Una quarantina di militanti dell’opposizione georgiana sono stati arrestati dalla polizia a Tbilisi nel corso di una giornata di estrema tensione, caratterizzata da ripetuti scontri e pestaggi in cui, oltre alla polizia in divisa, ad aggredire i manifestanti dell’opposizione sono intervenuti anche gruppi di uomini in abiti civili armati di bastoni. La notizia degli arresti è stata confermata anche dal viceministro degli interni Eka Eguladze: i manifestanti, quasi tutti giovanissimi, stavano conducendo un’azione di protesta davanti al comando centrale della polizia georgiana – come già avvenuto varie volte negli ormai 70 giorni consecutivi di presenza in piazza – quando sono stati attaccati prima da una squadra di uomini in borghese e poi da circa 300 agenti in divisa, che hanno arrestato e portato via tutti quelli che sono riusciti a prendere.
E’ dai primi di aprile che l’opposizione georgiana – in modo unitario, con tutti i partiti e i movimenti (e i rispettivi leader, soprattutto, che sono l’elemento più importante in un paese dove la politica è ancora molto legata alle singole personalità e ai loro legami regionali e di clan) – tiene le principali piazze di Tbilisi chiedendo le dimissioni del presidente Mikheil Saakashvili. Finora il presidente e il suo entourage hanno rifiutato di trattare seriamente con gli oppositori, rinunciando peraltro anche a scatenare una repressione troppo violenta, come era invece avvenuto nell’autunno 2007 quando dopo alcuni giorni di proteste in piazza il governo aveva proclamato lo stato d’emergenza e fatto intervenire le truppe. La relativa moderazione del governo serve ad evitare una nuova e più grave rottura con i governi occidentali “amici”, dei quali Saakashvili ha oggi un disperato bisogno per reggere, con un paese stremato dalla pazzesca guerra contro la Russia, pieno di profughi e sottoposto a tensioni di tutti i generi; inoltre un abortito e un po’ farsesco tentativo di golpe, nel maggio scorso, ha reso chiaro a Saakashvili che le forze armate – già umiliate e messe in crisi dalla guerra voluta dal presidente – non sarebbero affatto disposte a partecipare a una repressione sanguinosa contro gli oppositori.
Il tira-e-molla fra governo e opposizione, quindi, continua a oltranza in attesa che una delle due parti ceda per stanchezza, o che qualche fattore nuovo o esterno intervenga a modificare la situazione rompendo la fase di stallo.
Astrit Dakli
E’ dai primi di aprile che l’opposizione georgiana – in modo unitario, con tutti i partiti e i movimenti (e i rispettivi leader, soprattutto, che sono l’elemento più importante in un paese dove la politica è ancora molto legata alle singole personalità e ai loro legami regionali e di clan) – tiene le principali piazze di Tbilisi chiedendo le dimissioni del presidente Mikheil Saakashvili. Finora il presidente e il suo entourage hanno rifiutato di trattare seriamente con gli oppositori, rinunciando peraltro anche a scatenare una repressione troppo violenta, come era invece avvenuto nell’autunno 2007 quando dopo alcuni giorni di proteste in piazza il governo aveva proclamato lo stato d’emergenza e fatto intervenire le truppe. La relativa moderazione del governo serve ad evitare una nuova e più grave rottura con i governi occidentali “amici”, dei quali Saakashvili ha oggi un disperato bisogno per reggere, con un paese stremato dalla pazzesca guerra contro la Russia, pieno di profughi e sottoposto a tensioni di tutti i generi; inoltre un abortito e un po’ farsesco tentativo di golpe, nel maggio scorso, ha reso chiaro a Saakashvili che le forze armate – già umiliate e messe in crisi dalla guerra voluta dal presidente – non sarebbero affatto disposte a partecipare a una repressione sanguinosa contro gli oppositori.
Il tira-e-molla fra governo e opposizione, quindi, continua a oltranza in attesa che una delle due parti ceda per stanchezza, o che qualche fattore nuovo o esterno intervenga a modificare la situazione rompendo la fase di stallo.
Astrit Dakli