Messico di questi tempi non  deve essere per niente semplice, le classiche leggendarie caratteristiche di imprevedibilità di questo paese, mostrano in questa fase la loro esasperazione. Laboratorio socio-politico di sperimentazione per il sistema neo-liberista, il Messico è oggi un paese diviso, un paese impoverito, una società frammentata e sotto continuo attacco.
Quella che molti hanno chiamato “guerra a bassa intensità” in realtà si sta trasformando giorno dopo giorno in una lotta per togliere terra e diritti alle popolazioni che abitano la federazione, con una particolare determinazione nei confronti delle popolazioni originarieche seppur nella loro eterogeneità, spesso, vivono in territori particolarmente ricchi (di risorse naturali) e che sviluppano progetti che valorizzano una sana economia campesina nemico giurato del sistema di bisogni indotto dal capitalismo. Come vedremo meglio in seguito, in questo contesto  vive e resiste il CNI (Congresso Nazionale Indigeno, nato nel 1980  con un primo impulso delle diocesi messicane e che in ottobre ha celebrato il quinto incontro. Popoli, comunità, tribù che si oppongono alla distruzione e vendita della Madre Terra, comunità in resistenza in cammino verso l’autonomia da un governo che altro non è,  se non un gruppo di commercianti che vendono risorse naturali al miglior offerente, solo per alimentare interessi personali o di casta.
Il CNI conta attualmente 202 due comunità di 43 popoli indigeni, come vedremo, dal primo gennaio 2017 ha preso coscienza e, con essa ha preso degli impegni. Pressocché unanime è stata la voce dei popoli originari: ricucire i legami comunitari minacciati dai partiti, dai progetti governativi, seppur nell’eterogeneità di ogni comunità, l’obiettivo sarà una reale autonomia, un’autoderminazione che passa per la tutela della terra, un tentativo di ricostruire una relazione fra campagna e città rimettendo al centro la terra.
Mexíco hoy – Contesto

domenica 22 gennaio 2017

Arabia Saudita - Raif Badawi compie 33 anni nelle carceri del nostro alleato a cui vendiamo armi.



Il 13 gennaio Raif Badawi, blogger saudita incarcerato e condannato a 1000 frustate nel 2014, ha compiuto 33 anni.
Il compleanno lo ha passato nelle carceri in cui continua ad essere rinchiuso, nonostante il suo caso sia ormai evidentemente una pura rappresaglia da parte del governo dell’Arabia Saudita nei confronti di chi ha una sola colpa: aver provato a dire o meglio scrivere delle parole libere.
Il compleanno di Raif è stata l’occasione in diverse città nel mondo per protestare sotto le ambasciate dell’Arabia Saudita. 
Dal Canada la moglie ha rilanciato la campagna per la libertà di Raif e del suo avvocato, anche lui finito nelle carceri saudite per aver semplicemente fatto il suo lavoro, cioè tentare di difendere legalmente il giovane blogger.
La libertà e i diritti umani non sono rispettati nell’Arabia Saudita, il paese che, paradossalmente, presiede il comitato consultivo del Consiglio Onu dei diritti umani che ha il compito di indicare gli esperti sui diritti umani.
Un bell’esempio di coerenza della comunità internazionale!
"Loro ci vendono il petrolio, noi gli vendiamo le armi", sintezza così un manifestante a Londra davanti all’Ambasciata dell’Arabia Saudita il legame vero che c’è tra occidentali e la monarchia saudita.
Armi che arrivano anche dalle imprese italiane come denunciato dalla Rete Disarmo.

RAIF BADAWI’S ORDEAL

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!