Giulio Cesare si trovò improvvisamente di fronte al suo assassino. La sua
vita finiva. Non sappiamo se nella sua mente passarono le immagini di suo figlio
di soli tre mesi; della sua compagna Marisa; della sua famiglia. Quello che
sappiamo è che dal suo cuore sgorgò un impulso incontenibile di coraggio e degna
rabbia: gli sputò in faccia. Poco dopo, gli strapparono la pelle dal volto.
La degradazione umana che si rivela in quel furore criminale e quanto fatto ai nostri 43 è atroce. È tanto profonda e grave come la degradazione istituzionale in ogni ordine e grado e che si è mostrata apertamente ad Ayotzinapa. È stato lo Stato, ha detto lo Zócalo.
L’indignazione che è cresciuta tra noi ha creato un momento peculiare, forse senza precedenti. Spuntano come funghi, dappertutto, spazi di riflessione. Stiamo pensando l’impensabile, quello che non riuscivamo o non volevamo pensare.
Ci prendiamo innanzitutto le nostre responsabilità. Ci domandiamo com'è che siamo arrivati a tali estremi di degradazione personale e collettiva. Non è accaduto all'improvviso. È stato un lungo processo di decadenza. Perché l’abbiamo permesso?
Molti hanno alzato le spalle; non hanno sentito che il problema era loro o non sapevano che cosa fare. Ma molti altri ci siamo mobilitati. Ora stiamo riflettendo su quello che forse abbiamo fatto male.
È quasi vergognoso ammettere di aver bussato alle porte sbagliate. Gli olmi non producono pere. Ce lo dissero anni fa quelli di Occupy Wall Street: si presentano richieste al governo solo quando si crede che possa soddisfarle. È inutile farlo con chi rappresenta solo l’uno percento e sono del tipo di quelli che stanno manifestando. Si fa nostro il grido argentino del 2001: ¡Que se vayan todos! [Che se ne vadano via tutti!].
L’abbiamo ripetuto, ciononostante, dobbiamo rimangiarci le parole. Che cosa accadrebbe se all'improvviso se ne andassero via tutti quanti, per qualche cataclisma istituzionale? C’è chi ha la risposta facile: Mettiamoci i nostri. Se ci fossero, miracolosamente, le dimissioni del Presidente, porterebbero nel 2015 l’illusione del 2018. Ma questa fantasia che fino a poco tempo fa attraeva milioni di persone, trova sempre meno eco. Non è dimostrato che gli altri siano più competenti o meno corrotti. Inoltre, anche attribuendo le più alte qualità immaginabili al leader che guiderebbe questa sostituzione, il ricambio sarebbe pericoloso: creerebbe l’illusione che la questione è risolta, che lui metterebbe le cose a posto.
A questo punto la riflessione arriva dove doveva arrivare, ciò che era impensabile fino a poco tempo fa. Non si tratta solo delle persone, di quelle canaglie. Quello che abbiamo permesso che accadesse è che le istituzioni stesse si degradassero. Per prima cosa hanno smesso di svolgere la loro funzione. Poi hanno cominciato a fare il contrario di quello che devono fare. Ora servono solo a dominare, controllare, rubare, distruggere…
Non basta sostituire dirigenti o realizzare riforme. Licenziare poliziotti, come si fa quotidianamente, moltiplica solo delinquenti. L’alternanza, con cui abbiamo già avuto governanti ed amministrazioni di tutti i partiti, ha dimostrato chiaramente che può essere peggio della continuità.