sabato 24 gennaio 2009

3° dia - Le sfide del MST nel 2009



La giornata di oggi è stata caratterizzata dal dibattito sui punti di criticità del Movimento e sulle prospettive future di lavoro. Durante la mattinata, diversi esponenti del MST si sono alternati nel proporre all’assemblea degli spunti di riflessione per mettere in discussione alcune caratteristiche del modello attuale di lavoro, soprattutto in relazione al particolare momento storico di crisi, non solo economica, ma anche dei movimenti, che stiamo attraversando. Nel pomeriggio il dibattito è continuato attraverso gruppi di lavoro, mentre la delegazione degli internazionali è stata accompagnata in visita della Fazenda Anoni e delle comunità del MST che vi risiedono.
In serata è stato consegnato il Premio Lotta della Terra. Tra i premiati, anche una compagna delle comunità di Alcantara (MA), conosciuta da Ya Basta! durante la Carovana estiva. Per l’occasione sono stati proiettati alcune immagini del video “Eu sou feliz” realizzato da Alice Vivona una delle partecipanti al viaggio. Anche Ya Basta! e le altre realtá internazionali presenti all’Encontro hanno ricevuto un omaggio dal MST.
Tra le varie sfide che si trova ad affrontare il Movimento Sem Terra, nei vari settori di attuazione (organizzazione interna, dibattito politico, formazione della militanza, capacità di analisi,..), queste quelle più imminenti:



  • cercare di ampliare la prospettiva del progetto politico della Riforma Agraria per i lavoratori, attraverso un Progetto Popolare di Agricoltura, che porti con sè una nuova forma di relazionarsi con la terra, l’acqua e la biodiversità, all’interno della realtà capitalista;

  • ripensare la strategia della Riforma Agraria, al come collocarla nell’agenda politica e come farla arrivare più vicina alla società civile, attraverso anche l’unione dei movimenti urbani e rurali;

  • di fronte alla crisi dell’organizzazione popolare, bisogna guardarsi dentro, ed elaborare una strategia che combatta la burocratizzione dei movimenti e dello stesso MST;

  • avanzare nella trasformazione della società, nonostante siano poche le realtà organizzate con cui unirsi; per questo l’MST deve aiutare le altre realtà a costruire una propria “organicidade”, attraverso il lavoro di base;

  • progettare una prospettiva politica per affrontare il capitalismo e realizzarlo nella pratica, non solo nella teoria, nelle proprie comunità e nuclei, costruendo un dibattito politico con la militanza; formare la propria base, attraverso una metodologia di azioni politiche che tenga conto delle nuove sfide e della congiuntura attuale nazionale e internazionale;

  • rafforzare l’organicidade do Movimento, lavorando sui nuclei di base e organizzando la militanza; rafforzare l’unità interna, tenendo come punto di partenza la diversità;

  • combattere la depoliticizzazione all’interno del movimento e nella società;

  • discutere e elaborare strategie contro la discriminazione e criminalizzazione del Movimento.

2°dia - Multinazionali e Agrobusiness: il progetto del capitalismo per le campagne



Questa mattina il dibattito è stato incentrato sull’attuale modello mondiale di produzione agricola e sulle conseguenze e contraddizioni di questo modello. Gli interventi di analisi sono stati di Ariovaldo Umbelino, Professore di Geografia da USP, e di Joao Pedro Stedile, dirigente storico del Movimento Sem Terra.
Umbelino ha delineato le caratteristiche di questo momento storico, in cui il capitalismo vive in una fase di monopolizzazione caratterizzata, in primo luogo dal fatto che tutta la produzione agricola e di allevamento, così come la produzione legata alle risorse delle foreste, è diventata una merce; quindi si produce per vendere a chi ha disponibilità di capitale e gli stati hanno perso la loro capacità di sovranità alimentare, perchè non investono più sulla produzione di alimenti per il proprio popolo. In secondo luogo, in questa fase, tutta la produzione agricola è direzionata e controllata dal mercato, attraverso le borse mondiali che funzionano praticamente 24 ore su 24. Le Borse controllano non solo l’attuale produzione mondiale, ma anche quello che viene chiamato Mercato Futuro: vengono comprati in anticipo beni che ancora devono essere prodotti per poter garantirsi in anticipo il guadagno. I grandi monopoli legati all’Agrobusiness, come la Cargil, Monsanto, Bunge,... stanno sorgendo proprio per garantire ai grandi capitalisti il controllo dei mercati e della produzione. Anche le grandi imprese brasiliane sono in forte espansione e si stanno associando alle grandi imprese internazionali, come la Coca Cola, per garantirsi fette sempre più ampie di mercato. In pratica ci troviamo di fronte a un processo di alleanza e fusione del capitale in scala mondiale. Inoltre la maggiorparte di queste imprese lavora con sementi transgeniche e pesticidi tossici. Con la parola Agrobusiness, si indica proprio questo tipo di agricoltura, capitalista, che pretende di controllare tutto il processo produttivo e tutti i produttori, grandi e piccoli, al fine di creare grandi monopoli di terra al servizio del mercato internazionale. Siamo perciò di fronte allo scontro tra l’agricoltura capitalista, e il modello di Agrobusiness che impone, e l’agricoltura familiare e contadina, che invece propone un modello di agricoltura biologica, rivolta al fabbisogno interno degli stati. Questo scontro è palesemente visibile all’interno del territorio brasiliano.
L’analisi di Stedile ha avuto invece come punto di partenza la lotta del MST e la necessità di essere ogni giorno più preparati e pronti per affrontare questa nuova diversa fase di contrapposizione al capitalismo e al neoliberismo, dove la lotta per la terra assume una dimensione più globale, includendo anche la lotta per la difesa dell’acqua, dell’aria e della produzione alimentare. Dopo aver analizzato le nuove strategie di controllo dei mercati e della produzione da parte delle multinazionali, delle banche e delle Borse mondiali e sottolineato come sia instabile questo controllo, che dipende fondamentalmente dalle dinamiche del credito economico, Stedile ha delineato le nuove aree di espansione del capitale nell’agricoltura.
1-controllo delle sementi transgeniche, per monopolizzare e controllare cosa e come produrre;



2-acqua, che in questo momento costa più del petrolio o del latte: le multinazionali stanno comprando fiumi, fonti e laghi, per controllare il consumo pubblico;



3-controllo dei laboratori di ricerca;



4-agrocombustibili, che utilizzano gli alimenti per produrre energia;



5-cellulosa, per la produzione della carta.
Le conseguenze e le contraddizioni di questo sistema che vengono messe in risalto nell’intervento del dirigente del MST, sono fondamentalmente 8:



1-l’agrobusiness ha bisogno ogni anno, solo in Brasile, di un investimento da parte dello Stato di 60 milioni di reais (circa 20 milioni di euro), e dipende fortemente dal petrolio: una agricoltura che utilizza risorse esauribili, non sarà in grado di aumentare, in futuro, la sua produzione;



2-le monoculture distruggono la biodiversità, attraverso l’impoverimento delle terre e l’uso di veleni e pesticidi tossici; i prodotti di questa agricoltura sono avvelenati e già stanno creando grandi problemi di salute a chi li produce e li consuma, in tutto il mondo;



3-il prezzo dei prodotti agricoli non è più basato sui costi di produzione, ma sui prezzi decisi dal mercato mondiale, che decide tutte le fasi d produzione: questo sta provocando un aumento dei costi dei beni di consumo quotidiano e un conseguente aumento della fame nel mondo;



4-perdita della sovranità alimentare;



5-espulsione dei lavoratori dalle zone rurali: le monocoltivazioni, che vengono presentate come una prospettiva di impiego, non hanno bisogno di mano d’opera. L’agricoltura industriale infatti non ha bisogno di agricoltori;



6-il modello industriale di agricoltura disequilibra l’ambiente, il clima e distrugge la biodiversità attraverso le monocoltivazioni e l’utilizzo di sementi transgeniche e pesticidi tossici;



7-le imprese multinazionali controllano le sementi transgeniche che stanno modificando anche alcune specie animali: diversi studi stanno mostrando che numerosi insetti riescono a resistere ai pesticidi tossidi;



8-le imprese stanno comprando enormi terreni per impiantare il modello di Agrobusiness: negli ultimi 5 anni in Brasile sono stati privatizzati dal capitale straniero oltre 20milioni di ettari.
Secondo l’MST l’attuale crisi del sistema neoliberista, in Brasile potrebbe tornare favorevole ai movimenti e alla Riforma Agraria e frenare l’espansione delle multinazionali nelle aree rurali. Una nuova fase di lotta potrebbe quindi aprirsi nei prossimi mesi; ma questa lotta sarà possibile solo se il Movimento riuscirà a massificare la sua resistenza e riunire in questa resistenza non solo tutta la sua militanza, ma anche la società civile brasiliana e gli altri movimenti campesinos dell’America Latina.

MST: 1°dia XIII Encontro Nacional


Corpi Speciali di polizia presidiano la festa dei 25 anni del movimento.
E’ ufficialmente cominciato, con la cerimonia di apertura di ieri sera, molto sentita e partecipata, il XIII Encontro Nacional do MST, che festeggia, in questa occasione, 25 anni. L’incontro è organizzato nell’Assentamento Sarandi, situato all’interno della Fazenda Anoni – Stato del Rio Grande do Sul - che comprende un’area complessiva di 9.000 ettari dove risiedono circa 300 famiglie suddivise in quattro differenti insediamenti.
La strada di accesso è presidiata permanentemente da alcuni uomini e mezzi di un reparto speciale della Polizia Militare, il BOE (Battaglione di Operazioni Speciali), che fermano e identificano chiunque si stia recando all’incontro. Almeno una volta al giorno elicotteri della polizia sovrastano la zona per controllare la situazione: il MST qui, nel sud del paese, sta attraversando un periodo di forte repressione e criminalizzazione, cominciato a giugno dell’anno passato. Proprio per questo clima di tensione e per la congiuntura politica attuale, l’MST ha deciso di non aprire le porte, fino a sabato alla stampa nazionale e internazionale. Sono presenti solo i giornalisti che pubblicano sulle testate del Movimento (Jornal Sem Terra, Brasil de Fato, Radioagencia), una Tv cubana e una venezulana.
Vedi: Scontri e repressione nel Rio Grande do Sul ( 23 giugno 2008 )
All’incontro sono presenti circa 1.100 delegati dei 24 stati brasiliani dove è presente il movimento, membri del MPA (Movimento Pequenos Agricultores), del MAB (Movimento dos Atingdos por Barragens) e di altri movimenti campesinos, e oltre 50 ospiti internazionali, di realtà e movimenti dell’America Latina e europei, tra cui la delegazione di Ya Basta!, ospitata presso l’Istituto Educar, un centro di Formazione Superiore presente all’interno della Fazenda.
La prima giornata è stata dedicata all’analisi delle congiuntura internazionale e della lotta di classe in Brasile. Diversi esponenti del Movimento si sono alternati nella discussione. Il programma della 4 Giornate sarà molto intenso. Oltre alle attività ufficiali, una al mattino e una al pomeriggio, sono previsti nelle pause incontri tra le delegazioni internazionali, riunioni statali e di settore del Movimento (salute, educazione, comunicazione e cultura). E’ stata allestita una enorme cucina nei magazzini della cooperativa dell’insediamento e un panficio, dove lavorano volontariamente anche i giovani dell’Instituto Educar e dove vengono cucinati i prodotti biologici provenienti dale cooperative e dalle aree di riforma agraria del MST, una ciranda (asilo) e una scuola itinerante per i bambini presenti all’incontro, mentre la segreteria sta funzionando come punto di appoggio per il settore di comunicazione e di relazioni internazionali. Tutto è perfettamente organizzato e la previsione è di arrivare a venerdì con oltre 1700 ospiti.

giovedì 22 gennaio 2009

Bad religion


di Luca Casarini
Come era facile prevedere il rombo dei carri armati israeliani e il fragore delle cannonate sulle povere case di Gaza non potevano sovrapporsi agli inni e alle canzoni per l’insediamento di Obama alla Casa Bianca. Non era nei piani. La tregua "unilaterale" annunciata dallo Stato ebraico in realtà è frutto di un preciso calcolo, fatto con largo anticipo e almeno "bi-laterale". Tutto quello che c’era da fare a Gaza, con il suo carico di violenze e morti, bisognava farlo prima che l’amministrazione americana figlia del moto di ribellione interna contro Bush, potesse muovere il primo passo. Da lì, dal cumulo di macerie ottenute e forti della contabilità terribile delle uccisioni di massa inflitte, ora Tel Aviv tratterà con questo nuovo (e strano) successore di Lincoln. Come dire: prima che nuove strategie diplomatiche vengano messe in campo, in discontinuità magari con quelle della coppia di inossidabili sostenitori dei governi di Israele rappresentata da Condoleeza Rice e dal Texano di ferro, meglio sbrigare il lavoro sporco. Un "lavoro" che aveva precise ragioni per Israele, ovviamente diverse da quelle annunciate.Le elezioni interne ad esempio, con un primo ministro, Olmert, totalmente screditato agli occhi dell’opinione pubblica, lo spauracchio della sparizione dell’identità ebraica a fronte di un incremento demografico degli arabi nati tra il Giordano e il Mediterraneo che nel 2010 costituiranno la maggioranza, mettendo in seria crisi i fondamenti stessi della nascita di Israele, la negoziazione, a tutto campo quindi economico-politica con Obama, l’Unione Europea, la Russia e i giganti asiatici. Tutto fuorché i razzi di Hamas. Anzi. Israele, con la sua economia drogata di guerra, non potrebbe esistere senza il perenne stato di emergenza da "assedio". Le sue formazioni politiche costruiscono su questo le loro strategie per catturare il consenso alle elezioni, e le sue lobbies mafioso - affaristiche misurano la possibilità di accumulare enormi profitti proprio sui flussi di denaro che giungono da oltreatlantico. Senza questo ruolo di "assediato" in nome della difesa dei “valori occidentali”, che tipo di peso potrebbe avere Israele nella nuova Yalta dell’era della crisi globale? Inserito perfettamente nelle orribili movenze della guerra globale permanente, lo stato ebraico non vuole rinunciare per nulla ad un ruolo che in questo contesto gli assegna la palma del “simbolo”. Il modo stesso di condurla, la guerra, è espressione di continua anticipazione delle tecniche, militari e politiche, di gestione della asimmetria bellica che caratterizza il permanente disequilibrio mondiale. Israele non ha nessun interesse a trovare una qualche pace. Deve riprodurre un nemico annientabile, sempre, governandolo per mezzo di guerra a differente intensità. Quindi i palestinesi per Israele non sono un problema da risolvere. Ma solo da mantenere, alimentare, sempre in maniera che non possano mai rappresentare una reale minaccia.Dall’altro lato vi sono proprio i palestinesi. Questo ennesimo massacro suggella nel sangue ciò che già dalla morte di Arafat, o forse dalla fine della seconda intifada, si era in grado di ipotizzare: la “causa palestinese”, come processo di liberazione nazionale, e come dinamica identitaria e di ideale assunta dalla formazione dell’OLP in poi, non esiste più. Hamas da una parte e Abu Mazen dall’altra sono il segno evidente che oggi ci troviamo in un’altra dimensione, frutto di una serie di traiettorie di degenerazione che si sono concluse. La corruzione del quadro dirigente palestinese con Al Fatah in testa, la mancanza di una leadership in grado di affermarsi al di là e contro gli interessi dei clan e dei servitori di altri stati, ha portato ad una situazione che per la popolazione civile è semplicemente terribile. Hamas, che dal ’67 ad almeno fino alla prima Intifada è stata "foraggiata" da Israele in chiave anti-OLP, pensa più a guadagnarsi un ruolo tra Teheran e Damasco che alla sorte dei quasi due milioni di "profughi incarcerati" che compongono gli abitanti di Gaza. Le loro sorti, il loro futuro, le loro sofferenze sono tutti regali ad Allah. E forse tributi necessari perché qualche religioso leader trovi la sua fortuna terrena. Anche Hamas, come Israele, non ha alcun interesse a fermare la spirale di guerra. I consensi avuti grazie alla corruzione di Fatah, si possono mantenere in virtù di costruzione di servizi, welfare, strutture. Presi nella morsa dell’embargo da oltre venti mesi, i dirigenti di Hamas possono proporre solo razzi, e non medicine. Quindi lo stato di devastazione e annientamento, il terrore quasi trascendentale che si respira in ogni angolo della striscia, è la condizione per mantenere il potere ben saldo, e attrarre i finanziamenti dell’Iran.Abu Mazen la sua strada sembra averla scelta da tempo. E’ quella tracciata da altri, dagli Stati Uniti in primis, e porta in un bantustan. E’ stata fino ad ora semplicemente un cerchio chiuso, una specie di rotaia dove un burattino, messo lì per rappresentare il compimento della strategia diplomatica di Washington, gira e ogni tanto appare. Se Annapolis viene definita una “carnevalata” da autorevoli commentatori, Abu Mazen è una delle maschere più ridicole. Cisgiordania e Gaza sono, dopo questo massacro, due cose non solo più lontane che mai, ma anche assolutamente diverse.Che cosa rimane? La guerra contro i civili, l’uso del massacro di donne, uomini e bimbi per la negoziazione politico economica, interna ed esterna. Rimangono il dolore, la disperazione, la rabbia, e noi qui, mentre assistiamo ad un processo di mutazione antropologica che trasforma lo spettatore da indignato ad assuefatto. Trasforma il crimine in spettacolo. "This is the world, Baby".C’è poco da dire: religione unita a nazionalismi significano fascismo. Portano al delirio e al fanatismo che combattiamo da sempre. Contribuiscono, da sempre, a mantenere lo stato di cose presenti e a riprodurlo in peggio se possibile. Da fenomeni e tradizioni diventano rapidamente tragedie. Se volessimo parafrasare un grande vecchio diremmo che da “oppio dei popoli” oggi la religione è divenuta già eroina, è stata raffinata, ha reso più potente il suo effetto, è disponibile su scala industriale. Ma essendo in polvere, appesta l’aria.E’ la guerra globale il nostro obiettivo. Dobbiamo distruggerla, smentirla, disvelarla in ogni forma che essa assume. Con “rabbia degna” cerchiamo di non cadere in assurde semplificazioni, cerchiamo di non giustificare tutto dicendo che si tratta di “diversità culturali”. Cerchiamo di vedere le cose per quelle che sono, per come sono oggi. Gli occhi dei bambini terrorizzati e massacrati a Gaza, quelli, ci dicono di più di mille discorsi di Imam e rabbini, di mille parole vuote pronunciate dagli esperti.Boicottare Disinvestire e Sanzionare la guerra globale permanente e i suoi attori principali, Israele nel caso del massacro criminale di Gaza, non è un dogma come dice su questo sito Naomi Klein: è una pratica giusta, una tattica da costruire ed espandere, una reale forma di azione molteplice ed articolata per fermare e attaccare la guerra stessa. Il BDS su Israele, come il boicottaggio del Sud Africa dell’apartheid ma anche quello relativo all’implicazione di aziende e banche italiane con la guerra globale, è possibile, giusto e può avere una certa efficacia. Sicuramente ci pone difronte ad una possibilità: quella di non giocare uno dei ruoli assegnatici dalle forme di potere: spettatori impotenti, tifosi dei morti altrui, alchimisti d’accatto di ideologie e religioni. Il BDS lo facciamo noi, in prima persona. Ha mille forme e si dirige direttamente contro chi fa le stragi di civili innocenti e alimenta questo modo terribile di governare il mondo. E’ direttamente legato alle pratiche, giuste anch’esse, di rottura delle frontiere e degli isolamenti militari che, come a Gaza, imprigionano i civili costringendoli a morire lentamente. Come quando a Ramallh assediata occupammo gli ospedali, oggi a Gaza bombardata se centinaia o migliaia di persone avessero aperto Rafah con una presenza internazionale, sarebbe stato giusto. E se i prodotti “made in Israel”, quelli che hanno il codice a barre che inizia con la cifra 729 sono boicottati, non acquistati, resi inservibili, è giusto, e possibile.Se le aziende che investono in Israele sono “convinte” a non farlo più, è giusto. (Naomi racconta di come questo accada facilmente, e non per motivi politici ma semplicemente commerciali).Questo dobbiamo fare. Per una società migliore per i bambini di Gaza, per tutti.

I morti e i vivi di Gaza

di Vittorio Arrigoni

A Gaza solo i morti hanno visto la fine della guerra. Per i vivi non c’è tregua che tenga alla battaglia quotidiana per la sopravvivenza. 

Senza più acqua, senza più gas, senza più corrente elettrica, senza più pane e latte per nutrire i propri figli.Migliaia di persone hanno perduto la casa. 

Dai valichi entrano aiuti umanitari col contagocce, e si ha come la sensazione che la benevolenza dei complici di chi ha ucciso sia solo momentanea. Domani il segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon verrà a visitare Gaza, siamo certi che John Ging, a capo dell’agenzia per i profughi palestinesi, ne avrà da raccontargliene; dopo che Israele ha bombardato due scuole delle Nazioni Unite, ha assassinato 4 suoi dipendenti, ha colpito e distrutto il centro dell’UNRWA di Gaza city, riducendo in cenere tonnellate di medicinali e beni alimentari destinati alla popolazione civile. 

Le macerie di Gaza continuano a vomitare morti in superficie. Ieri fra Jabalia, Tal el Hawa a Gaza City e Zaitun, paramedici della mezza luna rossa con l’aiuto di alcuni volontari dell’ISM hanno estratto dalla rovine 95 cadaveri, molti dei quali in avanzato stato di decomposizione. 

Camminando per le strade della città di Gaza senza più il costante terrore di un bombardamento chirurgicamente mirato alla mia decapitazione, tremo ancora alla vista di cani randagi raccolti in circolo, a ciò che mi si potrebbe parare dinnanzi agli occhi essere il loro pasto. 

Gli uomini tirano un sospiro di sollievo e tornano a frequentare moschee e cafè, facilmente smascherabile è il loro atteggiarsi alla normalità, per i molti che hanno perso un familiare e per i moltissimi che non hanno più dove abitare. 

Fingono un ritorno alla routine per incoraggiare le mogli e i figli: in qualche modo bisogna oltrepassare anche a questa catastrofe. 

Con alcune ambulanze questa mattina ci siamo recati nei quartieri più colpiti della città, Tal el Hawa e Zaitun, muniti di questionario porta a porta abbiamo stilato l’entità dei danni agli edifici, e le primissime urgenze per le famiglie: medicinali per gli anziani e i malati, e riso, olio e farina, il minimo per alimentarsi. Tutto quello che abbiamo potuto consegnare al momento sono metri e metri di nylon, da apporre alle finestre laddove prima c’erano i vetri a difendere dal freddo. 

Compagni dell’ISM a Rafah mi hanno informato che la municipilità ha distribuito alcune migliaia di dollari, poca cosa, a quelle famiglie che hanno visto la loro casa rasa al suolo da bombe che secondo Israele erano destinate alla distruzione dei tunnel. 

Al termine del conflitto in Libano, gli Hezbollah staccarono milioni di dollari in assegni per ripagare i civili libanesi rimasti senzatetto. 

In una Gaza sotto assedio ed embargo, ciò che Hamas potrà versare come risarcimento alla popolazione "basterà a mala pena a rimettere su un capanno per il bestiame", mi fa sapere Khaled, contandino di Rafah. 

La tregua è unilaterale, quindi Israele unilateralmente decide di non rispettarla. Ieri a Khan Yunis, un ragazzo palestinese ucciso e un altro ferito. 
A est di Gaza city elicotteri innaffiavano di bombe al fosforo bianco un quartiere residenziale. Stessa cosa si è verificata a Jabalia. 

Oggi, sempre a Khann Younis navi da guerra hanno cannoneggiato su uno spazio aperto, fortunatamente senza fare feriti e mentre scrivo, arriva la notizia di un incursione di carri armati. Non ci risultano lanci di razzi palestinesi nelle ultime 24 ore. 

Giornalisti internazionali sciamano affamati di notizie lungo tutta la Striscia, sono riusciti a raggiungerci solo oggi. Israele ha concesso loro il lasciapassare a mattanza finita. 

Quelli arrivati ancora a bombardamenti in corso, hanno seriamente rischiato di rimetterci la pelle, come mi ha raccontato Lorenzo Cremonesi, inviato del Corriere: soldati israeliani hanno bersagliato di proiettili l’automobile su cui viaggiava. 

Dinnanzi allo scheletro annerito di ciò che resta dell’ospedale Al Quds di Gaza city, un interdetto reporter della BBC mi ha chiesto come è stato possibile per l’esercito scambiare l’edificio per un covo di terroristi. "Per lo stesso motivo per cui dei bambini in fuga da un palazzo in fiamme, sono entrati nei mirini dei cecchini posti sui tetti dello stesso quartiere in cui siamo ora, cecchini che non hanno esitato a ucciderli spandendo la loro materia cerebrale sull'asfalto". Ho risposto al giornalista inglese, ancora più accigliato. 

E’ evidente l’abisso fra noi che siamo testimoni e vittime di questo massacro, e chi ne viene a conoscenza tramite i racconti dei sopravvissuti. 

Da Roma mi informano che l’Unione Europea avrebbe congelato i fondi per la riscostruzione fino a quando Gaza sarà governata da Hamas. Lo ha lasciato intendere il Commissario europeo per le Relazioni estere, Benita Ferrero-Waldner. "Gli aiuti per la ricostruzione della Striscia", ha detto la diplomatica europea, "potranno arrivare solo se il presidente palestinese Abu Mazen riuscirà ad imporre nuovamente la sua autorità sul territorio" . 

Per i palestinesi di Gaza questo è un chiaro invito dall'esterno alla guerra civile, ad un colpo di stato. Come un legittimare il massacro di 410 bambini che sono morti perchè i loro genitori hanno scelto la democrazia ed eletto liberamente Hamas. "L’unione Europea ricalca alla perfezione la criminale politica di punizione collettiva imposta da Israele. Perchè non affidano i fondi all’ONU? O a qualche organizzazione governativa?" ."Gli Stati Uniti sono liberi di eleggere un guerrafondaio come Bush, Israele di scegliere leaders con le mani sporche di sangue come Sharon e Nettanyau, e noi popolazione di Gaza non siamo liberi di scegliere Hamas...", mi suggerisce Mohamed, attivista per i diritti umani che non ha votato per il movimento islamico; non ho argomenti per contraddirlo. 

I palestinesi vivi imparano dai morti, imparano a vivere morendo, sin dalla più tenera età. Tregua dopo tregua, la percezione è quella di una macabra parentesi per contare i cadaveri fra una mattanza e l’altra, verso una pace che non è mai così stata distante. 

Perlustrando Gaza city a bordo di un ambulanza, per una volta con la sirena muta, la guerra resta presente impressa nelle rovine di una città saccheggiata di sorrisi e popolata da sguardi spauriti, occhi che insistono a scrutare il cielo verso aerei ancora incessantemente in volo. 

All'interno di una casa che coi paramedici abbiamo visitato, sul pavimento ho notato dei disegni in pastello, chiaramente una mano infantile li aveva abbandonati evacuando in fretta e furia. 

Ne ho raccolto uno, carrarmati, elicotteri e corpi ridotti in pezzi. In mezzo al foglio un bambino ritratto con una pietra riusciva a raggiungere l’altezza del sole e danneggiare una delle macchine della morte volanti. Si dice che il significato del sole in un disegno infantile è il desiderio di essere, di apparire. Quel sole che ho visto piangeva in pastello rosso, lacrime di sangue. Per lenire questi traumi, una tregua unilaterale basta? Restiamo umani.
ViK

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!