mercoledì 13 luglio 2011
Tunisia - Regueb - La rivolta: verso nuovi orizzonti
Report dalla Tunisia
Regueb: 4 ore a sud di Tunisi, 30 km da Sidi Bouzid, 40 gradi all’ombra dalle 6 di mattina alle 9 di sera, terra rossa bruciata dal sole e campagne verdi con coltivazioni tra le più fertili del paese. Una terra maltrattata dalle politiche dell’“Ancièn Regime”, come chiamano già ora (quasi fosse passato un secolo) la dittatura di Ben Alì, che ha giocato un ruolo fondamentale nella rivoluzione. È in questa regione storicamente ribelle, già protagonista delle lotte anticoloniali, che Mohamed Bouazizi si è dato fuoco il 17 dicembre 2010 scatenando i primi scontri che, diffondendosi in seguito in tutto il paese, hanno portato alla fuga del dittatore. Regueb è l’unica città tunisina che, durante la rivoluzione, ha messo in atto uno sciopero generale (e realmente generalizzato) che ha coinvolto praticamente tutti gli abitanti e tutte le attività economiche del paese e delle campagne circostanti.
È anche il luogo da cui ha avuto origine la marcia su Tunisi che dopo la cacciata di Ben Alì ha ribadito al Primo Ministro, che nel frattempo aveva preso il potere, che non sarebbero stati accettati compromessi con i vecchi apparati e i vecchi uomini del regime. La lunga marcia ha progressivamente coinvolto un numero straordinario di persone ed è arrivata ad occupare la Kasba, la piazza del governo, fino alla caduta del governo e all’imposizione della richiesta di un’assemblea costituente (per la quale si voterà il 23 ottobre).
Non è un caso, quindi, che siano stati i militanti di Regueb dell’UDC (Union Diplomés Chomeurs) a raccogliere la proposta lanciata dal meeting Euromediterraneo del 12 e 13 maggio a Roma: un nuovo appuntamento, questa volta sulla sponda sud del Mediterraneo, per continuare a conoscersi, a tessere relazioni molteplici, a provare a immaginare progetti comuni. Se l’incontro romano s’intitolava “La rivolta di una generazione”, la denominazione della conferenza di Regueb, “La révolte: vers de nouveaux horizons”, sottolinea bene la tensione costituente che si sta sviluppando dall’incontro e dal confronto tra esperienze politiche di lotta e di associazionismo di diversi paesi.
A Regueb abbiamo incontrato, dunque, sindacati e associazioni tunisine che lavorano in ambiti diversi e che sono accomunate dalla stessa ambizione di continuare il processo rivoluzionario cominciato nei mesi di dicembre e gennaio: cacciato il dittatore, hanno ripetuto in molti, è ora il momento di distruggere la dittatura e inventare una nuova Tunisia fondata su processi democratici reali, su una maggiore giustizia sociale, sulla garanzia effettiva dei diritti delle persone, sulla redistribuzione delle risorse per troppo tempo concentrate nelle mani di pochissimi. Sono stati inoltre presenti alcuni compagni spagnoli venuti a raccontare il grande entusiasmo che in questo momento stanno vivendo per il movimento degli “indignados”.
I temi discussi, gli argomenti sollevati e le problematiche al centro del dibattito sono stati numerosissimi: impossibile farne una sintesi, inutile stilarne un elenco. Accanto alle esigenze materiali dettate soprattutto dall’assenza di lavoro (nella regione di Regueb il tasso di disoccupazione supera il 40% della popolazione), sono emerse più volte le questioni legate alla partecipazione continuativa alla vita politica del paese, a forti rivendicazioni rispetto all’autonomia e all’autogestione della comunità locale, alla necessità di trovare strumenti e forme di organizzazione politica e rappresentanza capaci di superare i limiti delle democrazie europee. Non stiamo dicendo che ci sia un accordo o un discorso comune tra le posizioni dei diversi gruppi e delle diverse associazioni della società civile, al contrario la situazione politica è estremamente frammentata, i dibattiti raggiungono spesso toni aspri e le contraddizioni non smettono di rivelarsi. Tutto questo, ci sembra dipendere da una forte volontà di continuare a incidere in maniera diretta e autonoma sulle decisioni, da una passione politica che ha tratto energia dagli avvenimenti rivoluzionari ma non si è esaurita nell’antagonismo contro Ben Alì, mantenendo invece la propria intensità e le proprie ambizioni anche in questa seconda fase, che possiamo definire costituente.
Anche sul piano delle relazioni transmediterranee il dibattito è stato molto ricco, animato dalla volontà di conoscere reciprocamente le forme e gli strumenti di organizzazione politica e le principali battaglie portate avanti nei contesti locali. La narrazione delle proprie esperienze associative e di lotta è stata funzionale a stabilire, in un panorama estremamente eterogeneo, le coordinate dei soggetti presenti alla conferenza. A partire da queste narrazioni hanno iniziato a definirsi possibili relazioni specifiche e possibili progetti comuni.
Come dicevamo all’inizio si tratta di un ulteriore passo in avanti nel processo messo in moto dal desiderio soggettivo di molteplici realtà organizzate che hanno voluto cogliere l’opportunità resa possibile dalle rivoluzioni nordafricane: quella di ridefinire il senso e la funzione del Mar Mediterraneo da frontiera e strumento di divisione (creato strumentalmente dai governi) a mezzo di comunicazione e di legame tra i conflitti e i tumulti che su entrambe le sponde continuano a esplodere, pretendendo una nuova stagione di diritti, di democrazie reali, di conquiste legate alle condizioni di vita materiali. Non è possibile immaginare questo processo in senso lineare o sintetizzarlo in dinamiche specifiche: c’è tanto lavoro da fare, su livelli diversi (dall’elaborazione di battaglie, linguaggi e immaginari comuni alla messa in pratica di progetti concreti) e con una tensione inclusiva rispetto agli altri soggetti che progressivamente mostrano attenzione e interesse rispetto a tutto ciò. Si tratta di immaginare insieme quello che possiamo diventare e di elaborare delle pratiche reali per trasformarci e trasformare le nostre società. Il progetto è ambizioso, ma qui a Regueb abbiamo imparato che coltivare ambizioni e desideri che sappiano guardare oltre l’esistente è oggi più che mai una possibilità concreta e realizzabile.
Unicommon di ritorno dalla Tunisia
Più di 500, 40, 30, 20, 10 anni dopo
ALLERTA ROSSA E CHIUSURA CARACOLES
BOICOTTA TURCHIA
Viva EZLN
Questo video è una libera interpretazione che vuole mettere in risalto l'importanza del Caffè Rebelde Zapatista, come principale fonte di sostentamento delle comunità indigene zapatiste e come bevanda prelibata, degustata da secoli in tutto il mondo. I suoni e i rumori che accompagnano l'osservatore in questa proiezione, sono stati scelti con l'intenzione di coinvolgervi completamente nell'esperienza visiva e trasportarvi direttamente all'interno della folta vegetazione che contraddistingue tutto il territorio del Chiapas, dove viene coltivato questo caffè.
La lucha sigue!