mercoledì 17 giugno 2009

Georgia, arresti in massa di oppositori


Una quarantina di militanti dell’opposizione georgiana sono stati arrestati dalla polizia a Tbilisi nel corso di una giornata di estrema tensione, caratterizzata da ripetuti scontri e pestaggi in cui, oltre alla polizia in divisa, ad aggredire i manifestanti dell’opposizione sono intervenuti anche gruppi di uomini in abiti civili armati di bastoni. La notizia degli arresti è stata confermata anche dal viceministro degli interni Eka Eguladze: i manifestanti, quasi tutti giovanissimi, stavano conducendo un’azione di protesta davanti al comando centrale della polizia georgiana – come già avvenuto varie volte negli ormai 70 giorni consecutivi di presenza in piazza – quando sono stati attaccati prima da una squadra di uomini in borghese e poi da circa 300 agenti in divisa, che hanno arrestato e portato via tutti quelli che sono riusciti a prendere.

E’ dai primi di aprile che l’opposizione georgiana – in modo unitario, con tutti i partiti e i movimenti (e i rispettivi leader, soprattutto, che sono l’elemento più importante in un paese dove la politica è ancora molto legata alle singole personalità e ai loro legami regionali e di clan) – tiene le principali piazze di Tbilisi chiedendo le dimissioni del presidente Mikheil Saakashvili. Finora il presidente e il suo entourage hanno rifiutato di trattare seriamente con gli oppositori, rinunciando peraltro anche a scatenare una repressione troppo violenta, come era invece avvenuto nell’autunno 2007 quando dopo alcuni giorni di proteste in piazza il governo aveva proclamato lo stato d’emergenza e fatto intervenire le truppe. La relativa moderazione del governo serve ad evitare una nuova e più grave rottura con i governi occidentali “amici”, dei quali Saakashvili ha oggi un disperato bisogno per reggere, con un paese stremato dalla pazzesca guerra contro la Russia, pieno di profughi e sottoposto a tensioni di tutti i generi; inoltre un abortito e un po’ farsesco tentativo di golpe, nel maggio scorso, ha reso chiaro a Saakashvili che le forze armate – già umiliate e messe in crisi dalla guerra voluta dal presidente – non sarebbero affatto disposte a partecipare a una repressione sanguinosa contro gli oppositori.

Il tira-e-molla fra governo e opposizione, quindi, continua a oltranza in attesa che una delle due parti ceda per stanchezza, o che qualche fattore nuovo o esterno intervenga a modificare la situazione rompendo la fase di stallo.

Astrit Dakli

Iran - La voce della piazza


Intervista a uno degli studenti che guida la protesta di piazza contro la vittoria elettorale di Ahmadinejad
In diretta dal corteo. Un mare di persone, in barba al divieto di manifestare, sono scesi in strada a Teheran, da piazza Azadi fino a piazza Imam Hussein. Mirhussein Mousavi, il leader dell'opposizione al presidente Ahmadinejad, sembrava intenzionato a sospendere il corteo in risposta all'invito della Guida Suprema della Rivoluzione, l'ayatollah Khamenei che ha promesso un'inchiesta indipendente. Risponde alle domande di PeaceReporter Alireza Mazaheri Moghadam, uno degli studenti che si sono impegnati nelle proteste in prima persona rischiando molto.

Quando e come avete deciso di scendere in piazza?
Beh, subito dopo il primo annuncio dei risultati. L'avevamo detto prima delle elezioni: non saremmo rimasti indifferenti ai brogli. Quindi siamo subito usciti per sostenere sia il nostro voto che il nostro candidato preferito la cui vittoria era più che scontata.

Il movimento ha una guida unificata o si muove in modo autonomo?
E' assolutamente autonoma. Da venerdì sera ogni iraniano é praticamente diventato un media autonomo. Siamo noi che usiamo ogni mezzo possibile per diffondere le notizie che abbiamo. Se si riferisce alla manifestazione di oggi, devo dire che abbiamo saputo tutti dell'invito di Mousavi. Al contrario di quello che é successo nella cosiddetta festa per la vittoria di Ahmadinejad, la riunione di oggi é spontanea.

Che notizie avete dei brogli e come le avete verificate?
Sin dal primo momento il ministero dell'Interno ha cominciato a fare una dichiarazione ogni cinque milioni di voti. Avrebbero dovuto annunciare il risultato definitivo entro le 10 ora locale, ma ancora oggi non abbiamo visto il comunicato ufficiale del ministero. Ci sono delle statistiche, ma chi conosce il minimo di matematica riesce a capire che é impossibile diffondere dati del genere. Abbiamo poi le indiscrezioni girate attraverso alcuni funzionari del ministero secondo le quali i primi due vincitori sono Mousavi e Karroubi.

Quanti sono i morti? E gli arresti?
A Teheran si parlano più di 10 morti e 170 arresti. Il comandante della polizia di Teheran ha detto che tra gli arrestati ci sono dei criminali, ma figuriamoci, e' possibile che gli iraniani seguano i ladri e criminali?

Credi che le manifestazioni vadano oltre il risultato elettorale? Si manifesta solo per il voto o per un malcontento generale?
Nonostante tutto il malcontento che esiste, questa volta la protesta é solo perché la gente ha visto come hanno raggirato tutto in meno di un'ora.

Avete fiducia nell'inchiesta promessa da Khamenei?
No. Perché é difficile che poi il Consiglio dei Guardiani agisca in modo imparziale. E' impossibile che annullino le elezioni. Quindi le parole di Khamenei sono semplicemente un tentativo per placare le acque.

Cosa rispondete a coloro che dicono che ci sono ingerenze straniere nel movimento?
La parola 'nemico' é ormai diventato un cliché. Ogni forma di opposizione per loro é guidata dal 'nemico' che non si sa mai chi è esattamente. Ma questa volta come abbiamo visto che gli Stati Uniti non hanno ancora commentato la vicenda. Se il nemico é Washington, questa volta guarda tutto in silenzio. Se invece é Israele sappiamo che si é detto compiaciuto della vittoria di Ahmadinejad.

Ritenete che il governo possa aver infiltrato i cortei per causare incidenti e giustificare la repressione?
Il governo ha paura delle manifestazioni massicce perché mettono in dubbio la legittimità della Repubblica Islamica dell'Iran. Le manifestazioni ricordano i giorni della rivoluzione. Fino a poco fa la repressione disperdeva la gente. Questa volta non ci sono riusciti. Speriamo che la nostra protesta porti dall'obiettivo che vogliamo. Ora siamo in centinaia di migliaia a Teheran e vediamo le forze d'ordine che semplicemente ci guardano.

Che fine ha fatto Khatami?
Fino a ieri si pensava che lui insieme a Mousavi e Karroubi fosse sotto arresti domiciliari. Ma oggi sono con noi e protestano insieme a noi. C'è anche suo fratello che avevano arrestato. Ne siamo contenti e continueremo a sostenere il movimento riformista.

Che cosa accadrà adesso?
Noi andremo avanti con la protesta. Aspettiamo intanto per vedere se dopo l'inchiesta ordinata da Khamanei succederà qualcosa. Ma speriamo che non ci deludano come hanno fatto venerdì sera, altrimenti il peggio deve ancora venire.
Christian Elia

Gli effetti catastrofici della guerra israeliana sull'ambiente di Gaza.


Il presidente dell’Ente per la qualità dell’ambiente nella Striscia di Gaza, l’ing. ‘Awni Na‘im, in un'intervista a Quds Press ha rivelato che l'ecosistema palestinese, durante l'ultima guerra, è stato sottoposto alla più terribile devastazione e contaminazione degli ultimi decenni, in quanto sono state intaccate tutte le sue componenti.
Na‘im ha innanzitutto sottolineato che, a causa della guerra, e in particolare a causa del deliberato bombardamento israeliano che ha colpito il quartier generale dell’Ente insieme a tutte le sue agenzie specializzate, non è stato possibile misurare i livelli d’inquinamento atmosferico derivanti dalle operazioni israeliane. Il funzionario dell’Ente è stato però in grado di dimostrare che la guerra potrebbe provocare la contaminazione delle acque sotterranee nella Striscia di Gaza, e questo per colpa dei danni subiti dagli impianti di trattamento e dalle pompe di scarico. La rottura di queste strutture ha infatti avuto come conseguenza la fuoriuscita di acque non trattate in grandi quantità, che hanno inquinato il suolo e, in un secondo momento, arriveranno a contaminare anche le falde acquifere. Certamente, l’inquinamento delle acque giungerà presto anche a causa delle “centinaia di tonnellate di bombe e proiettili sganciati da parte delle forze israeliane sulla Striscia di Gaza”.
Na‘im ha tuttavia avvertito che “il pericolo più grande per l'ambiente palestinese si annida nel pericoloso deterioramento e nel rapido esaurimento di tutte le risorse naturali, e la più grande sfida che sta affrontando l’Ente è quella di fermare questo deterioramento ed esaurimento, e quindi d’invertire la tendenza per migliorare lo sfruttamento delle risorse stesse”.
A livello mondiale, invece, l’esperto palestinese ha avvertito che, com’è noto, l’aumento globale della temperatura porterà a cambiamenti climatici, che riguarderanno agenti atmosferici fondamentali come il vento e le precipitazioni, e che potranno condurre a conseguenze imprevedibili non solo dal punto di vista ambientale, ma anche sociale ed economico.“Uno dei più importanti effetti negativi del cambiamento climatico – ha infatti spiegato Na‘im – è l'aumento della temperatura e della concentrazione di biossido di carbonio nell'atmosfera, con il conseguente impatto che esso, direttamente o indirettamente, ha sulle piante, sugli animali e sugli ecosistemi in generale. Dato che un simile cambiamento potrebbe dare come risultato una grave diminuzione dell’acqua disponibile, nel corso di cinquanta anni il numero di persone che soffrono di carenza idrica passerà da cinque a otto milioni”.
Na‘im ha quindi invitato non solo a incoraggiare l'uso di energie alternative, che non comportino l'emissione di gas a rischio effetto serra, ma anche a razionare l’uso dell'energia, e a piantare più alberi.

Di seguito riportiamo un estratto dal testo dell’intervista.

Ci parli dell'impatto che ha avuto la recente guerra su tutti gli elementi ambientali palestinesi.
Dopo l’ultimo attacco, l’ecosistema della Palestina, insieme a tutti i suoi elementi, ha subito la distruzione e la contaminazione più brutali degli ultimi decenni. Una tale devastazione ha coinvolto la totalità delle componenti ambientali, e in primo luogo l’essere umano, la più importante ricchezza dell’ambiente palestinese. Nel corso della guerra, che è durata 22 giorni di seguito, le forze israeliane hanno bombardato un’area geograficamente molto limitata – la Striscia di Gaza – con vari tipi di proiettili, armi proibite ed altro ancora. Durante questi 22 giorni, il cielo di Gaza era ricoperto ora da uno spesso fumo nero, ora da un fumo bianco e denso, a causa di questi incessanti bombardamenti. (…) Inoltre, un’altra causa portatrice d'inquinamento atmosferico è rappresentata dalle emissioni di gas di scarico dei blindati e dei carri armati dell’occupazione, utilizzati nell’offensiva di terra. Tuttavia, a causa delle circostanze belliche e dei bombardamenti deliberati che hanno colpito la sede dell’Ente per la qualità dell’ambiente, non siamo stati in grado di misurare i livelli di contaminazione dell’aria – così come non lo eravamo prima, a causa dell’assedio.

Quale è il ruolo svolto dall’Ente per affrontare gli impatti ambientali della guerra contro Gaza?
Subito dopo l'aggressione israeliana sulla Striscia di Gaza, l’Ente per la qualità dell’ambiente ha formato una commissione che sta valutando la portata di un simile impatto, e che vede la partecipazione di un gruppo composito di membri provenienti da diverse istituzioni governative e civili. L’obiettivo ultimo è la pubblicazione di una relazione scientifica sulle conseguenze degli attacchi su Gaza, che conterrà anche alcune raccomandazioni scientifiche su come affrontare tali conseguenze. La relazione verrà divulgata all'inizio del prossimo mese di luglio. L’Ente ha inoltre preparato un pacchetto completo di proposte per progetti speciali, alcuni per la ricostruzione e lo sviluppo dello stesso Ente, altri per la soluzione dei problemi causati dalla distruzione e dalla devastazione dell'ambiente palestinese, oltre che dalla guerra in generale. Questi progetti vengono portati avanti con la collaborazione di diverse altre istituzioni. L’Ente ha intanto già emesso un bollettino informativo, distribuito al pubblico sotto il titolo “Come affrontare le conseguenze della guerra contro Gaza”.
tratto da Infopal

martedì 16 giugno 2009

Dall’onda verde alla mareggiata


Desideri oltre il controllo
di Omid Firouzi

La piazza Azadi, simbolo principale della rivoluzione del ’79 , poche volte è stata così gremita. Alla fine, nonostante il rifiuto dell’autorizzazione, ogni paura è stata vinta e una massa enorme di persone, ancora una volta molte donne, ha sfilato nel cuore di Teheran arrivando poi a paralizzare interi porzioni della città. E’ stata una risposta netta ed emozionante a chi ha etichettato in questi giorni i contestatori come pochi delinquenti. Due o forse tre milioni di persone che hanno riproposto in strada la loro voglia di protagonismo con determinazione e senza alcuna forma di violenza. Purtroppo la grande giornata di martedì è stata drammaticamente segnata dalla morte di alcuni ragazzi colpiti da proiettili. Proviamo però a fare qualche passo indietro. Queste ultime sono state giornate in cui stati d’animo tra loro profondamente diversi si sono susseguiti con un velocità molto elevata. Si è passati dalle feste e dai cortei pre-elettorali, segnati da un’atmosfera tutto sommato gioiosa, alla durezza delle contestazioni degli ultimi giorni, dalla convinzione della vittoria di Mousavi alla cruda realtà dei contestati risultati elettorali e dunque della riconferma di Ahmadinejad. In questa situazione estremamente complessa e spesso difficile da decifrare a causa dei forti limiti imposti agli scambi delle informazioni, si possano individuare due terreni di ragionamento. Il primo, forse anche per importanza, ha a che fare con ciò che succede nelle strade di teheran da almeno 2 settimane. La grande presenza di iraniani nelle strade della città si è espresso in due forme decisamente diverse. Nei giorni prima delle elezioni la presenza massiccia di ragazzi nelle manifestazioni di sostegno ai candidati esprimeva in termini quasi sempre festosi il desiderio di fare la propria parte nel contesto elettorale e di utilizzare la situazione di relativa tolleranza per esprimere comportamenti che nello spazio pubblico erano inimmaginabili fino a qualche settimana prima. Anche quando cori, slogan, cortei e blocchi stradali esprimevano dissenso generale verso i limiti ad alcune libertà politiche e civili, ciò che si percepiva era un clima di ottimistica attesa. Ora il contesto è fortemente mutato. Le contestazioni e gli scontri diffusi per la città sono segnati dalla rabbia e il rancore di molti giovani verso le politiche degli ultimi anni si trasforma in atteggiamenti violenti verso i quali la risposta delle forze dell’ordine è altrettanto violenta. Non sono solo le barricate, i cassonetti incendiati e i duri scontri a darci l’immagine della radicalizzazione delle contestazioni, ma lo è pure la trasformazione degli slogan utilizzati. Da quelli sarcastici nei confronti di Ahmadinejad come ” Ahmadi bye bye” o “non vogliamo il governo delle patate” (il riferimento è la presunta distribuzione di patate che il presidente ha fatto in zone rurali per accaparrarsi voti), a slogan cantati negli anni della rivoluzione come “uccido chi uccide i miei fratelli” e cori come “morte ai taleban che siano a Cabul che siano a Teheran”. L’imponente corteo di martedì si presenta forse come punto di congiunzione tra questi due spiriti della contestazione. Un corteo al quale hanno partecipato diverse generazioni di iraniani e persone di tutti i ceti sociali, i quali hanno contestato i risultati delle elezioni inneggiando alla vittoria di Mousavi e ribadito il desiderio di forti trasformazioni nella distribuzione delle ricchezze provenienti dalla vendita del petrolio e nel terreno dei diritti civili e politici. Nei piani della politica istituzionale ed intorno ad alcune figure chiave possiamo cercare il secondo terreno di ragionamento. Ahmadinejad, appoggiato dal leader supremo Khamenei, ha festeggiato dicendo di essere il presidente di tutti gli iraniani, ha detto che continuerà la sua battaglia contro la corruzione e ha aperto più che uno spiraglio ai rapporti con gli USA dichiarando di essere pronto a invitare Obama a un tavolo di trattative. I suoi sono stato toni moderati, ma rimane il fatto che intorno alla sua figura ruotano gli esponenti della classe politico-religiosa più conservatrice, figure che lavorano da sempre per rallentare le progressive innovazioni che si sono imposte nella società iraniana. Nel fronte moderato o cosiddetto riformista, e quindi da personalità come Rfsanjani o Khatami, dalla notte elettorale in poi è giunto soltanto un pesante silenzio. Un silenzio spezzato dalla partecipazione di Mousavi al corteo di oggi e da alcune dichiarazioni del presidente del parlamento Larijani, il quale ha denunciato alcuni atteggiamenti della polizia. Quello che molti esperti ipotizzano è che ci sia uno scontro di potere all’interno della classe politica. Alcuni giudicano le mosse di Ahmadinejad e del leader spirituale Khamenei come un tentativo di mettere in un angolo personalità politiche e religiose che, per quanto interni all’apparato istituzionale del regime islamico, potrebbero rappresentare una sponda politica preziosa per la popolazione all’oggi al quanto disorganizzata e priva di una prospettiva politica organica. In queste ore ciò che prevale è un’atmosfera di nervosa attesa. Ci sono notizie dell’ipotesi che ci siano raid per sequestrare tutti i satelliti dalle case per continuare l’isolamento del paese e i basiji continuano le ronde notturne in molti quartieri per intimidire i residenti. Il mondo conservatore esclude la ripetizione delle elezioni, i riformisti faticano a trovare spazi di visibilità per pronunciarsi, gli scontri e diverse forme di manifestazione continuano senza sosta e di certo non possono più essere sottovalutate. Comunque vada l’intensa ed appassionata partecipazione popolare alla vita del paese ci dà la fotografia di una società dinamica, sveglia e ostinata a far entrare i propri desideri nell’agenda dei detentori del potere politico.

Protesta di Neturei Karta davanti all'Onu: smantellate Israele e create stato di Palestina per musulmani, ebrei e cristiani.

Il 14 giugno, in occasione del 42° anniversario dell’occupazione di Gerusalemme Est alcuni membri del movimento ebraico ortodosso anti-sionista Neturei Karta hanno organizzato una protesta davanti al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite, nella città di New York.
I manifestanti hanno chiesto lo smantellamento dello stato di Israele e la costituzione di uno stato palestinese che inglobi anche gli ebrei residenti attualmente in Palestina. Il portavoce del movimento, Yisrael Weiss, noto rabbino, ha infatti evidenziato come il regime sionista sia in contraddizione con gli insegnamenti dell’ebraismo, sfidi la volontà di Dio e fomenti gli scontri, grazie ai crimini commessi contro gli altri pacifici abitanti della Palestina, musulmani e cristiani.

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!