giovedì 26 febbraio 2009

Ferma posizione dei Popoli Indigeni centroamericani contro le industrie estrattive ed elettriche.

Mapuexpress
In Guatemala, a Iximulew, nei giorni 18, 19 e 20 di febbraio 2009, rappresentanti di organizzazioni Indigene Centroamericane (México, Panamá, Costa Rica, El Salvador, Guatemala, Honduras, Nicaragua) si sono riunite per discutere e analizzare la situazione dei territori indigeni rispetto le imprese estrattive e mega dighe.
Come pure sui metodi unilaterali e le politiche nazionali che i governi hanno adottato e sostenuto indiscriminatamente, con il conferimento di licenze per l’esplorazione e lo sfruttamento delle risorse naturali e delle risorse del sottosuolo nelle loro terre e territori, mettendo in serio pericolo la vita, la continuità e l’esistenza della stessa madre natura, dei popoli indigeni e delle comunità locali.
Di seguito la dichiarazione finale.

Declaración de IXIMULEW

Los Pueblos Indígenas frente a las Empresas Extractivas y Mega-represas
Los pueblos indígenas y comunidades locales de Mesoamérica representados a través de sus organizaciones, abajo firmantes, reunidos en Iximulew (Guatemala) los días 18, 19 y 20 de febrero de 2009, para discutir y analizar la situación de los territorios indígenas frente a las empresas extractivas y mega-represas, así como las formas unilaterales y las políticas nacionales que los gobiernos de la región, han adoptado e implementado indiscriminadamente, con el otorgamiento de licencias para la exploración y explotación de los recursos naturales y los recursos del subsuelo en nuestras tierras y territorios, afectando seriamente la vida, la continuidad y la existencia misma de la madre naturaleza, de los pueblos indígenas y las comunidades locales.
Ante el riesgo inminente de destrucción de nuestro patrimonio natural y cultural, manifestamos a la opinión pública nacional e internacional, y a las autoridades gubernamentales de la región mesoamericana, lo siguiente:

•Primero, rechazamos las políticas sobre exploración y explotación de los recursos naturales y del subsuelo, principalmente por las aceleradas y arbitrarias medidas adoptadas por las autoridades nacionales, que violan los procesos de consulta y el consentimiento previo, libre e informado de los pueblos indígenas, frente a sus prioridades de desarrollo y han puesto en riesgo la vida, los bienes naturales, los recursos hídricos, la biodiversidad y los derechos sobre las tierras, territorios y recursos de los pueblos indígenas y comunidades locales.

•Segundo, exigimos de manera urgente a las autoridades nacionales, la aprobación de la moratoria y suspensión de licencias y operaciones mineras, hidroeléctricas, petroleras y otras empresas extractivas que se están ejecutando en aquellos sitios o territorios indígenas o comunidades locales, hasta que se cuente con nuevas leyes nacionales y políticas más coherentes con la protección del medio ambiente y los recursos naturales, así como con la vigencia y el respeto a los derechos de los pueblos indígenas y ¡a seguridad jurídica de sus territorios.

•Tercero, garantizar la participación plena y efectiva de los pueblos indígenas y de las comunidades locales en la revisión y reforma a las legislaciones nacionales y políticas sobre exploración y extracción, que contemple entre otros, los siguientes elementos:
Procesos participativos de reforma a las leyes y políticas nacionales sobre industrias extractivas y mega-represas: minería, petroleras e hidroeléctricas, entre otras, incluyendo el proceso de descentralización administrativa, que permita a los gobiernos locales y comunidades indígenas, tomar sus propias decisiones.
Realización de una Evaluación Ambiental Estratégica Independiente, que defina las zonas en las cuales no deberá desarrollarse la industria extractiva y mega-represas, incluyendo las cuencas hidrográficas y zonas de recarga hídrica, y principalmente las tierras y los territorios indígenas.
En aquellos casos en los cuales existen proyectos de exploración y extracción en ejecución, deberán realizarse evaluaciones periódicas que verificando los daños, se proponga la suspensión inmediata de estos proyectos; asegurando procesos de reparación y restitución.
Definición de mecanismos que garanticen la consulta y la participación plena y efectiva de los pueblos indígenas y las comunidades locales en la toma de decisiones, así como alcanzar su consentimiento previo, libre e informado ante proyectos que se desarrollen en sus territorios.

• Cuarto, exigimos a las autoridades nacionales y organismos regionales intergubernamentales parte del Sistema de la Integración Centroamericana SICA y los organismos financieros internacionales, la adopción de políticas y estrategias a nivel de la región Mesoamericana de programas e iniciativas que beneficien y respeten los derechos de los pueblos indígenas y las comunidades locales, sin afectar su buen vivir y sus propias formas de gestión, desarrollo e identidad.

Finalmente, nosotros los pueblos indígenas de Mesoamérica, instamos a la opinión pública a apoyar las demandas y luchas, a fin de determinar y hacer visible los grandes daños y costos ambientales, económicos, sociales y culturales, que las empresas extractivas y mega-represas realizan en nuestros territorios y que han generado más desigualdad y extrema pobreza, así como división entre nuestros pueblos, de igual manera a visibilizar los escasos beneficios que están dejando y dejarán a los países en las actuales condiciones legales y contractuales.

Quelli che si vogliono mangiare il mondo. Rapporto 2008 sulle multinazionali.


Silvia Ribeiro - rebelion.org
Immersi in un’enorme crisi del capitalismo, madre di molte crisi convergenti, si riscatta con denaro pubblico le più grandi imprese private del pianeta, mentre continua ad aumentare la povertà ed il caos climatico.
Secondo l’economista messicano Andrés Barreda, ci troviamo all’interno di una brutale crisi di sovraccumulazione capitalista: gigantesco vomito di chi ha creduto di potersi inghiottire il mondo, ma non ha potuto digerirlo.
Le crisi attuali hanno un contesto di concentrazione crescente del potere corporativo, appropriazione di risorse naturali e deregolamentazione o leggi che beneficiano le imprese e gli speculatori finanziari.
Nel 2003, il valore globale delle fusioni e delle acquisizioni è stato di 1,3 miliardi di dollari. Nel 2007, è arrivato a 4,48 miliardi. Nell’industria alimentaria, il valore delle fusioni e degli acquisti tra imprese si è raddoppiato tra il 2005 ed il 2007 e la debacle finanziaria ha fatto fallire alcune imprese, favorendo oligopoli ancora più chiusi.
Che cosa significa questo per la gente comune? La relazione del Gruppo ETC “Di chi è la natura?” offre un’analisi nel contesto storico della concentrazione corporativa di settori chiave nelle ultime tre decadi.
Ha seguito le manovre di mercato delle cosiddette “industrie della vita” (biotecnologia in agricoltura, alimentazione e farmaceutica), aggiungendo ora le imprese che fanno convergere la biotecnologia con la nanotecnologia e la biologia sintetica, promuovendo nuove generazioni di agrocombustibili e cercando di generare un’economia post industria petrolifera, basata sull’uso di carboidrati e la vita artificiale.
Il settore agroalimentare continua ad essere uno degli esempi più devastanti, in quanto nessuno può vivere senza mangiare. È inoltre il maggior “mercato” al mondo e per queste due ragioni le multinazionali si sono lanciate con aggressività per cercare di controllarlo.
Nelle ultime 3-4 decadi, è passato da una situazione di quasi totale controllo da parte di piccoli agricoltori e mercati locali e nazionali, ad essere uno dei settori industriali globali con maggiore concentrazione corporativa. È quindi stato necessario un cambiamento radicale nelle forme di produzione e commercio di alimenti. Grazie ai trattati di “libero” commercio, l’agricoltura e gli alimenti si sono trasformati sempre più in merci da esportazione, in un mercato globale controllato da una ventina di multinazionali. Secondo una relazione della Fao sui mercati dei prodotti alimentari primari, agli inizi degli anni 60 i paesi del Sud globale avevano un’eccedenza commerciale agricola di circa 7 miliardi di dollari all’anno.
Alla fine degli anni 80 quest’eccedenza era scomparsa. Oggi tutti i paesi del Sud importano alimenti.
Durante gli anni 60, quasi la totalità delle sementi erano in mano agli agricoltori od alle istituzioni pubbliche. Oggi, l’82 per cento del mercato commerciale delle sementi dipende dalle proprietà intellettuali e dieci imprese controllano il 67 per cento di questo settore.
Queste stesse imprese (Monsanto, Syngenta, DuPont, Bayer, etc.) sono per la maggior parte produttrici di pesticidi, settore questo in cui le dieci maggiori imprese controllano l’89 per cento del mercato globale e sono anche tra le dieci più grandi imprese di farmaceutica veterinaria, controllando il 63 per cento di questo mercato.
Le dieci maggiori imprese di alimenti processati (Nestlé, PepsiCo, Kraft Foods, Coca-Cola, Unilever, Tyson Foods, Cargill, Mars, ADM, Danone), controllano il 26 per cento del mercato e cento catene di vendite al dettaglio controllano il 40 per cento del mercato globale.
Nel 2002, le vendite globali di sementi e pesticidi sono state di 29 miliardi dollari, quelle di alimenti processati di 259 miliardi e quelle delle catene di vendite al dettaglio di 501 miliardi.
Nel 2007, questi tre settori hanno aumentato le vendite a 49 miliardi, 339 e 720 miliardi di dollari rispettivamente.
L’impresa WalMart continua ad essere l’impresa più grande del mondo, essendo la 26 delle 100 più grandi economie del pianeta, di gran lunga superiore al Pil di interi paesi come la Danimarca, il Portogallo, il Venezuela o Singapore.
Dalle sementi al supermercato, le multinazionali vogliono imporre che cosa seminare, come mangiarlo e dove comprarlo. Di fronte alle crisi ci prescrivono sempre la stessa cosa: più industrializzazione, più chimici, più transgenici ed altre tecnologie ad alto rischio, più libero commercio.
Non è tanto strano, dato che hanno ottenuto grandi vantaggi dall’aumento dei prezzi e dalla fame, con un aumento del 108 per cento dei loro guadagni.
È anche cresciuta la disparità di entrate individuali a livello mondiale. La ricchezza accumulata dalle 1.125 persone più ricchi del mondo (4,4 miliardi di dollari) è quasi equivalente al Pil del Giappone, seconda potenza economica mondiale dopo gli Stati Uniti. Questa cifra è maggiore della somma delle entrate della metà della popolazione adulta del pianeta.
Nel 2007, 50 amministratori di fondi finanziari (hedge funds ed equity funds), i grandi speculatori che hanno provocato la “crisi”, hanno guadagnato una media di 588 milioni di dollari, circa 19 mila volte di più di un lavoratore statunitense tipo e circa 50 mila volte più di un latinoamericano. Sempre nel 2007, il direttore esecutivo della finanziaria Lehman Brothers, ora in bancarotta, ha guadagnato 17 mila dollari all’ora (dati dell’Institute for Policy Studies).
Riassumendo, un’assurda minoranza di imprese ed alcuni miliardari che possiedono le loro azioni controllano enormi percentuali delle industrie e dei mercati che sono basilari per la sopravvivenza, come quelli degli alimenti e della salute. Questo permette loro una pesante ingerenza nelle politiche nazionali ed internazionali, modellando le regole ed i modelli di produzione e consumo che si applicano nei paesi in base ai propri interessi.
È quindi urgente un cambiamento profondo del modello di agroalimentazione industriale e corporativa, includendo una forte critica a quelli che, in nome della crisi alimentaria e climatica, vogliono imporci lo stesso modello a base di transgenici e agrocombustibili.
Esistono già delle soluzioni e sono diametralmente opposte: sovranità alimentare a partire da economie agricole decentrate, differenziate e libere da brevetti, basate sulla conoscenza e sulle culture contadine.
Nota:
articolo originale
http://www.rebelion.org/noticia.php?id=78510
Inserito in Nicarahuac n. 103 di Ass. Italia-Nicaragua
© (Traduzione Giorgio Trucchi - Lista Informativa "Nicaragua y más" di Associazione Italia-Nicaragua
http://%20www.itanica.org/

mercoledì 25 febbraio 2009

La solidarietà internazionale nella Striscia mentre l’emergenza umanitaria continua

Gaza - Intervista a Vittorio Arrigoni, ISM

Dal sito del Free Gaza movement la denuncia di nuovi attacchi nei confronti della popolazione palestinese e degli stessi civili internazionali. "Dalla fine dell’Operazione Piombo Fuso l’esercito israeliano ha dichiarato "zona militare inaccessibile" la terra che si trova a un kilometro dal confine. In alcune parti la Striscia di Gaza è larga solo tre kilometri, ciò significa che un terzo della terra palestinese non dovrebbe essere accessibile ai palestinesi che tentano di vivere o sopravvivere con l’agricoltura a rischio della propria vita. Sono già due i contadini uccisi dall’esercito e diversi i ferimenti fra i pescatori di Gaza City e di Rafah. Se i pescherecci si spostano di un miglio e mezzo dalla costa vengono intercettati e trivellati di colpi." Con gli accompagnatori internazionali, gli agricoltori palestinesi sono più sicuri che se andassero da soli nei campi" sottolinea Vittorio Arrigoni dell’ISM (International Solidarity Movement). Proprio questo fine settimana l’esercito ha aperto il fuoco ferendo ad una gamba un agricoltore. Domani si preplica, ma la situazione in tutta la Striscia rimane drammatica. "Siamo ancora in piena emergenza umanitaria", continua Vittorio " i valichi continuano ad essere tenuti chiusi o aperti con il contagocce".
[ audio ]

Vedi anche:Attivisti Internazionali per i diritti umani accompagnano agricoltori a Khoza’

Facce nere in sciopero per 18 mesi - II parte


IL PADRONE
German Larrea, il colosso del sottosuolo col governo alle spalle.
Il Grupo Mexico non è un'impresa qualsiasi. Anzi, si potrebbe dire che la sua affermazione nel campo minerario a livello internazionale (è il terzo produttore al mondo di rame, il secondo di molibdeno, il quarto di argento e l'ottavo di zinco) è una di quelle classiche storie di arricchimento vertiginoso costruito con influenze e violazione impunita dei diritti dei lavoratori e delle leggi. La forza economica e politica dell'impresa le permette di espandersi per tutto il continente americano, dove acquisisce, per esempio, quella che oggi si conosce come la Southern Coper Corp., la importantissima impresa mineraria peruviana. I minatori che oggi protestano parlano di disinteresse e cinismo da parte del Grupo Mexico. Ed effettivamente i molteplici appelli da parte del sindacato sono rimasti tutti inascoltati. La storia del sindacato dei minatori in Messico mostra almeno due tappe. La prima, in cui l'impresa dimostra una certa tolleranza verso l'organizzazione dei lavoratori. Un periodo felice, in cui il sindacato gode di riconoscibilità e di benefici. Poi arriva la crisi economica del 2000 e l'impresa cambia rotta: ridurre i costi, a qualsiasi prezzo. La presenza del sindacato evidentemente innalza i costi di produzione. Comincia così la guerra tra German Larrea Mota-Velasco, il proprietario del Grupo Mexico e oggi azionista di maggioranza del maggior gruppo televisivo messicano, Televisa, e i lavoratori. E siccome tutto mondo è paese, l'imprenditore non ci pensa su due volte e cerca appoggio presso il governo «imprenditoriale» di Vicente Fox, allora presidente messicano. L'alleanza tra le due parti non tarda a manifestarsi. Nel 2006, subito dopo la tragedia di Pasta de Conchos, Vicente Fox, attraverso il procuratore generale delle repubblica che aveva nominato e che controllava, accusa di furto Napoleon Gomez Urrutia, il segretario nazionale del sindacato. «Napito» (come è chiamato per distinguerlo dal padre Napoleon Gomez Sada, a sua volta capo del sindacato minatori per quarant'anni) secondo l'accusa avrebbe rubato 55 milioni di dollari in azioni che il Grupo Mexico aveva ceduto al sindacato nel quadro dell'acquisto del sistema minerario proprietà dello Stato. «Un'accusa costruita ad arte da parte del governo federale», denunciano i minatori. Vera o falsa (probabilmente vera, ma per cifre molto diverse) l'accusa effettivamente non è stata mai ancora provata. Ma tanto è bastato perché le autorità federali scatenassero tutta la loro forza contro il sindacato. Assieme all'accusa, infatti, il governo riuscì a imporre una votazione straordinaria all'interno dell'organizzazione sindacale imponendo un proprio uomo, Elías Morales Hernández. È il golpe all'interno del sindacato. Pochi mesi dopo, nel maggio 2006, Gomez Urrutia scappava in Canada e chiedeva asilo politico. In Messico rimangono i minatori a lui fedeli - la maggioranza - che non riconoscono il nuovo segretario e continuano nella loro lotta. La nuova amministrazione federale, capitanata dal fraudolento Felipe Calderon, ha ripreso la battaglia contro il sindacato. Calderon non risparmia forze, non solo facendo pressioni sui lavoratori in sciopero con l'invio di centinaia di agenti della temibile polizia federale ma anche riprendendo la via legale: accuse e denunce contro i quadri intermedi del grande e potente sindacato nazionale, e alcuni arresti eccellenti come quelli contro il numero due e tre dell'organizzazione, lo scorso mese di dicembre. Una battaglia, spiegano i minatori, che si combatte su più fronti e che trova, nonostante la storica dispersione e divisione all'interno del sindacalismo messicano, la solidarietà di sostanzialmente tutte le sigle sindacali nazionali. La lotta dei minatori si configura oggi come una battaglia che deve essere vinta innanzitutto dal sindacalismo messicano. Le ragioni sono semplici. Innanzitutto c'è il rischio che con se dovesse vincere l'impresa alleata al governo, si affermerebbe un pericoloso precedente per tutti gli altri sindacati, vista la forza e la capacità organizzativa e disciplinare del sindacato dei minatori. «Se vincono contro i minatori ci investono tutti», è la frase che tutti pronunciano per cercare di spiegare il pericolo imminente. Un pericolo reale, proprio ora che il governo federale, grazie alla crisi economica che qui impone previsioni di crescita economica attorno al meno 1%, vorrebbe varare l'annunciata riforma della legge del lavoro, stessa che si prevede introdurrebbe i contratti-prova, legalizzerebbe la contrattazione temporale e il lavoro interinale. E poi vi è il problema della violazione alla libertà sindacale. Il caso dei minatori non è l'unico, al contrario. Ma negli ultimi anni è diventato il caso paradigmatico delle ingerenze che un'impresa alleata o meno al governo può esercitare all'interno della vita sindacale. Il governo se ne lava le mani, forte di una legge che gli permette riconoscere o meno un segretario sindacale con la cosiddetta toma de nota, di memoria fascista. La stessa Federazione internazionale dei sindacati metalmeccanici (Fism) ha recentemente inviato una denuncia all'Organizzazione internazionale del lavoro in cui segnala «la mancanza di libertà sindacale in Messico», citando giustamente il caso dei minatori.
Matteo Dean

FACCE NERE IN SCIOPERO PER 18 MESI - I parte

di Matteo Dean
Da un anno e mezzo il sindacato dei minatori blocca gli storici giacimenti di Taxco, Sombrerete e Cananea, dove nacque (con una strage del 1906) il movimento sindacale messicano. Il padrone è il super-ricco numero tre del paese, miracolato dalle privatizzazioni. E il leader del sindacato è costretto a fuggire in Canada inseguito dai mandati di cattura. Il 30 gennaio scorso, i minatori del «Sindacato nazionale dei lavoratori minatori e metalmeccanici della Repubblica messicana» (Sntmmrm) hanno compiuto 18 mesi di sciopero presso le tre miniere di Taxco, Sombrerete e Cananea, senza che si intraveda all'orizzonte una soluzione al lungo conflitto che oppone i minatori ad una delle imprese più potenti del paese, il Grupo Mexico. Iniziato per cause legate alla revisione salariale del contratto collettivo nazionale e per questioni di sicurezza sul posto di lavoro, la protesta dei minatori è diventata una questione politica che coinvolge ormai non solo le due parti, ma lo stesso governo messicano. Questo infatti, ancor prima che scoppiasse la dura protesta del sindacato, ha preso parte al conflitto schierandosi apertamente dalla parte dell'impresa di German Larrea Mota-Velasco, il potente imprenditore del nord del paese che ad inizio anni 90, grazie alle privatizzazioni, si è impossessato della maggior parte delle ricchezze del sottosuolo messicano ed oggi è il super-ricco messicano numero tre, e 127 del mondo secondo Forbes. Sono miniere storiche. A Cananea nacque il movimento sindacale in Messico, quando nel 1906 il governatore chiamò i Rangers dall'Arizona per reprimere uno sciopero nella miniera di rame contro la Anaconda copper company: 23 morti. Cento anni dopo le pessime condizioni lavorative, il deterioro dei parametri di sicurezza sul lavoro e l'obsolescenza delle strutture al limite del collasso strutturale, oltre alla negazione da parte dell'impresa della richiesta di revisione salariale, sono tra le cause della protesta. Poco meno di dieci euro al giorno per un turno di otto ore a novecento metri sottoterra sono precisamente le condizioni che i minatori pongono al centro della protesta. E inoltre la mancanza di caschi, guanti e vestiario adatto. Le malattie professionali non si contato, a cominciare dalla silicosi che, dice il sindacato, colpisce praticamente ogni minatore. L'impresa, secondo i lavoratori, non presta attenzione a queste situazioni. Se per contratto un minatore dovrebbe lavorare un massimo di 13 anni dentro la miniera, l'impresa vanta lavoratori con un'anzianità di oltre trent'anni. E quando li manda in pensione, spiegano i sindacalisti, «fa di tutto per negare o ridurre l'indennità per malattia». A questa situazione si aggiunge l'arrivo presso le miniere di un numero ancora impreciso di lavoratori esterni. Contrattati il più delle volte attraverso imprese fantasma, i lavoratori esterni smettono di essere precari, e diventano veri e propri schiavi: 3 euro al giorno, turni da 12 a 14 ore continue per attività che vengono definite «speciali»: esplorazione, apertura di nuove gallerie, utilizzo di esplosivi. Non godono di alcun tipo di protezione sociale, come per esempio la ripartizione dei guadagni dell'impresa (garantita per legge a tutti i lavoratori), non godono di vacanze pagate e nella maggior parte dei casi hanno contratti della durata massima di un mese. Racconta un dirigente del sindacato: «Una volta, un esterno s'è infortunato. L'impresa si rifiutò di chiamare l'ambulanza perché diceva che non era un suo lavoratore. Dovemmo portarlo noi in ospedale e fare colletta per pagargli le cure».Se fosse poco, il sindacato denuncia la precarietà delle strutture: macchinari vecchi, strutture fatiscenti, mancanza di filtri per le emissioni che inquinano aria e fiumi nei territori circostanti. Un esempio su tutti: l'8 agosto 2007, solo pochi giorni dopo l'occupazione da parte dei lavoratori della miniera di Taxco, a duecento chilometri a sud della capitale del paese, un'enorme frana si staccava e cadeva per centinaia di metri nel fosso principale della miniera. «Se fossimo stati lì, ci sarebbero stati almeno un'ottantina di morti», denuncia il segretario locale del sindacato, Roberto Hernández Mojica. E aggiunge: «Pasta de Conchos non ha insegnato nulla». Il riferimento è obbligato: all'alba del 19 febbraio 2006, un anno prima che i minatori cominciassero a protestare, un'esplosione di grisù bloccò e poi seppellì 65 minatori del carbone. Sino ad oggi nessun corpo è stato ancora recuperato. Vivere 18 mesi di sciopero non è una cosa facile. L'impresa ha pagato un'imponente campagna mediatica con l'unico scopo di screditare la dirigenza sindacale. Ed anche se è vero che nel sindacato non sono tutti santi, i dirigenti delle miniere in sciopero pagano le conseguenze come gli altri. «Si vive senza salario e grazie all'aiuto dell'organizzazione nazionale», spiega Roberto Hernández Mojica, segretario locale presso la miniera di Taxco. Sua moglie ammette le privazioni ma non senza un certo orgoglio: «Ci sono conseguenze materiali, chiaro. Non andiamo più fuori a cena, non possiamo comprare molti vestiti nuovi. Ma resistiamo, perché mio marito e i suoi colleghi hanno ragione». Il figlio appena maggiorenne racconta: «Prima, con il salario di mio padre appena si sopravviveva, ma ora è peggio». Mancano le scarpe nuove, mancano i soldi per portare fuori la ragazza. Ciononostante, il giovane dice che quando si può, cerca di aiutare lo sforzo dei genitori. «A volte vado in miniera con mio padre per appoggiare il presidio».

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!