domenica 20 gennaio 2013

Cina - Nella Cina del progresso si muore ancora di freddo


In una via di Bijie cinque bambini muoiono di freddo nell'indifferenza generale. L'opinione pubblica insorge, ma la censura cerca di insabbiare tutto.
di Maria Dolores Cabras
C’era un freddo tremendo da sentirsi accapponare la pelle, di quelli che fanno battere i denti e ti scorrono nelle ossa fino a farti impallidire, il 15 novembre scorso a Bijie. Piovigginava e una nebbia densa velava di buio la notte. La temperatura era scesa a picco fino a toccare i 6 gradi centigradi nella città-prefettura della provincia del Guizhou.
Zhonglin, Zhongjing, Bo, Chong e Zhonghong, cinque bambini tra i 9 e i 13 anni, avevano mendicato per tutto il giorno qualche soldo in un sottopassaggio all’ingresso dell’università, poi erano tornati nella grande strada periferica, la Huandong Lu, dove avevano messo su con teloni e stracci un riparo di fortuna per la notte.
C’è chi racconta di averli visti giocare col pallone con indosso giacchette leggere e maglie di cotone, prima che il freddo gli gelasse i piedi e chiazzasse le loro labbra di uno strano colore rosso-bluastro, prima che i cinque bambini scegliessero come nuova tana per la notte un cassonetto per l’immondizia, di due metri per uno. Ci si erano infilati dentro e lì avevano acceso un po’ di carbone. Solo un po’, per riuscire a sentire per l’ultima volta il torpore di casa. L’indomani i cinque ragazzini del Guizhou erano ancora rannicchiati lì dentro, stretti l’uno all’altro senza vita, soffocati dal monossido di carbonio, come ha precisato l’esame autoptico. Prima affamati, poi infreddoliti e infine morti, nella totale e cieca indifferenza di passanti, studenti, professori e perfino dei funzionari che lavorano nei palazzi amministrativi siti nella zona.
È questa la Nuova Cina dello sviluppo tanto celebrata dal Pcc? È possibile che ancora oggi nella seconda economia al mondo, motore della crescita regionale asiatica e globale, i bambini muoiano per il freddo? A chiederselo sono in tanti, le voci della società civile giungono dalla piattaforma dei microblog cinesi che si infiamma per lo sdegno, ma anche dal mondo del giornalismo locale. Li Yuanlong, giornalista del Bijie Daily, ha provato a fornire alcune risposte indagando sulla storia dei cinque bambini, avvicinando le loro famiglie e descrivendo il degrado delle loro misere vite. È riuscito perfino a fotografarne i corpicini e a diffonderne le immagini su internet, e per questo è stato censurato, arrestato e minacciato dalla polizia.

venerdì 18 gennaio 2013

Europa - Perchè la Slovenia è in piazza


di Franco Juri *
Fino a qualche anno fa la Slovenia veniva raccontata come una storia esemplare, una storia di successo, esibita come il fiore all'occhiello di un'Europa che guarda , da madre amorevole, ai Balcani. L'incantesimo ora si dilegua ; la crisi politica scaturita da quella economica e dalle scelte »Merkeliane« fatte sia dall'attuale governo di centrodestra , guidato da Janez Janša che, in termini più soffusi, dal precedente governo di centrosinistra di Borut Pahor, assume dei connotati per molti versi inquietanti, ma che in fondo riflette perfettamente , in uno spazio piccolo e in uno scenario politicamente incestuoso, gli obiettivi della »rivoluzione« conservatrice e neoliberista in corso nell' Unione Europea. In termini di parametri economici e sociali la Slovenia non è la Grecia.

Africa - Mali e Azawad: l’unica cosa certa sono le bugie che ci raccontano.


L'11 gennaio 2012 delle "forze armate internazionali”, circa 3300 uomini(tra cui francesi in primis, ma anche statunitensi e tedeschi), si aggiungono alle forze armate del Mali, per “risolvere” la questione dei touareg nel nord, che il 6 aprile 2012 hanno dichiarato formalmente e fisicamente l’indipendenza della regione chiamata Azawad.

di Davide Di Maggio

Dall'intervento militare internazionale contro i touareg ne ero a conoscenza già diversi mesi prima che questo realmente accadesse.
Procediamo con ordine.
Quache mese fa leggevo un articolo su repubblica.it dove si riportava un comunicato dell’attuale presidente ad interim del Mali Dionkunda Traore(divenuto “presidente” dopo un colpo di stato da parte di una giunta militare che ha spodestato Amadou Tourè). In questo comunicato, pubblicato dal sito di repubblica senza un minimo di critica giornalistica o ricerca di altre fonti, il “presidente” chiedeva alla comunità internazionale un “aiuto” al fine di riportare ordine nella regione sahariana dell’Azawad, culla naturale dei touareg.
In questo comunicato il presidente non eletto dichiarava con assoluta certezza che l’Azawad indipendente rappresenta un rischio per tutto il mondo civilizzato, poichè i ribelli in realtà sono estremisti islamici con solidi legami con Al-Qaeda. Sono andato a ricercare le dichiarazioni ufficiali di chi “conta”. Il giorno della dichiarazione d’indipendenza la Francia ha reso noto di considerare “nulla” la dichiarazione “unilaterale d’indipenenza”. L’Ue e gli Usa hanno respinto la secessione assicurando di “voler rispettare l’integrità territoriale del Mali”. Anche dall’Unione Africana è giunto il più “totale rifiuto”. Il tutto giustificato, ovviamente dal fatto che ci fosse lo zampino di Al-Qaeda in mezzo.
Quel giorno mi sono reso conto che ci sarebbe stato sicuramente un intervento militare a breve per mantenere lo status quo.
Ovviamente repubblica.it in quel caso riferiva solo la versione del governo del Mali.
La versione vista dalla parte dei touareg pero’, non solo è molto diversa (e poco pubblicata), ma è, a mio avviso, molto più convincente.

mercoledì 16 gennaio 2013

Messico - Autodifesa contro la criminalità.


di Gloria Muñoz Ramírez

Le complicità del crimine organizzato con i diversi livelli di governo ed il saccheggio nelle comunità di molti stati del paese, come Michoacán e Guerrero, per citarne solo due, che sono alla mercé delle bande di delinquenti, li ha portati all’autodifesa e all’organizzazione della sicurezza dei loro villaggi.

La polizia comunitaria della Montaña e Costa Chica di Guerrero dal 1995 è una delle esperienze più notevoli in quanto all’organizzazione della propria difesa. Nei mesi scorsi si è assistito alla contesa di questo territorio tra i narcos, il governo dello stato ed organizzazioni vicine alle istituzioni governative. L’autonomia, tuttavia, prevale nell’autodifesa.

In Michoacán, nell’aprile del 2011, il villaggio di Cherán fu protagonista di una sollevazione contro i taglialegna ed il crimine organizzato che opprimevano la comunità da tre anni, esperienza che si è diffusa in altri villaggi della meseta purépecha. Urapicho è una di queste comunità. E questa settimana gli abitanti sono tornati sulle barricate.

Urapicho, nel municipio di Paracho, parallelamente alla sua autodifesa, aveva chiesto l’installazione di una Base di Operazioni Miste (BOM) formata da elementi dell’Esercito Messicano, della Segreteria di Pubblica Sicurezza, Polizia Federale e procura statale, la quale si era installata nell’ottobre del 2012, ma è stata ritirata l’8 gennaio 2013, ed i comuneros, in disaccordo, il giorno dopo hanno tenuto in ostaggio per alcune ore i funzionari municipali per esigere il ritorno delle forze di polizia e militari. L’accordo raggiunto prevede che le altre BOM vicine amplieranno la loro azione per comprendere il municipio. Inoltre, il governo statale provvederà alla formazione della polizia municipale ed assegnerà una pattuglia.

Urapicho, Sevina, Comachuén e Turicuaro sono alcuni dei villaggi della meseta purépecha vittime della delinquenza, los malos, come li chiamano in Michoacán, stato nel quale era partito il programma di militarizzazione di Felipe Calderón e dove, lamentano gli abitanti, la criminalità è lungi dal diminuire ma è aumentata in tutti i villaggi.

Ogni popolo che intraprende la sua autodifesa segue storie e dinamiche proprie. Quello che succede a Urapicho non è lo stesso che a Cherán, e tanto meno è uguale a ciò che avviene in Guerrero, anche se le motivazioni siano le stesse.

Stati Uniti - Clinamen, spoiler e l'incosciente zapatista


di Angel Luis Lara
1. Migliaia di persone hanno marciato per le strade di Manhattan il 1 maggio 2012. La pacifica invasione di colori e gesti ha dipinto la città di cristallo di una novità inusitata: anche i più vecchi del luogo non ricordavano una mobilitazione così ampia e così partecipata in una data storicamente evaporata dall'immaginario collettivo di New York. Occupy a volte si trasforma in una energia senza padrone capace di operare questo tipo di miracolo. Ma si è parlato appena della magia multitudinaria di questo 1 maggio nella città. Le storie di quel giorno non esisteranno per la Storia. Quasi tutte loro parlano dell'allegria di stare insieme e la sorpresa di essere tanti e tante. Tutti ci siamo sorpresi di vederci così  coinvolti. Tra tutte le bellissime immagini prodotte da quella giornata, ce n'è una che sopravvive nella mia retina sopra tutte le altre: in mezzo ad un nutrito gruppo di donne migranti spiccava una anziana dai tratti asiatici. Sopra la sua testa, le sue mani magre sostenevano un cartello dove si poteva leggere: “Per tutti, tutto, niente per noi”. Sotto la frase scritta in castigliano c'erano quattro lettere: “EZLN”.

2. Louis Althusser ci ha lasciato un testo bellissimo prima di soccombere al dolore irrimediabile della sua follia:
La corrente sotteranea del materialismo dell'incontro. In questo scritto ha preso in prestito da Epicuro il concetto di clinamen: la deviazione casuale di un atomo dalla sua traiettoria genera la nascita di nuove ed inaspettate causalità. Althusser ha proposto questo potente concetto come vettore di una forza materialista capace di debordare per complessità la tradizione razionalista e deterministica. Che una anziana asiatica si riconosca nelle strade di Manhattan nella ribellione di un popolo maya del sudest del Messico è un puro clinamen. Prova che le comunità zapatiste stanno dando vita ad un vero materialismo dell'incontro, capace non solo di resistere contro vento e maree, ma di durare nella Storia senza lasciare di circolare nelle storie.
Quest'inverno gli zapatisti sono riapparsi davanti ai nostri occhi in maniera inaspettata, come fanno quasi sempre. Sono, probabilmente, la maggiore delle deviazioni e il più bel principio di indeterminazione: puro clinamen. Forse è per questo che quelli che si mostrano incapaci di spogliarsi del determinismo della certezza sono determinati a non capirli. Chi dice che il passato dicembre è stato il mese della resurrezione zapatista si sbaglia. Per resuscitare bisogna prima morire. Gli zapatisti hanno deciso di morire il primo gennaio di diciannove anni fa, però sono vissuti. Da allora non hanno smesso di costruire nei loro territori quello che fa capo a divenire l'esperienza collettiva di emancipazione più degna e duratura della nostra storia recente. John Berger dice della figura migrante nel suo libro Un settimo uomo: “la naturalità con la quale la gente, le istituzioni, le norme quotidiane di etichetta della metropoli, gli argomenti e le frasi fatte, decretano la loro inferiorità non sarebbe tanto complessa ed inequivoca se la loro azione e il conseguente status inferiore fossero nuovi. E' stato qui fin dal principio.” Gli zapatisti non ritornano, perchè non se ne sono mai andati.

3. Questo ultimo autunno abbiamo ricevuto a New York la visita degli amici argentini del Colectivo Situaciones. Nelle nostre conversazioni presto è affiorato un paradosso che ci risultava certamente comune: il prolungato silenzio delle comunità zapatiste ci aveva lasciato in una specie di stato come da orfani, mentre nello stesso tempo abbiamo letto nei nuovi movimenti e abbiamo respirato nelle piazze, di Puerta del Sol a Madrid o nel distretto finanziario newyorchino, una potente risonanza di una qualità nettamente zapatista. In agosto, il dirigente contadino peruano Hugo Blanco si era già diretto al movimento #YoSoy132 per segnalargli l'importanza di queste risonanze. Tre mesi dopo, in un incontro con la gente di Occupy Wall Street, Amador Fernández-Savater, uno degli amici che hanno compreso meglio l'entità e ha raccontato il movimento 15M, segnalava lo zapatismo come uno dei materiali imprescindibili per la costruzione di una geneologia possibile del movimento in Spagna. Sono tratti di una geometria comune che osserva nelle nuove dinamiche di movimento l'esistenza di una specie di incosciente collettivo zapatista, precisamente nel senso nel quale  Deleuze e Guattari proponevano pensare l'incoscente: come una macchina di decodificazione e deterritorializzazione.
Come ha segnalato Don Pablo González Casanova pochi giorni fa, tra le numerose e potenti decodificazioni realizzate dallo zapatismo, spicca l'aver situato l'azione politica e il desiderio di emancipazione più in là della dicotomia sinistra/destra. Questo è, precisamente, uno degli esercizi di deterritorializzazione che caraterizza i movimenti di nuovo tipo come #YoSoy132 o 15M. Inoltre, la preoccupazione sincera e profonda per una democrazia vera, la difesa della differenza, la distanza irriconciliabile con i partiti e con quelli che dall'alto sono il malgoverno, così come il progetto di sprivatizzazione della politica per farla diventare patrimonio di chiunque, costituiscono ugualmente elementi della linfa che attraversa i nuovi movimenti, affrattelandoli incoscientemente con delle comunità zapatiste che finora avevano vissuto nella pelle dello spoiler: ci hanno anticipato quello che sarebbe successo negli episodi che ancora non abbiamo visto. Gli zapatisti hanno sempre avuto questo problema di disubicazione storica: ci hanno raccontato il futuro da quasi due decadi. Ora questo futuro non esiste più, perchè si è fatto presente. L'incosciente zapatista dei nuovi movimenti e la sua connessione con i desideri multitudinari di una nuova vita espressi da tanti e tante nelle piazze di mezzo mondo, suggeriscono che la disubicazione storica è sparita. Questo è, definitivamente, il tempo degli zapatisti.

BOICOTTA TURCHIA

Viva EZLN

Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.

La lucha sigue!